Location ed organizzazione
Dall’archeologia industriale a quella videoludica. In questa semplice frase si potrebbe riassumere con precisione la simbologia della location scelta dagli organizzatori. Quello che infatti era l’ottocentesco mattatoio di Roma, un luogo di sofferenza per moltissimi animali, è stato riportato alla luce dalle sue stesse rovine e trasformato in un luogo di arte e cultura, ovvero il MACRO, Museo dell’Arte Contemporanea di Roma gestito da Zetema Progetto Cultura. Una delle sale espositive del museo è La Pelanda, dove si svolge la mostra. L’allestimento è curato da AIOMI insieme ad una serie di importanti collaboratori e l’evento si inserisce ufficialmente in quelli riconosciuti da Roma Capitale.
Sinergia retroludica
La mostra è stata realizzata grazie alla collaborazione di diverse realtà del settore videoludico. Questi includono il mondo della critica editoriale, i siti specializzati, i collezionisti e molti punti di riferimento dei variegati mondi del retrocomputing, retrogaming e videogioco in generale. Partiamo subito da AIOMI, l’Associazione Italiana Opere Multimediali Interattive, nota per iniziative culturali come l’IVDC, serie di conferenze dedicate agli sviluppatori di videogiochi o il divertente Xmas Retrogame Festival che si svolge ogni anno a Villa Torlonia. Lo staff AIOMI ha realizzato la mostra sotto la direzione artistica di Marco Accordi Rickards, con in prima linea Raoul Carbone, anche direttore della logistica, l’insostituibile Alessia Padula, detta Paddy, coordinatrice dell’evento, Guglielmo De Gregori, Emanuele Paoletti,Giuseppe Saso, Valerio Pastore, Michele Giannone, Leon Genisio, Davide Panetta, e tutti gli altri collaboratori della rivista Game Republic, punto di riferimento fisso per gli appassionati di videogames. Non poteva mancare la più grande community di collezionisti italiana, ovvero Games Collection, fondata dal simpaticissimo Federico “Fedeweb” Salerno, che ha fornito molti dei pezzi storici in mostra. Archeoludica è presente con la propria collezione di sistemi e giochi del periodo “pre-rinascimentale” ed il suo fondatore Fabio D’Anna, autore dell’articolo che state leggendo. Non solo sistemi prettamente da gioco, però. Altri due grandi collezionisti del settore hanno dato un contributo fondamentale all’esposizione. Il primo è Carlo Pastore, soprannominato nell’ambiente il “Dr. Commodore”, fondatore del sito RetroCommodore, punto di riferimento italiano per gli amanti della leggendaria casa americana, accompagnato dal fedelissimo Fabrizio Picci. Il secondo è una vecchia conoscenza del settore, una vera colonna portante di questa mostra e di molte altre esposizioni storiche di computer del passato, Paolo Cognetti, fondatore di Retrocomputer.it, grande collezionista romano specializzato nel settore Home Computer ed anche giornalista storico della rivista MC MicroComputer, che molti appassionati ricorderanno con affetto. Suoi praticamente tutti gli home presenti in esposizione. Chiudono la gilda retroludica Andrea Pastore ideatore del Dizionario dei Videogiochi, orgoglioso espositore dei sistemi Amstrad, Gianpaolo Iglio, esperto di Retrogaming e curatore della rubrica dedicata su Game Republic, Simone Pizzi e Marco Gualdi di Archeologia Videoludica, che hanno contributo alla copertura mediatica dell’evento. Un vero e proprio“Retro Dream Team” estemporaneo. Molti nomi e testate, come vedete, per una mostra dai grandi obiettivi culturali di cui gli organizzatori sono davvero orgogliosi.
The Art of Games, The games of art.
L’arte è un gioco e il gioco stesso è arte. Il discorso della valorizzazione artistica del videogioco è un tema che viene portato avanti da lungo tempo e su queste pagine ne abbiamo cominciato a parlare fin dall’inizio, nel 2009, in occasione dell’indimenticabile mostra The Art of Games ideata da Debora Ferrari e Luca Traini, che per la prima volta in Italia trattava il complesso tema del videogaming con la stessa dignità di un qualunque altro medium culturale. La mostra si è successivamente evoluta in Neoludica, splendida esposizione nell’ambito della Biennale di Venezia, di cui torneremo presto a parlare. E’ sempre bello visitare mostre e fiere dedicate ai videogames o al retrogaming, ed è importante riconoscere il grande merito di manifestazioni come il Video Games History di Monza o il Firenze Vintage Bit, ma è proprio quando Ars e Ludo si incontrano che si riesce a rendere al settore il vero tributo che merita. Perché il gioco è intrattenimento, certo, ma a volte diventa pure arte e l’arte non può avere confini d’espressione.
