Ormai abbiamo analizzato console e videogames ma cosa ci manca da analizzare? il pad, cioè quel contyroller pieno di tasti che ci permette di interagire con l'interfaccia di gioco della console e come sappiamo devono essere ergonomici, facili da impugnare, leggeri e resistenti ma durante la storia videoludica ne sono stati creati tanti che creavano disagio, alcuni non sono mai stati visti nei negozi e altri non hanno influito sul successo della console.
Questa è la classifica dei controller più ridicoli del mondo videoludico:
VENTESIMA POSIZIONE
ERGONOMIA? TE LA SOGNI (DREAMCAST)
E per non farci mancare proprio nulla, giochiamo subito la carta controversia della settimana. Olé. Il pad dello sfortunato, grandissimo Dreamcast, era qualcosa di effettivamente innovativo, con il suo slot per inserire la VMU? O era più semplicemente un controller troppo grande, con una disposizione tutt’altro che ottimale dei quattro tasti frontali (e del tasto Start non parliamone proprio)? Qui si propende decisamente per la seconda scuola di pensiero. È vero: in questa classifica incontreremo sadici esercizi di design creativi molto, ma molto più indigesti, ma il fatto di esser apparso in un mercato che aveva già imparato a modellare le proprie appendici prensili sulle forme del Dual Shock è un’aggravante mica da ridere. Restando in casa Sega, degno di nota anche il primo pad per il Saturn PAL e NTSC USA. Come prendere quello originale (ottimo) e renderlo più cesso e meno comodo con tutti quegli spigoli assurdi.
DICIANNOVESIMA POSIZIONE
PER LUI, MA SOPRATTUTTO PER LEI (FAIRCHILD CHANNEL F)
Un po’ controller per una pista di macchinine, molto accessorio per la coppia moderna, il “gamepilot” del Fairchild Channel F (la prima console funzionante a cartucce) è un calcio di pistola nero sormontato da un enigmatico stick piramidale, inclinabile in più direzioni o schiacciabile, facendo in quest’ultimo caso le veci del pulsante di fuoco. Visto che sul gamepilot di tasti non ce ne sono. Brutto resta brutto, ma per l’epoca, comunque, svolgeva discretamente il suo compito. Del resto stiamo parlando del 1976, di un’era pionieristica per il mercato. E l’unica macchina che aveva preceduto il Fairchild Channel F nei salotti ammerrigani, il Magnavox Odyssey, aveva fatto probabilmente anche peggio. "A cosa servono queste due radioline collegate via cavo?", si erano chiesti nel ’72 gli early adopter della prima home console di sempre, fatta di diodi e transistor. Solo che quelle non erano radioline. Quei due mattoni beige e marrone erano due controller, e le rotelle ai lati servivano per muovere sullo schermo le palette del Pong in tutta una serie di salse. E chi se l’aspettava?
DICIOTTESIMA POSIZIONE
VIRTUALMENTE STUPIDO (VIRTUAL BOY, 1995)
Solo una settimana fa, a queste coordinate ci occupavamo della sorte nefasta della macchina (volutamente) dimenticata di Nintendo, il primo esperimento della casa di Kyoto con il 3D, conferendole un posto di prestigio nella classifica delle peggio console di sempre. Ma nel cantare il peana dell’unico, fatale errore commesso dal povero Gunpei Yokoi nella sua illustre carriera, ci si è dimenticati di sottolineare gli innumerevoli difetti del suo controller. Da dove vogliamo iniziare? Dalla doppia croce direzionale? Dalla posizione degli altri quattro tasti (i convenzionali Select, Start, A e B), che costringevano quei quattro utenti che avevano avuto la malsana idea di comprare la macchina a far assumere configurazioni laocoontiche ai propri pollici? Alla collocazione del tasto d’accensione e spegnimento, INQUIETANTEMENTE vicino al tasto B e pertanto dalle potenzialità bestemmiogene importanti? O forse dal fatto che il pacco pile era montato direttamente sotto il pad, rendendolo al contempo ingombrante e pesantissimo? Quel nero e quei tocchi di rosso erano in compenso davvero fighi. Inutilizzabile e malato come tutta la console, ma stiloso.
