Quando i videogiochi vanno in Paradiso

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ID: 246697O meglio, quando dovrebbero andarci.
Concetto molto complesso quello dell’abandonware. Da dove nasce? Dalla voglia di poter accedere al vecchio software e dalla profonda convinzione che usufruire di prodotti cronologicamente datati, pensati per hardware fuori produzione, sia eticamente sacrosanto. Come si può facilmente intuire, non vi è alcun presupposto legale in questo tipo di concetto, anzi, la parola abandonware non è nemmeno contemplata in qualsivoglia giurisdizione. Che sia colpa della relativa giovinezza di tale pratica o della lentezza congenita di recepimento di ogni sistema legale, quel che conta è che, di fatto, gli impedimenti verso una serena fruizione dei vecchi programmi sono molteplici.

In un sito di retrogaming, è di dovere affrontare questo argomento. Fin dove è lecito spingersi senza sforare nel pantano dell’illegalità? Molto poco lontano. E’ una questione puramente di diritti d’autore: finchè ci sono, non abbiamo la possibilità di usufruire di nessun programma senza pagarne il prezzo di acquisto.
E’ giusto tutto ciò? Probabilmente no, ma poco importa. Tale situazione, tuttavia, apre due questioni di rimarchevole importanza che, guardacaso, vedono gli utenti schiacciati dagli immancabili interessi economici: la prima riguarda il preservamento e la tutela di un bagaglio tecnologico di valore storico, la seconda ci pone di fronte alle insidie verso un franco accesso alle origini di un’arte.

Identifichiamo il significato di abandonware: innanzitutto, non è sinonimo di shareware, freeware o warez. I suoi contorni sono molto sfumati, così tanto da tangere ognuna di queste tre definizioni e la sua interpretazione è talmente sfuggente da variare considerevolmente da giudizio in giudizio. Non potendocisi appigliare ad alcuna definizione ufficiale, potremmo azzardare che l’abandonware viene mediamente recepito come quella fascia di software che, partendo dalla genesi dello stesso, si protrae fino ai prodotti concepiti per macchine vecchie di un paio di generazioni almeno. Solitamente, si considerano abandonware i programmi per DOS o Windows 95, i giochi per Amiga o quelli per Atari 2600. Si tratta di limiti imposti da “sensazioni” piuttosto che da regole precise, benché siano avvertibili numerose eccezioni alla regola: nessuno considererebbe abandonware Monkey Island o Final Fantasy, mentre si tende a valutare come appartenente a questa categoria ciò che è stato progettato per una macchina piuttosto recente come il Nuon. Ciò è dovuto al fondamentale peso delle software house: finchè la casa produttrice di un videogioco è ancora in piedi e finchè un brand è ancora attivo, esso non può rientrare nell’abandonware. Confusi, eh? E’ comprensibilissimo ma, se possibile, la situazione peggiora nel momento in cui ci si avvia alla ricerca di riferimenti legali.

Ben si sa che la giurisprudenza contempla margini talmente confusi da permettere contraddizioni disarmanti. Non si fa eccezione con la materia in esame. Nel 2006, una corte statunitense stabilì che era legittimo bypassare i sistemi di protezione dei vecchi software per consentirne un efficace preservamento. Il problema è che tale provvedimento non si esprime sulla distribuzione dei programmi privi di tale protezione, impedendone quindi la diffusione.
Torniamo alla domanda che ci interessa: la libera diffusione dei vecchi giochi è quindi impossibile? In realtà esiste una via: c’è bisogno che i detentori del copyright rilascino il loro software nel sistema del pubblico dominio. E qualcuno lo ha fatto, come Revolution o Team 17, ma anche in questo frangente il caos regna sovrano. Prendiamo la id Software: qualsiasi persona può attingere a piene mani dai loro motori grafici perché ne hanno rilasciato i diritti, ma non hanno fatto lo stesso per il software, di conseguenza Doom non è liberamente fruibile ma lo è tutto il bagaglio tecnologico alle sue spalle, idem per Quake. Altri hanno talvolta deciso di distribuire gratuitamente i loro giochi ma senza rilasciarne il copyright, quindi di solito si posso downloadare da precisi siti autorizzati ma è assolutamente vietato ospitare tali giochi sul proprio. E se una software house fallisce? Peggio che andar di notte! Spesso i diritti d’autore vengono prelevati da altre società che possono utilizzare tali proprietà intellettuali a loro piacimento bloccandone, eventualmente, ogni via a loro sgradita. E se, malauguratamente, nessuno acquisisce i copyrights della software house defunte ci si ritrova in una situazione virtualmente impossibile da sbloccare in quanto, pur non esistendo alcun intestatario preciso per i diritti, i giochi non possono essere “liberati” perché esiste sempre la possibilità che una società, un ente o un singolo individuo (ad esempio un programmatore) riconducibile al progetto che ha portato alla creazione di quel determinato software possa richiederne legittimamente la proprietà intellettuale. A questo punto non resta che appigliarsi al decadimento dei diritti di autore: 28 anni dopo l’ultimo rinnovamento, essi si esauriranno e tutti potranno godere dell’opera. Ma solo se l’autore è morto da almeno 70 anni, oppure 80 in Spagna. Nell’immediato futuro, se immediato può definirsi l’attendere settant’anni oltre il fallimento di una software house, le cose potrebbero non migliorare a causa di quella che è stata definita la “sindrome di Topolino”. La Walt Disney, uno dei big cinematografici più anziani del mondo, per non farsi sottrarre i diritti sui celeberrimi personaggi dei loro cartoni animati, ha fortemente pressato le istituzioni americane per un allungamento di vent’anni dei copyrights, ottenendolo.

Finisce così, quindi? Irrimediabilmente intrappolati tra mille cavilli giuridici? Eccezion fatte per i soliti sordidi grandi publisher, la situazione attuale lascia trapelare qualche fuggiasco raggio di sole. Di siti incentrati sull’abandonware ce ne sono a bizzeffe sulla grande rete e questo avviene grazie al tacito consenso di uomini che gioiosamente abbracciano il pubblico di internet lasciandogli scambiare tali preziosi ricordi videoludici senza interferire: nessuno ha mai portato un sito di abandonware in tribunale ed ai gestori è stata al massimo recapitata una lettera da parte delle autorità col consiglio di cessare tale attività. Ma ciò è avvenuto solo quando si è andati a scomodare nomi come quello di Guybrush o di Larry Laffer che sono tutt’altro che finiti nell’oblio.

Il buon senso appare l’unico moderatore di una disciplina inusitatamente selvaggia, tanto ingovernabile quanto utile sia filologicamente che culturalmente. Un passo in avanti da parte dei publisher sarebbe quanto mai gradito ma pare che non ci rimanga molto oltre alla speranza. Le speculazioni sconfinate di determinate software house, capaci di proporci compilation di videogiochi indecentemente emulati trent’anni dopo la loro prima apparizione, provocano davvero disgusto e l’unica salvezza potrebbe essere un intervento dei sempre meno caritatevoli governi.

Entro i limiti delle nostre possibilità, Retrogaminghistory.com si curerà di segnalarvi, di recensione in recensione, l’eventuale disponibilità dei giochi esaminati, fornendovi le informazioni necessarie per la loro fruizione. E in attesa di qualche segnale positivo… buon divertimento a tutti!

Gianluca "musehead" Santilio