I testi della mostra
Molti penseranno che i veri protagonisti della mostra siano gli oltre centoventi pezzi storici esposti, cadendo però in un parziale errore. Pur ricoprendo un ruolo fondamentale per la conoscenza della storia dei videogiochi, in realtà console, videogames, home computer e curiosità varie vengono senza dubbio dopo la parte testuale della mostra, presentata sia in italiano che in inglese, e curata dal direttore artistico Marco Accordi Rickards. Sessantatre suggestivi pannelli illustrati che ripercorrono le tappe fondamentali dell’evoluzione del settore. partendo dal 1958 di Tennis For Two, che “girava” su un oscilloscopio, grazie alle intuizioni del fisico statunitense William Higinbotham, fino ad arrivare al simbolico 1985, anno della rinascita in seguito al grande crack dei videogiochi. I testi si soffermano su alcuni punti salienti della storia ed analizzano i giochi che hanno fatto la differenza. 5885. Quella che a prima vista può sembrare una sigla aliena in realtà è un palindromo che racchiude le due date. Vengono analizzati i pionieri del settore come Steve Russell ed il suo SpaceWar, i grandi sognatori come Trip Hawking, i visionari inventori come Ralph Bear o Steve Sinclair, ma anche i grandi imprenditori come Nolan Bushnell che con la sua Atari ha reso il videogame un fenomeno commerciale. Non male per un tipo talmente al di sopra delle righe da farsi trovare dai suoi clienti mentre faceva un giro sui nastri trasportatori delle fabbriche o da fare i consigli di amministrazione nelle vasche idromassaggio. Alla storia di Atari sono dedicati svariati pannelli, dagli albori dei primi coin-op Computer Space, riproposizione commerciale di SpaceWar, e Pong, ideato da Al Alcorn, fino all’arrivo del “regno del terrore” di Ray Kasser , che ha trasformato un’azienda libera e “freakkettona” in una multinazionale dell’intrattenimento. Non manca un riferimento anche all’avventura parallela di Bushnell che, allontanato dalla sua stessa creatura si è gettato nel mondo della ristorazione, sempre con trovate geniali. E se vi dicessimo che proprio in Atari ha cominciato la sua carriera Steve Jobs occupandosi, insieme al collega Steve Vozniak, della versione VCS di BreakOut? Vi diremmo troppo, poiché dovete venire a visitare la mostra, che ricordiamo è del tutto gratuita, per vedere coi vostri occhi le origini del videogioco.
L’impostazione Pop
La particolarità della mostra è quella di avere una impostazione Pop, per rendere accessibile la complessa materia della storia dei videogames anche al grande pubblico, e non solo ai tanti appassionati che dovessero imbattersi in essa. Il problema del pubblico generalista è principalmente culturale, se tutti conoscono la Parlophone, casa editrice di Paul Mc Cartney ed i suoi Beatles, non è la stessa cosa per il settore videogames. Quanti conoscono le origini di Electronic Arts, oggi un vero e proprio colosso dell’intrattenimento digitale o di Activision del geniale David Crane? Queste sono storicamente due delle prime software house indipendenti (da Atari) della storia, ma non sono sole, in mostra è dedicato spazio anche all’importantissima Imagic, una compagnia di software talmente orgogliosa della sua indipendenza da citare sulle copertine dei propri giochi “Imagic non è affiliata in alcun modo con Atari, Sears o Mattel”. Accanto ai testi su Imagic troviamo le vetrine con i giochi da lei prodotti, ma questa è solo uno dei tanti esempi di lettura della mostra, che può essere osservata anche liberamente, per associazione di idee. La fruizione ideale per il pubblico sarebbe quella di seguire i testi e poi ammirare dal vero sistemi e giochi citati, ma è divertente anche girovagare tra le curiosità in modo casuale. Quando si parla di Intellivision l’appassionato si soffermerà sull’hardware, ovvero Inty II e la versione home computer Mattel Acquarius, ma il cultore dell’arte in tutte le sue forme non potrà che stupirsi per i piccoli capolavori grafici rappresentati nelle splendide ed evocative copertine, disegnate a mano dagli artisti grafici di Mattel. Che poi queste servissero a far sognare il giocatore che, a casa, si trovava con pochi pixel sgraziati poco importa, nel suo immaginario l’avventore era già un astronauta spaziale, un giocatore d’azzardo, un avventuriero o persino un eccellente stratega, come ci ricorda uno dei primi titoli di strategia mai creati, Utopia.
Pac-Man, Donkey Kong, Q*Bert e Mario, spazio alle icone del videoludo
Cosa ci fanno una pallina gialla, una scimmia, un alieno maleducato ed un idraulico con problemi di linea insieme in un museo d’arte? A quanto pare fanno semplicemente la storia dell’intrattenimento elettronico. Quella che a prima vista può sembrare una barzelletta è in realtà la celebrazione di alcune delle figure più note del settore, non più semplici personaggi noti del videogame ma ormai vere icone della cultura popolare. Pac-Man è ormai un emblema visuale riconoscibile ovunque, che trascende il suo stesso gioco per diventare simbolo universale ed universalmente noto. Ma quanti conoscono il suo creatore Toru Iwatani tra i non esperti del settore? Pochi. Decisamente. Si torna sempre allo stesso problema, non ci sarà vera cultura del videogioco finchè il videogame non sarà considerato davvero cultura esso stesso. Quella Game Culture teorizzata dalle riviste di settore come Edge o Videogiochi e per cui gli appassionati ogni giorno combattono. Come per il cinema o per la musica, è importante conoscere nomi date e fatti. Warren Davis e Jim Lee hanno creato Q*Bert figura iconografica di pari potenza al più noto Pac, ma chi si ricorda di loro se non gli storici del settore? Meglio vanno le cose a Shigeru Miyamoto, creatore di DK e Mario, notissimo ormai al grande pubblico grazie all’enorme esposizione mediatica di Nintendo stessa, che ha puntato moltissimo sul “personaggio” oltre che sull’autore in senso stretto. Ma sono davvero tanti i nomi e le curiosità all’interno della mostra.
