Videogiocare come Non-Essere: é davvero così?

Essere o giocare: questo è il problema.
Un interrogativo su cui riflettere, non prima però d’aver tentato di trovare una definizione ad hoc.

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ID: 246652Video interazione ludica o videogiocare: pratica di interazione tecno-sensoriale con universi disincarnati (Esperienze Virtuali) capace di sublimare l’inconscio bisogno metafisico di proiettare l’Essere/Avatar/Divinità (qualificato come video-giocatore) all’interno di realtà espanse, tese a permettere esperienze di vita che preservano l’incolumità fisica del soggetto.
Stando ad una tale definizione viene da chiedersi: I videogiochi sono dunque solo pseudo simulazioni del reale che accondiscendono a varie funzioni psicologiche/sociali (intrattenimento, riflessione, catarsi)?

I videogiochi permettono rappresentazioni di interazioni quasi sempre non possibili sul piano materiale, ma prendono imperfettamente a modello il piano reale per simularne certe regole, stravolgendole.

Domanda: Gli accadimenti che avvengono nei videogiochi, dove accadono realmente?

Risposta: I videogiochi non accadono sul piano fisico/materiale della realtà tangibile.
Essendo composti di carne digitale, di realtà disincarnata (disembodied reality), i Videogiochi accadono nella mente, nel Ghost umano: i Videogames sono esperienze dello spirito.

Mente/Spirito sono quindi gli spazi da indagare, vale a dire i “luoghi” di accumulazione di tutti i residuati post-esperienziali dell’uomo, quindi, anche delle sessioni di gioco.

Domanda: Qual'é la valenza di ciò che resta di un videogioco alla fine dell'esperienza?

La memoria umana determinatasi successivamente alla pratica di universi videogiocati é sacrosanta come quella determinatasi per le esperienze di vita out-game, le quali esperienze vengono comunemente incensate come le uniche a detenere l'ontos necessario a costituire un memoriale d'uomo che si rispetti.

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ID: 246653E’ sorprendente infatti quanto possa essere diffusa l’opinione che il tempo trascorso a video-giocare equivalga a puro tempo sprecato. Tale generica convinzione nasce da riflessioni piuttosto comprensibili, in quanto gli accadimenti che si verificano in un videogioco, manifestandosi sul piano meramente virtuale/digitale/immateriale, dovrebbero non costituire una realtà “fisica”, “concreta” e “reale” appunto.
A detta di molti quindi le esperienze videoludiche non possiedono quindi la legittimità di contribuire a formare la memoria di un uomo.
Detto in altri termini è accezione comune sostenere che il vivere Esperienze VideoInterattive equivale a Non-Vivere: i videogiochi annichiliscono il videogiocatore nell’indeterminato, e il tempo trascorso a video-giocare non rende un uomo tale nel senso più puro del termine, bensì una entità inutile, sospesa fra il vivere passivamente il mondo “fisico” e l’annullarsi attivamente all’interno di un Altrove immateriale.
Videogiocare uguale quindi sparire in un mondo dove non si Esiste: una prospettiva piuttosto agghiacciante.
Per musica/cinema/letteratura il discorso si fa drammaticamente diverso: i Videogiochi ne contemplano svariati aspetti, a volte sincronicamente e aggiungendo di proprio l'interattività, eppure tale elemento non basta a scrollare dall'opinione comune l'idea che i Videogiochi rappresentino un vuoto nell’assenza di edificazione.
Eppure i video-interattori sanno bene che le esperienze di gioco che più vengono ricordate, impresse, sedimentate nella propria memoria sono proprio quelle che hanno “più anima” o “più carattere” intesi come risultante di tecnica, fantasia, ideali, volontà e perché no, cuore di un team di lavoro ch ha riversato in codice il proprio operato attraverso le risorse tecnologiche disponibili nel tempo.
L’importanza artistica di un videogioco risulta quindi la somma e il prodotto finale di tutto ciò che, a livello di codice, è in grado emozionare, indurre a riflettere e a stimolare un dato videogiocatore.
Il dna genetico/digitale di una video-iterazione si fa dunque specchio della sensibilità artistica, della capacità tecnica e delle visioni dei game designers.
In altri termini, della Essenza artistica di un team di lavoro.

