É curioso immaginare che ogni volta che sia nato qualcosa di unico e particolare, specialmente nel mondo dei videogiochi o forse anche più in generale nell’intrattenimento, questo arrivi quasi per caso, frutto di esigenze, problematiche da risolvere. In questa Pasqua al sapore dell’ormai celebre Coronavirus e quarantena, sicuramente nasceranno termini, modi di fare e altro che prenderanno posto nel lessico collettivo. Ma cosa accomuna la Pasqua ai videogiochi? Mi sfuggono onestamente i giochi che abbiano in qualche modo rappresentato questa sacra festa (anzi se ne avete fatemelo sapere) rispetto al Natale, forse mal si sposa al nostro passatempo. Eppure, qualcosina c’è, una pratica molto comune al giorno d’oggi: i famosissimi Easter Egg cioè chicche, rimandi, citazioni, cose bizzarre, più o meno celate che i programmatori si divertono a spargere nelle loro produzioni. É divertente per loro, è divertente per noi che cerchiamo di scovarli. Una pratica che è vecchia quasi come il videogioco stesso.
Atari, fine anni ’70. L’azienda fondata dal leggendario Bushnell non sembra più la stessa da quando Nolan è andato via. Tutto è meno amichevole, i dipendenti sono trattati come dipendenti e sistemi di sicurezza iniziano a essere usati per spostarsi tra gli uffici. Sembra esserci meno fiducia verso che lavora. La politica del nuovo presidente Ray Kassar è di non riconoscere ai programmatori nessuna royalty dei giochi venduti, che poi è il core dell’azienda, ma vieta di inserire la propria firma all’interno delle loro creazioni. I giochi sono fatti da Atari. Punto.
É inutile sottolineare il malcontento che serpeggiava tra i programmatori. Programmatori scontenti = piccoli geni capaci di trovarti il “workaround” per mettertela in quel posto. E così fu. Al tempo un gioco era programmato da una sola persona che si occupava di tutto, in maniera indipendente e senza controlli, e poteva avere costi intorno ai 10000 dollari. Spiccioli se si pensa alla nostra epoca di AAA, campagne pubblicitarie milionari e budget faraonici. Un giovane programmatore Warren Robinett iniziò lo sviluppo di Adventure per Atari VCS, versione grafica del pioneristico gioco testuale Colossal Cave Adventure di Will Crowther.
In Adventure per VCS si racconta di avventure medievaleggianti tra caverne e draghi e riproporre la grandezza dell’avventura testuale non deve essere stato facile durante il processo creativo e questo portò allo stop del progetto che fu ripreso da Robinett, probabilmente proprio spinto dall’idea che gli frullava per la testa: inserire una stanza segretissima nel suo Adventure e fottere il suo capo e Atari e sorprendere il giocatore avvisandolo che quello che sta giocando è Created by Warren Robinett.
La procedura per accedere alla stanza segreta era volutamente complessa, Robinett raccontava che la chiamò The Dot, cioè uno degli oggetti trasportabili dal giocatore era un insignificante pixel dello stesso colore di una parete, se lo si fosse riuscito a prendere comunque il giocatore avrebbe avuto tra le mani qualcosa di incomprensibile. “Il punto” non era nient’altro che la chiave della stanza segreta.
Il bello è che Robinett si tappo la bocca e non ne fece menzione con nessuno, neanche con i suoi amici più stretti. Immaginate che se fosse uscita fuori una cosa del genere sarebbe stato licenziato seduta stante. In più il messaggio segreto prendeva circa il 5% dello spazio di una comune cartuccia VCS perchè per ammissione dello stesso Robinet “(Il messaggio) …era in tutti i colori dell'arcobaleno perché ho fatto in modo che la grafica passasse attraverso l'intera tavolozza dei colori. Volevo il mio nome con luci colorate.”
Adventure fu rilasciato nel 1979 e per un po’ non si sentì nessuno parlare di questa stanza segreta fino al 1980 quando un ragazzino di 12 anni non scrisse ad Atari chiedendo lumi su una strana stanza che aveva trovato nel gioco. Intanto Robinett aveva lasciato Atari, ma aveva creato intorno a questa stanza un grosso interesse tanto che alcuni redattori del magazine Electronic Games, Arnie Katz, Joyce Worley e Bill Kunkel pionieri della videogame critic, si riferirono ad essa come Easter Egg.
Non la presi, ero piccolissimo e mio padre logicamente mi diceva sempre "un gioco e basta, non due".
Recuperai i soldi con dei piccoli lavoretti a portata di bambino...ma fu venduta.
Ci rimasi male, mi piaceva troppo la copertina essendo già da piccolo amante dell'immaginario Fantasy.
Immaginate con quanta foga ho ricomprato la cara Atari Flashback 8 HD solo per giocarlo e scoprire l'Easter Egg, di cui ero a conoscenza già grazie ad un articolo presente forse su PlayStation Magazine!