Dalla genesi al grande Crack, fino al rinascimento dei videogames
La mostra tratta un periodo poco noto al grande pubblico, che parte dalle origini per arrivare al grande crack dei videogiochi, rappresentato tristemente dal titolo E.T. per VCS, a cui sono dedicati ben due pannelli, e di cui la leggenda vuole Atari abbia sepolto milioni di cartucce invendute nel deserto del New Mexico, o forse del Nevada… ed ancora oggi si scava per cercare la verità! I sistemi in mostra sono tanti, perché il fermento e la voglia di creare qualcosa in questo nuovo settore era altissima, ma quando il potenziale giocatore si è trovato all’inizio degli anni 80 di fronte oltre venti diversi sistemi da gioco prodotti dalle case più disparate, è chiaro che ne è stato disorientato. Questo, unito al fatto che chiunque, anche sviluppatori con poca o nessuna esperienza, si buttassero nella programmazione di sistemi a loro poco noti, portava a risultati non certo esaltanti. Ben presto questo modus operandi ha portato allo scontento del pubblico statunitense, il primo che storicamente si sia avvicinato ai videogames in maniera massiva. A poco è servita la presenza di veri e propri artisti geniali del settore, come Eugene Jarvis (Robotron 2084), Mattew Smith (Manic Miner) o i fratelli Stamper (giochi della Ultimate Play the Game), a cui è dedicato il pannello di Atic Atac, gioco del 1983, oscurati dalle troppe produzioni di scarso valore. Ci voleva Nintendo. E ci voleva l’intuizione di riproporre il videogioco agli americani come semplice “gioco” per convincerli a riprovarci. Ci voleva un semplice bollino di qualità. Ma dietro l’ “Original Seal of Quality” c’erano titoli davvero di ottimo valore ludico, ancora oggi giocati ed amati da moltissime persone. Il videogioco dunque è nato in America, ma simbolicamente è proprio il Giappone ad averlo salvato. Senza il NES, forse, oggi non giocheremmo più… e quella dei videogames sarebbe stata una piccola parentesi dell’intrattenimento finita nel 1984.
Una pallina, due barretta e uno schermo nero
Tanto bastava alla fine degli anni 70 per divertirsi, non c’era bisogno di chissà quale grafica o storia complessa. Bastava colpire un piccolo e squadrato pixel per sentirsi coinvolti in una emozionante partita di Tennis, disputata dai grandi campioni di Wimbledon. E se dopo quaranta lunghi anni gli AIR, gruppo di musica elettronica francese, hanno dedicato al gioco una citazione nel video Kelly Watch the Stars un motivo ci sarà. L’impatto culturale di Pong è stato davvero enorme ed indimenticabile per generazioni a venire. Gamezero non poteva esimersi dal fornire il suo tributo a quelle icone del videogame casalingo che sono le macchine Pong-based. Accanto ai pannelli storici che ne spiegano la genesi troviamo ben due vetrine dedicate a questi sistemi stand alone. Si inizia dal leggendario Magnavox Odyssey del 1972, dalla collezione personale di Fedeweb, per poi spaziare tra le diversissime produzioni ponghiane dell’epoca. Pur famosissimo, in realtà Odyssey non ha avuto un grande successo commerciale, anche per colpa di Magnavox stessa, che cercava di convincere il pubblico che il sistema da gioco fosse compatibile solo con i suoi televisori, cosa di fatto totalmente inventata! La casa di Mario era già nel settore e dal lontano 1978 proviene il Nintendo Color TV Game 15, che include 15 varianti del gioco Light Tennis. Dello stesso periodo sono i successivi REEL Giochi TV, un particolare Pong italiano prodotto da Reggiana Elettronica, Polistil Video Games, prodotto dalla notissima casa di giocattoli, e il Coleco Telstar, costruito da una ex azienda di pellame americana che debuttava all’epoca nel settore videogames. Concludono la carrellata Pong due sistemi molto simili, il Philips Odyssey 2001 ed il Phonola Teleflipper, che sono in realtà la stessa macchina, l’originale Magnavox Odyssey 4000, commercializzata sotto marchi diversi dalla Magnavox. Un altro splendido Pong è il Vtech Creativision prodotto da Zanussi Elettronica posizionato accanto ad un Conic TV Sports 621 ed al suo gemello Soundic SD 01 TVG Colour. Il livello espositivo è stato diviso in due parti, le vetrine verticali più vicine ai pannelli testuali contengono i sistemi ed i giochi trattati nei testi, mentre in quelle orizzontali, situate in posizione secondaria, trovano posto altri sistemi storicamente importanti ma che non sono direttamente coinvolti nel filo conduttore del racconto. La disposizione dei pannelli poi non è lineare, ma segue un percorso con rientranze e zone nascoste da scoprire, e questo rende la ricerca più affascinante.
Aiuto! Inizia l’invasione!
Uno dei giochi più noti al pubblico successivi a Pong è proprio Space Invaders, ideato da Tomohiro Nishikado nel 1978 e a cui sono dedicati sia il pannello storico che la parte espositiva. Il gioco è stato analizzato moltissime volte dalla critica negli anni e tutti sono concordi nel riconoscere ad esso un’universalità ludica senza tempo, al punto da essere riproposto molto spesso sul mercato ancora oggi. Rarissima la versione del gioco “big box” per Atari 400/800 in mostra, che condivide la vetrina con un altro grande classico, Missile Command. Durante l’arrivo negli stati uniti solo un gioco è stato capace di tenere testa agli invasori pixellosi di Taito, Football di Atari in cui delle semplici “X” ed “O” rappresentavano i giocatori, ma gli alieni presto lo eclissarono.