Ma questa Essenza infine, non proviene forse dall’uomo?
E in che modo questa Essenza interessa il discorso della memoria?

Io credo che la interessi in ogni sua parte.
Immaginando che la fine di una esperienza videoludica (rimettere il software nella custodia senza riaprirla più) e la fine della vita di un uomo (chiuderlo dopo i dovuti riti in una bara per sempre) siano metafora della medesima azione, credo sia possibile giungere a formulare la seguente conclusione: così come il ricordo che si serba di una persona non corrisponde solo ed esclusivamente al suo aspetto fisico in life bensì annovera in sé quegli elementi affettivi che lo trascendono e che tornano a galla nel tempo facendo di quella persona una entità unica, inimitabile, non più materiale eppur vivida, palpitante e (in qualche metafisico modo) spiritualmente presente, lo stesso può dirsi di una coinvolgente esperienza videoludica che viene registrata nella memoria di un videogiocatore.

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ID: 246654Emozionarsi nel ricordare l’immersione nella Shadow Moses di Metal Gear Solid (Playstation, 1999 - Konami) ed emozionarsi ad esempio nel ricordare l’amicizia con un caro conoscente che non esiste più fisicamente, informano della medesima cosa: essenza, anima e spirito in entrambi i casi palpitano in colui che ricorda in quanto depositario di tali esperienze.
Ciò che forse è ancora difficile da accettare è che l’immateriale (i mondi virtuali, nella fattispecie) ha la stessa legittimità del fisicamente tangibile, e che i 2 piani sono facce della medesima medaglia in continua connessione.
Non esistono differenze ontologiche fra memorie video-ludiche e memorie non video-ludiche: si tratta pur sempre di memorie umane, sia che gli uomini videogiochino o meno. Da ciò ne deriva che il tempo dedicato a “video-giocare” non può, nemmeno concettualmente, essere considerato e vanificato come “perdita di tempo”, se non in modo spregiativo (e sempre contestualmente ad una determinata opera) per la qualità delle esperienze videoludiche vissute (leggasi, il tempo trascorso con un pessimo videogioco equivale al tempo trascorso con una persona ottusa, ridondante e che non lascia nulla: a waste of time).

Resta il fatto che la vita fisica che interagisce è una sola, ma le vite virtuali da esperire possono essere tante, molte, troppe a volerle "vivere" tutte.
Ma qualunque sia la qualità dell’esperienza che offrono si tratta di vite non delegittimabili causa la loro fonte originaria e il loro ontos costitutivo (Uomo, game designer/video-giocatore che sia).
I mutamenti del corpo nel tempo sono flebile, lieve testimonianza rispetto a ciò che accade nello spirito: dolore, rabbia, gioia, malinconia… le pieghe delle emozioni galleggiano sulla superficie del corpo, sui volti e sulle umane espressioni emotive lasciando sempre intravedere un infinitesimo barbaglio della complessità delle loro forme interiori.
Ma il vero libro della memoria di un uomo si scrive dentro, e concerne l’anima, non il corpo.
Il corpo indossa i segni del tempo, si veste di convenzioni e condizionamenti sociali, e ricorre ai simboli stilistici dell’abito a sintesi di una presumibile interiorità.
Il corpo è minima cronistoria di un memoriale d’uomo.

Le ore di gioco trascorse in cyberspazi videoludici nonché le esperienze di vita "reale" off-game scrivono e depositano dentro l'uomo gli accadimenti che poi diverranno memoria.
Le Video Esperienze Interattive contribuiscono al testamento interiore umano quanto le esperienze di vita out-game, poiché videogiocare comporta il vivere vite interiori, vite trascese, vite Altre rispetto a quelle "reali": per quanto virtuali si tratta pur sempre di vite, di Tempo di vita, la cui legittimità é la medesima.
Da qui nasce l’imperativo categorico di giocare bene.
E a proposito delle vite quindi, virtuali o meno che siano, di viverle dignitosamente per non sciupare il proprio tempo.

Vivere, Videogiocare… si tratta in fondo della medesima cosa.
Il videogioco é esattamente il contrario del tempo sprecato.


Luigi "Braunluis" Marrone