DICIASSETTESIMA POSIZIONE
TELEFONO... CASA (COLECOVISION)
A guardarlo ora è il cugino povero di un vecchio telefonino ETACS dei primi anni Novanta. Il tastierino dell’antifurto. Un cordless con radiolina parecchio vintage. Ma all’epoca l’accoppiata potenziometro più tastierino numerico si portava tantissimo, come dimostrano i design simili (ma un pelo meno orridi) esibiti da Intellivision, Hanimex HMG 2650 e CreatiVision. Ma... a) da una console innovativa e potente come quella di Coleco (un vero mostro per l’epoca, la cui corsa è stata frenata solo dal grande Crash del mercato a metà anni 80) ci si aspettava qualcosa di meglio rispetto alla blanda concorrenza, e soprattutto b) quando l’iconico stick dell’Atari VCS/2600 è già in circolazione da cinque anni, non è che devi starti lì a inventare chissà cosa. Scottata dalla crisi del mercato, Coleco abbandonerà peraltro i videogiochi nel 1984, dedicandosi a un settore molto più violento e feroce. Quello delle bambole, con le sue odiosissime Cabbage Patch Dolls, che tante ragazzine dell’epoca hanno turbato nell’incoscio con quella storia (letteralmente) del cavolo. Ma vabbé.
SEDICESIMA POSIZIONE
TU CHIAMALE SE VUOI, EREZIONI (ATARI 5200)
Elogiavamo giusto un paio di righe fa l’incredibile, riuscitissimo design dello stick per il VCS. Atari non ha dovuto far altro, quindi, che capitalizzare quell’idea azzeccata, giusto? Sbagliato. Perché l’Atari dell’epoca aveva una certa, irrefrenabile pulsione a farsi del male in modi creativi. Enter il pad del 5200: struttura a forma di zeppa per la porta, leva corta ma inquietantemente grossa, due tasti arancioni da tendinite istantanea per lato, pulsanti di avviamento e pausa partita incassati nella struttura e adeguatamente mimetizzati, solito tastierone numerico da telefono anni 80 di un programma con Raffaella Carrà. Dice: eh, ma almeno lo stick sarà stato preciso, no? Macché, un vero e proprio incubo: la levetta del 5200 non era infatti autocentrante. Un simpatico particolare che raddoppiava di fatto gli input da impartire in molti giochi, e rendeva la fruizione di titoli che una certa precisione la richiedevano di loro, come Pac-Man, un’esperienza quasi mistica. L’equivalente videoludico, diciamo, di appendersi ai ganci per il petto come l’Uomo chiamato cavallo.
Continua....
Questa è la classifica dei controller più ridicoli del mondo videoludico:
VENTESIMA POSIZIONE
ERGONOMIA? TE LA SOGNI (DREAMCAST)
E per non farci mancare proprio nulla, giochiamo subito la carta controversia della settimana. Olé. Il pad dello sfortunato, grandissimo Dreamcast, era qualcosa di effettivamente innovativo, con il suo slot per inserire la VMU? O era più semplicemente un controller troppo grande, con una disposizione tutt’altro che ottimale dei quattro tasti frontali (e del tasto Start non parliamone proprio)? Qui si propende decisamente per la seconda scuola di pensiero. È vero: in questa classifica incontreremo sadici esercizi di design creativi molto, ma molto più indigesti, ma il fatto di esser apparso in un mercato che aveva già imparato a modellare le proprie appendici prensili sulle forme del Dual Shock è un’aggravante mica da ridere. Restando in casa Sega, degno di nota anche il primo pad per il Saturn PAL e NTSC USA. Come prendere quello originale (ottimo) e renderlo più cesso e meno comodo con tutti quegli spigoli assurdi.
DICIANNOVESIMA POSIZIONE
PER LUI, MA SOPRATTUTTO PER LEI (FAIRCHILD CHANNEL F)
Un po’ controller per una pista di macchinine, molto accessorio per la coppia moderna, il “gamepilot” del Fairchild Channel F (la prima console funzionante a cartucce) è un calcio di pistola nero sormontato da un enigmatico stick piramidale, inclinabile in più direzioni o schiacciabile, facendo in quest’ultimo caso le veci del pulsante di fuoco. Visto che sul gamepilot di tasti non ce ne sono. Brutto resta brutto, ma per l’epoca, comunque, svolgeva discretamente il suo compito. Del resto stiamo parlando del 1976, di un’era pionieristica per il mercato. E l’unica macchina che aveva preceduto il Fairchild Channel F nei salotti ammerrigani, il Magnavox Odyssey, aveva fatto probabilmente anche peggio. "A cosa servono queste due radioline collegate via cavo?", si erano chiesti nel ’72 gli early adopter della prima home console di sempre, fatta di diodi e transistor. Solo che quelle non erano radioline. Quei due mattoni beige e marrone erano due controller, e le rotelle ai lati servivano per muovere sullo schermo le palette del Pong in tutta una serie di salse. E chi se l’aspettava?