Gli invasori spaziali sono simbolicamente anche l’emblema di una vera e propria invasione sulla terra dei videogames. Sul finire degli anni 70 tutti volevano video giocare, tutti volevano fare una partita “virtuale” a tennis o sparare agli alieni. Il gameplay di Space Invaders è stato in seguito riproposto da Namco con altri due titoli, Galaxian e Galaga, divenuti anch’essi dei grandi classici. La difesa della terra è lo stessa tema di un visionario Defender, considerato il primo gioco hardcore della storia, che con le velocissime scorribande avanti e indietro per lo schermo per salvare gli ultimi terrestri sopravvissuti è rimasta indelebile nell’immaginario collettivo. Ma è solo nel 1980, con l’arrivo di Pac-Man e successivamente Donkey Kong che si inizia a delineare un diverso modo di intendere il videogioco, stavano finendo le paure della guerra fredda tra USA ed URSS, che si riflettevano nei titoli da gioco, il clima mondiale appariva più sereno ed era ora di dare ai videogames un’aria amichevole e pacioccona. Certo in molti di loro in si ritrovano ancora l’ansia e la paura già visti in Space Invaders, come gli immortali Asteroids e Battlezone realizzati da Atari, ma era chiaro che il vento stava cambiando ed oltretutto era un vento proveniente dal Giappone. Nel 1981 è l’ora di Lady Bug di Kazutoshi Ueda, simpatico clone di Pac ispirato al mondo degli insetti e della riscossa delle ragazze. Ms Pac-Man, progetto amatoriale diventato poi ufficiale, vede per la prima volta una donna nel ruolo di protagonista del videogame! Dello stesso anno anche Tempest di Dave Theuer, che proponeva prospettive inedite in prima persona. Nel 1982 arriva il leggendario Q*Bert realizzato da Gottlieb, una gloriosa casa di flipper, di cui trovate la recensione nella sezione coin-op. Dello stesso anno il primo platform a scorrimento della storia, Pitfall di David Crane e giochi ormai notissimi come Burger Time della Data East o Pengo di Sega. Da imagic arriva un titolo dedicato a Dracula per Intellivision e persino Disney si butta nel settore con giochi basati sul suo film Tron, anche su Intellivision. E come dimenticare Robotron 2084, sparatutto multi direzionale a schermata fissa ideato da Eugene Jarvis? Ma l’82 è anche l’anno che precede la disfatta. Esce E.T., disastroso gioco del pur talentuoso Scott Warshaw, autore anche di Yar’s Revenge, e diventa il gioco simbolo del grande crack dei videogames! Nel 1983 è l’ora di Dragon’s Lair, il più acclamato tra i laser games. Persino i Puffi arrivano su ColecoVision! Lo spazio è ancora protagonista in due opere, Zaxxon, sparatutto isometrico di Sega, e il celeberrimo Star Wars, indimenticabile arcade vettoriale. Famigerato invece lo “spacca joystick” Track & Field di Konami, a causa del quale si ruppero migliaia di controller in tutte le case! Sempre dell’83 sono il primissimo Mario Bros di Nintendo e Manic Miner, cult game per Spectrum. Nel 1984 è poi la volta del soleggiato Summer Games di Epyx, indimenticabile titolo olimpico e dell’oscuro H.E.R.O. di Activision, antitetico ed ambientato nelle caverne più profonde, ma è solo nel 1985 che arriva il rinascimento, con Super Mario Bros, titolo simbolo della nuova era che di li a poco segnerà il periodo d’oro della creatività orientale. Ognuna di queste singole opere è analizzata con cura nei testi della mostra che ripercorrono una ideale carrellata dei titoli più significativi che il settore abbia prodotto tra la fine degli anni 70 e la metà degli anni 80.
Tesoro mi si è ristretto il videogame!
Questo il titolo del pannello storico dedicato ai primi portatili mai realizzati. Qui si parla di alcune curiosità legate all’ MB Microvision del 1979 che presenta uno chassis dove montare primitive cartucce intercambiabili. Stand alone, ovvero con un solo gioco all’interno, sono invece i Nintendo Game & Watch LCD prodotti dalla casa giapponese dal 1980 in poi. Una decina di modelli assortiti, che sono ormai un vero e proprio oggetto cult del videogiocare portatile e che tutti i bambini degli anni 80 conservano come importantissimo ricordo dell’infanzia. Chi non ha indissolubilmente legata nella mente l’immagine di una partita in riva al mare da piccolo con davanti un tramonto ed in mano il classico Popeye? Fra l’altro i G&W hanno legato il proprio nome anche alle prime trasposizioni “giocabili” da tasca di personaggi notissimi nell’intrattenimento, da Mickey Mouse a Snoopy. Meno tascabili ma altrettanto famosi sono i sistemi Tabletop che volevano “nel loro piccolo” fare il verso ai cabinati da sala. La gloriosa Epoch è presente con il GrandStand Scramble, basato sul divertentissimo gioco da sala del 1981, mentre la rivale Tomy, che non aveva avuto i diritti del titolo, si consola col suo clone Rambler. La console war, pare, è sempre esistita. E le esclusive, anche. Chiudono la carrellata i portatili Tomy Formula 1, col suo volantino in miniatura, e i diffusissimi Mattel Electronics Soccer, grandi classici della ricreazione in moltissime scuole italiane!
L’arrivo dei giochi su cartuccia
Tornando nelle case ecco arrivare due sistemi dallo scarso successo commerciale ma decisamente importanti per l’evoluzione del settore. Il primo è l’evoluzione dell’Odyssey, ovvero il Philips VideoPac G 7200, splendido nella sua linea squadrata con schermo incorporato, e noto anche come Odyssey 2, una pesante eredità da portarsi dietro. Il secondo è il primo sistema casalingo a proporre le cartucce da gioco separate, grazie ad una geniale invenzione di Jerry Lawson, un ingegnere elettronico che ha ideato il concetto stesso di cartridge, ovvero un piccolo supporto hardware dove memorizzare i giochi e commercializzarli poi a parte, sempre diversi tra loro. Ottima l’idea di numerare le scatole per spingere i giocatori al collezionismo. Stiamo parlando del Fairchild Video Entertainment System del 1976, in seguito noto come Channel F. Il catalogo completo della macchina è di soli 26 giochi più una cartuccia demo.
Atari? Magari!
Questo è lo slogan storico di Atari, da sempre maestra nel marketing. Nei pannelli testuali è ben evidenziato il genio commerciale del fondatore della casa americana Nolan Bushnell che, dopo aver riproposto il ping pong di Ralph Baer col suo Pong, a sua volta clonatissimo da tutti, ha nuovamente attinto ad altri per la sua console successiva, ovvero l’Atari Video Computer System del 1977. Il sistema era decisamente simile a quello presentato da Fairchild l’anno precedente, ma includeva la geniale intuizione di utilizzare il suffisso “computer” su un sistema che in realtà era solo da gioco. Questo escamotage ha avuto molta presa sul pubblico generalista, e ne ha decretato, fattore non unico ma importante, il grande successo. Fairchild dovette addirittura cambiare nome al suo sistema proprio per evitare la similitudine con la macchina Atari. In mostra sono presenti ben quattro versioni del VCS, il classico Heavy Sixer con finitura lignea, il successivo 2600 totalmente nero ispirato a guerre stellari, vero tormentone mediatico dell’epoca, il piccolo ma ancora grintoso 2600 Jr “Ireland” e uno spettacolare ibrido console-home computer Atari-SpectravideoVCS Compumate che unisce un classico 2600 con un modulo Spectravideo Compumate, dotato di sistema operativo e tastiera, che lo rende un vero computer a tutti gli effetti. L’eccezionale pezzo proviene, come tutti gli home, dalla Cognetti Collection. Non potevano poi mancare i celebri computer Atari 400, 800 ed 800 XL, con periferiche come il datassette 410 o l’Atari Trak-ball e l’immancabile Q*Bert versione home, sistemi che molti giocatori ricordano decisamente con affetto. Non manca un riferimento al Cosmos, visionaria console portatile mai uscita sul mercato ideata da Al Alcorn e bocciata dal “malvagio” Ray Kassar.
Console War del passato
Lo spazio Intellivision è quello che forse stupisce di più il pubblico in visita per la bellezza concettuale del suo mondo, ma sono in realtà presenti tutti e tre i grandi competitors dell’epoca. La prima vera grande console war tra Mattel, Atari e Coleco, che vede in mostra il suo Colecovision. Ogni console offriva, proprio come oggi, titoli esclusivi e “killer application” Atari puntava spesso su giochi prodotti internamente negli USA come Pitfall o River Raid, ma non disdegnava produzioni giapponesi come Mario Bros, sviluppato nel 1981 da una Nintendo ancora acerba. Coleco rispondeva con pezzi da novanta come Donkey Kong o Popeye! Nintendo infatti sviluppava i propri titoli per altre case hardware non avendo ancora una propria console da casa, tranne il CTVG basato su Pong e mai uscito dal Giappone. In seguito la casa sarebbe diventata gelosissima dei propri franchise, ma DK risale al 1980 ed esiste persino per il “serissimo” Apple II, come si può constatare in mostra. In diretta concorrenza tra loro questi sistemi in realtà sono nati in anni che spaziano dal 1977 al 1982, ma allora i tempi commerciali non erano come adesso, dove tra un sistema e l’altro spesso c’è solo un anno di differenza o al massimo due.
Il caso Death Race
Pensavate che le polemiche sulla violenza eccessiva fossero cominciate con Mortal Kombat o il recente GTA? Ebbene scoprirete che già nel 1976 c’era Death Race, un titolo di Exidy, in cui si investivano degli scheletri, che con una grafica limitata e stilizzata parevano essere persone, e che aveva fatto scandalo presso il grande pubblico. Ben due decenni prima di Carmageddon, oltretutto.
Curioso il fatto che non ci saremmo più liberati delle polemiche più o meno gratuite contro i videogames fino ai tempi moderni.
My name is Sinclair, Steve Sinclair
Grande spazio è dato dalla mostra al leggendario Steve Sinclair, ingegnere mancato che ha preferito mettersi in proprio sfruttando la sua passione per l’elettronica. Nei pannelli che parlano di lui si scoprono tante interessanti curiosità sulle origini della nobile casa inglese, amatissima dagli appassionati. Ovviamente non poteva mancare una vetrina dedicata ai tre sistemi prodotti da Sinclair, ovvero i primordiali XZ80 e XZ 81, caratterizzati da forme contenute e linee futuristiche ed accattivanti, quasi essenziali nella loro unicità. Grande protagonista del mercato ludico è stato però il celebre ZX Spectrum, che inizialmente si doveva chiamare semplicemente 82 Colour, per evidenziare la presenza dei colori rispetto ai precedenti sistemi. Il più accattivante nome Spectrum ha preso però il sopravvento ed il piccolo ma performante sistema si è battuto direttamente contro il Commodore 64. Quasi una lotta tra Davide e Golia, tra la composta e disciplinata serietà inglese e la caciarona e spettacolare euforia americana. 48K versus 64K, due mondi, due filosofie diverse, ognuno unica a suo modo. Tra i giochi che accompagnano la vetrina Sinclair troviamo titoli come Yes, Prime Minister o il leggendario Tetris, Horace goes skiing, Ghostbuster II di Activision, Elevator Action di Taito, Xenon dei Bitmap Brothers, Throne of Fire, Roadwars, Ball Blazer ed il trittico Psygnosis con TerrorPods, Obliterator e Barbarian. Questi ultimi titoli, come del resto moltissimi altri del catalogo spectrum sono sviluppati da Melbourne House. Proprio dal piccolo Spectrum è partita l’industria dello sviluppo di software inglese, oggi una delle migliori e più stimate al mondo.