DICIOTTESIMA POSIZIONE
VIRTUALMENTE STUPIDO (VIRTUAL BOY, 1995)
Solo una settimana fa, a queste coordinate ci occupavamo della sorte nefasta della macchina (volutamente) dimenticata di Nintendo, il primo esperimento della casa di Kyoto con il 3D, conferendole un posto di prestigio nella classifica delle peggio console di sempre. Ma nel cantare il peana dell’unico, fatale errore commesso dal povero Gunpei Yokoi nella sua illustre carriera, ci si è dimenticati di sottolineare gli innumerevoli difetti del suo controller. Da dove vogliamo iniziare? Dalla doppia croce direzionale? Dalla posizione degli altri quattro tasti (i convenzionali Select, Start, A e B), che costringevano quei quattro utenti che avevano avuto la malsana idea di comprare la macchina a far assumere configurazioni laocoontiche ai propri pollici? Alla collocazione del tasto d’accensione e spegnimento, INQUIETANTEMENTE vicino al tasto B e pertanto dalle potenzialità bestemmiogene importanti? O forse dal fatto che il pacco pile era montato direttamente sotto il pad, rendendolo al contempo ingombrante e pesantissimo? Quel nero e quei tocchi di rosso erano in compenso davvero fighi. Inutilizzabile e malato come tutta la console, ma stiloso.
DICIASSETTESIMA POSIZIONE
TELEFONO... CASA (COLECOVISION)
A guardarlo ora è il cugino povero di un vecchio telefonino ETACS dei primi anni Novanta. Il tastierino dell’antifurto. Un cordless con radiolina parecchio vintage. Ma all’epoca l’accoppiata potenziometro più tastierino numerico si portava tantissimo, come dimostrano i design simili (ma un pelo meno orridi) esibiti da Intellivision, Hanimex HMG 2650 e CreatiVision. Ma... a) da una console innovativa e potente come quella di Coleco (un vero mostro per l’epoca, la cui corsa è stata frenata solo dal grande Crash del mercato a metà anni 80) ci si aspettava qualcosa di meglio rispetto alla blanda concorrenza, e soprattutto b) quando l’iconico stick dell’Atari VCS/2600 è già in circolazione da cinque anni, non è che devi starti lì a inventare chissà cosa. Scottata dalla crisi del mercato, Coleco abbandonerà peraltro i videogiochi nel 1984, dedicandosi a un settore molto più violento e feroce. Quello delle bambole, con le sue odiosissime Cabbage Patch Dolls, che tante ragazzine dell’epoca hanno turbato nell’incoscio con quella storia (letteralmente) del cavolo. Ma vabbé.
SEDICESIMA POSIZIONE
TU CHIAMALE SE VUOI, EREZIONI (ATARI 5200)
Elogiavamo giusto un paio di righe fa l’incredibile, riuscitissimo design dello stick per il VCS. Atari non ha dovuto far altro, quindi, che capitalizzare quell’idea azzeccata, giusto? Sbagliato. Perché l’Atari dell’epoca aveva una certa, irrefrenabile pulsione a farsi del male in modi creativi. Enter il pad del 5200: struttura a forma di zeppa per la porta, leva corta ma inquietantemente grossa, due tasti arancioni da tendinite istantanea per lato, pulsanti di avviamento e pausa partita incassati nella struttura e adeguatamente mimetizzati, solito tastierone numerico da telefono anni 80 di un programma con Raffaella Carrà. Dice: eh, ma almeno lo stick sarà stato preciso, no? Macché, un vero e proprio incubo: la levetta del 5200 non era infatti autocentrante. Un simpatico particolare che raddoppiava di fatto gli input da impartire in molti giochi, e rendeva la fruizione di titoli che una certa precisione la richiedevano di loro, come Pac-Man, un’esperienza quasi mistica. L’equivalente videoludico, diciamo, di appendersi ai ganci per il petto come l’Uomo chiamato cavallo.
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