Commodore Business Machine
Dalle nebbie inglesi passiamo alle soleggiate spiagge statunitensi. Commodore è un nome tuttora importantissimo per milioni di giocatori in tutto il mondo e, pur avendo iniziato la sua carriera informatica con macchine pensate per l’ufficio, ha poi specializzato la sua produzione in sistemi ottimali per il gaming. In mostra sono dedicati alcuni pannelli testuali alla grande C, essi si soffermano sulla figura di Jack Tramiel, il fondatore della gloriosa casa americana ed approfondiscono il rapporto concorrenziale tra Commodore e Sinclair, simbolico anche del conflitto tra la visione americana e quella europea. Meglio C64 o Spectrum? Anche qui la diatriba era fonte di interminabili sfide dialettiche tra gli appassionati, ma su entrambi i sistemi si sono visti giochi eccezionali ricordati ancora oggi. Quando si parla di Commodore non si può non dare spazio a Carlo Pastore, fondatore del sito RetroCommodore, che ha dato un grande supporto alla mostra. Suoi quasi tutti i sistemi Commodore in esposizione, come il Commodore PET, il primo sistema business creato alla fine degli anni 70, che riscuote sempre un grande successo presso il grande pubblico, grazie alle sue linee essenziali e squadrate che richiamano alla mente il minimalismo concettuale degli anni 70. Una vetrina a parte merita il Commodore 64 l’home computer più venduto della storia, ma soprattutto il più amato. Il particolare modello esposto è una rara versione detta C64 ALDI, distribuita in esclusiva per la catena di supermercati ALDI negli anni 80. Il Datassette 1531 è simbolicamente esposto da solo in un ripiano dedicato. Quanti mondi fantastici erano contenuti in quelle piccole cassettine analogiche. In quei nastri magnetici si nascondevano interi universi da scoprire, ogni volta diversi e fantastici agli occhi di chi li giocava. Storie, idee, sogni, amori perduti che non torneranno più e chissà quante altri ricordi sono legati a quei tempi indimenticabili. Spesso citato in opere cinematografiche e musicali, il C64 è oramai entrato a pieno diritto nell’immaginario collettivo degli anni 80, assieme ad altre icone popolari come la Vespa o il piumino Moncler.
La famiglia 264, che gli appassionati di retrocomputing conosceranno bene, è presente al completo, con C16, C116 e C plus 4, esposti insieme in una vetrina con i loro giochi e programmi. Completano il quadro commodoriano un Vic 20 prima serie con datassette e joystick tratto dalla Cognetti Collection con lettore floppy Vic 1541, l’ultimo C64 mai prodotto, ovvero la versione console C64 GS e un altro sistema business, presentato da Archeoludica, il Commodore CBM 8032 SK. SK sta per Separate Keyboard, uno dei primi personal a presentare l’innovazione della tastiera staccabile dal corpo macchina che, grazie al suo elegante design disegnato dallo studio Porsche Design ha vinto anche un premio per il miglior design industriale. PET e CBM sono sistemati simbolicamente al centro della mostra, sono sistemi poco legati al gaming puro ma sono ormai una vera icona del passato, quando si pensa al retrocomputing o alla storia dell’informatica nella mente spesso appaiono proprio i primi Commodore prodotti. Moltissimi i giochi commodoriani in mostra, tra cui spicca Attack of Mutant Camels dell’eclettico Jeff Minter su etichetta Llamasoft.
La collezione Home Computer
Una corposa parte della mostra è stata gentilmente messa a disposizione dell’organizzazione da Paolo Cognetti che è un collezionista specializzato in home computer, oltre ai computer già citati dalla sua collezione troviamo pezzi storici importanti come il Tandy TSR 80 che è il primo home computer su cui era possibile trovare conversioni delle hit da sala, o lo Spectravideo SVI-318 che dichiarava subito le sue intenzioni prettamente ludiche, grazie al joystick rosso integrato nel corpo macchina. Un altro hardware interessante è il piccolo ma grintoso Matra & Hachette Alice, sistema francese dallo chassis rosso che include una mini stampante e il datassette. Molti pensano che Sony abbia iniziato la sua produzione nel settore videoludico con la famiglia PlayStation, ma in realtà oltre dieci anni prima della PS1 era già presente sul mercato con vari home che supportavano lo standard MSX, come il Sony HB-75 MSX in mostra. Compatibile con lo stesso standard il Philips MSX un altro coloratissimo home progettato con un occhio di riguardo ai bambini.
Storicamente importantissimo è anche il Texas Instruments TI99/4A prodotto nel 1979 da una azienda che prima di allora si occupava solo di calcolatrici. Il TI99 è tuttora seguitissimo dagli appassionati di tutto il mondo ed in Europa conta anche sul supporto di gruppi molto presenti nella scena degli eventi retro, come l’italiano TI-99 Italian User Club fondato da Ciro Barile. Chiudono la carrellata l’Oric 1, l’Exelvision EXL100, ed un computer tutto italiano, l’Olivetti PC128, molto amato dai giocatori. Non potevano mancare i sistemi Amstrad CPC 464 e 6128, offerti dal DVG.
Inizia la lotta tra Sega e Nintendo
Presenti già nelle vetrine precedenti con sistemi del passato come Sega SC3000 e Nintendo Color TV Game, Sega e Nintendo si vedono simbolicamente contrapposte nelle ultime due vetrine della mostra, appena prima dell’area interattiva. A sinistra ecco apparire il glorioso Famicom giapponese con accanto la sua evoluzione occidentale, l’indimenticato Nintendo Entertainment System che dalla metà degli anni 80 in poi era quasi in tutte le case americane. Sega non è da meno, e nella vetrina di destra presenta il suo Master System. Le due case saranno acerrime rivali fino alla fine degli anni 90, quando il predominio Sony metterà definitivamente fine alla contesa vedendo Sega ritirarsi dal mercato hardware e Nintendo ridotta a quote di mercato molto basse. E l’occidente? Chiude simbolicamente la mostra il Commodore 128, home computer vissuto all’ombra del suo predecessore C64 ed ormai ridotto ad un relitto dello scenario.
Le avventure testuali
Poche le case di software che sviluppavano esclusivamente per questo sistema, tra cui la Infocom, i cui pannelli sulle storia delle appassionati avventure testuali sono gli ultimi della mostra. La casa è attiva sulla scena fin dal 1979, ed ha rilasciato giochi come Zork, Deadline, Planetfall, Cutthroats, Hitchhiker’s guide to galaxy o A mind forever voyaging, del 1985, grazie a grandi firme come Steve Merezky o Mark Blank, anche cofondatore della casa di software.
Titoli ed autori forse poco noti al grande pubblico ma appartengono ad un genere perduto nobile ed antico, paladino di un tempo in cui l’immaginazione era tutto e la grafica… non c’era. Emblematica la frase simbolo della Infocom pronunciata nei testi, “Non c’è mai stato un computer costruito dall’uomo in grado di riprodurre le immagini che creiamo nella nostra mente. E mai ci sarà.“. La mostra offre l’occasione più unica che rara di ammirare queste opere dal vero, nelle loro evocative e ricercatissime confezioni, molto ricche di gadget. Le avventure citate sono state spesso riproposte sul mercato in raccolte successive come Lost Treasure of Infocom uscite per PC ed Amiga e sono oggi da considerare un vero e proprio patrimonio culturale inestimabile, da preservare ad ogni costo. Videogiochi certo, ma anche opere letterarie interattive uniche, vere fiction d’arte videoludica. Madri delle successive avventure grafiche, le avventure testuali sono forse il punto più alto raggiunto dal genere delle avventure, e torneremo presto a parlare di loro su queste pagine.
Le conferenze
Nei primi tre giorni della mostra il pubblico ha potuto assistere ad un ciclo di conferenze e tavole rotonde che hanno affrontato il videogame a 360 gradi. Tra i relatori c’erano ovviamente diverse personalità provenienti dal mondo dei videogames ma anche politici come Irene Pivetti o Giovanni Fava, artisti come Enrico T. De Paris ed opinionisti d’arte come Maria Stella Signoriello. La storia dell’Atari è stata raccontata al pubblico dall’esperto di retrogaming Gianpaolo Iglio, mentre in altre tavole rotonde e dibattiti si poteva interagire con i redattori di Game Republic, tra cui Valerio Pastore o studenti dell’università di Tor Vergata come Veronica Piras. Le riprese della tre giorni no-stop sono state a cura dell’inossidabile Giuseppe Saso. Diversissimi gli argomenti trattati, arte dei videogames, pirateria, storia video ludica, carrellate storiche come quella di Ivan Paduano o tavole rotonde con possibilità per il pubblico di interagire con i relatori. Dalla Germania proveniva Frank Sliwka, che ha parlato del futuro dell’industria europea.
La filososofia psichedelica di Jeff Minter
Un vero e proprio Mozart del settore videoludico, questo è Jeff Minter. Formatosi a scuola da autodidatta programmatore sul Commodore PET ed evolutosi ben presto sui più performanti Vic 20 e C64, l’artista inglese è ormai diventato una vera icona pop dei videogiochi. Un approccio estremo. Una vitalità di composizione tale da stupire persino i creatori stessi delle macchine su cui Minter scriveva i suoi giochi. Chi altro avrebbe sfruttato i bug interni del sistema per riempire di sprite all’inversosimile lo schermo? Assembly. Questo il linguaggio preferito dall’autore, perché il più vicino al linguaggio macchina. Ossessione. Velocità. Cammelli. Questa la triade compositiva dell’eclettico creatore di Llamasoft, una casa di produzione ludica unica ed estrema, come il suo ideatore. Aggressor è il primo titolo minteriano, un clone allucinato di Defender? No. Una citazione colta perché il vero artista non copia mai, cita soltanto. Attack of Mutant Camels, anch’esso ispirato da un gioco “ufficiale” di Guerre Stellari traslato poi nella poetica tipica dell’artista. Jeff Minter, Yak per gli amici, e la sua opera prima trovano il loro spazio tra i titoli fondamentali del C64, ma sono anche protagonisti di un momento delle conferenze sul palco a cura dell’autore di questo reportage che per l’inimitabile autore ha una vera e propria venerazione incondizionata.
L’Arte Multimediale di De Paris
Durante i tre giorni degli incontri con il pubblico è stato possibile ammirare dal vivo una bella opera d’arte intitolata Laboratory, ideata dall’artista italiano Enrico T. De Paris. La particolarissima composizione parte da alcune ampolle di laboratorio per rappresentare diversi microcosmi che si uniscono ed un cuore al centro. Filosofia scultorea che vagheggia su uomini, donne, mondi, realtà e fantasia. Sesso ed Amore, vita e morte. Il tutto unito ad immagini psichedeliche e suoni alieni che paiono provenire direttamente dall’astronave madre di Alien. Non ci si può dilungare in questa sede ad analizzare minuziosamente la complessa simbologia che si cela dietro l’opera, ma bisogna riconoscere che è davvero molto adatta al contesto videoludico della mostra.
L’area interattiva
Dominata dai suoni retro futuristici dell’onnipresente Vectrex con colonnina dedicata, l’area interattiva della mostra offre sei postazioni ludiche dove provare i grandi classici del passato. Il Vectrex è ovviamente il sistema che più degli altri rapisce il pubblico in visita, con i suoi titoli a metà tra classici e giochi che paiono provenire dalla ludoteca personale del capitano Kirk. I visitatori si perdono tra le esplosioni incontrollabili di Minestorm e quasi indietreggiano quando lo schermo simula la rottura del vetro! E che dire di titoli come Scramble o Star Trek The Motion Picture? Tutti basati su grafica vettoriale, giochi unici ed inimitabili, che solo sul Vectrex riescono a stupire così tanto. La console di Smith Engineer vede spesso crearsi una vera e propria coda davanti a sé, quasi fosse un cabinato appena uscito sul mercato nei ruggenti anni 80 delle sale giochi. Ci sarà anche il famigerato “gufo” a tifare contro i giocatori con i suoi “gufowatt”? L’atmosfera è davvero quella degli eighties, complice anche la musica del passato presentata dalla gloriosa compilation Activision Anthology, che contiene molti classici per VCS. Per non usurare troppo i sistemi del passato abbiamo scelto infatti di offrire in prova anche delle console moderne dotate delle fantastiche “retro compilation” ricolme di titoli d’epoca. Una PS2 fat silver, una PS2 slim, un GameCube equipaggiato con GB Player, un Sega Mega Drive e la sua riedizione Blaze completavano il “parco macchine” da battaglia. I visitatori sono davvero entusiasti di provare classici come Defender, Battlezone, Mr.Do, Asteroids, Space Invaders, Pac-Man, Marble Madness, Rampage, Donkey Kong, Commando, Super Mario Bros, Robotron 2084, Boulder Dash, Q*Bert, o Pitfall, tutti rigorosamente usciti tra la fine degli anni 70 e l’85 anche se, a grande richiesta, abbiamo portato anche alcuni titoli di poco successivi ma decisamente amati dal pubblico come Golden Axe, Castlevania, o il primo indimenticabile Metroid. Bellissime le reazioni della gente in visita, che spaziano dal super appassionato che quasi si commuove di fronte ai suoi titoli preferiti al bambino che cerca di utilizzare il Vectrex toccando lo schermo come fosse un moderno iPad ed il padre che gli dice “è roba vecchia, funziona solo col joystick!” Soddisfatto anche Raoul Carbone che dichiara fiero “finalmente sono riuscito a finire Forgotten Worlds!” Imperdibile l’esibizione di Andrea Pastore che con “un solo gettone” ha fatto una partita a Ghost’n Goblins fenomenale, raggiungendo l’ultimo livello ed il punteggio sovrumano di 129.000 punti. Un eroe!
Feedback positivo!
Il pubblico ha risposto decisamente bene alla mostra, specie nel fine settimana dove c’è un vero e proprio pienone nel museo, spesso arrivano gruppi in gita scolastica, tra cui ricordiamo quello del simpatico Professor Giorgio Bottando, con ragazzi nati intorno alla metà degli anni 90. Se non fosse per iniziative culturali come questa mostra come avrebbero modo di poter conoscere dal vero la storia dei videogiochi? Certo, diranno molti, c’è internet. Ma non è la stessa cosa. Toccare con mano un Vectrex, restare abbagliati dalle sue intense luci vettoriali, è un’esperienza che va davvero provata in prima persona. Ammirare dal vivo l’Intellivision o il VCS non ha prezzo. Molti, dopo averlo fatto, si avvicinano anche allo storia dei videogiochi o iniziano ad appassionarsi al variegato mondo del retrogaming. Durante i giorni della mostra non è raro imbattersi in “volti noti” del retro mondo, come i collezionisti Carlo Ambler e Mario Di Loreto o il critico Luigi Marrone, ma è bello vedere soprattutto il pubblico cosiddetto “generalista” interessarsi alla storia dei videogames e soprattutto affrontarla come un vero fenomeno culturale e non semplicemente come puro intrattenimento. Far conoscere alla gente comune nomi, fatti e correnti di pensiero del retroludo è proprio l’obiettivo primario della mostra.
Conclusioni
Il videogioco come fenomeno di cultura pop. Ma anche il videogioco come testimone storico dei tempi in cui è stato concepito. Il bello della mostra è voler approfondire la verità sulle origini del videogame, sui pionieri che hanno fatto grande il settore, sui titoli che hanno rappresentato delle vere e proprie pietre miliari e sui loro autori. Artisti digitali, eccome come la mostra presenta figure importantissime del game design o anche ingegneri e progettisti che con i loro sogni e le loro intuizioni hanno fatto la storia. In fondo è proprio il modo in cui la “game culture”, per cui tutti noi appassionati ci battiamo, vorrebbe fossero visti dalle istituzioni e dal grande pubblico. Perche le avventure testuali devono avere pari riconoscimento artistico dei romanzi e conoscere la loro storia è importante per capire davvero da dove inizia e dove vuole arrivare il videogioco. Nella cultura greca c’era L’odissea, in quella videoludica l’Odyssey! Ma ora è tempo nuovamente di giocare, fate partire il vostro titolo preferito e perdetevi nei sui mondi fantastici, dove dietro ad ogni pixel è nascosta un’emozione.
Altre immagini:
Scherzi a parte, alla prossima occasione così, devo proprio muovere il sedere da Brescia ed andare a provare Colecovision e Vectrex!