Partiamo da un dato statistico: Postal è il film di Uwe Boll con il miglior incasso di sempre (alle porte dei 40 milioni di dollari) ed anche quello più apprezzato dalla critica. Proseguiamo con un dato di fatto: Uwe Boll è ancora lui.
La conoscete la saga di Postal? Trattasi di giochi assai poco “politically correct”, nati col proposito di scandalizzare piuttosto che divertire. Ciononostante, il primo episodio vantava elementi di interesse, tra cui una discreta innovazione e scenari in alta risoluzione disegnati per niente male. Il secondo si convertì alla religione degli shooter, un genere troppo più complesso del talento degli sviluppatori che ne smascherò gli stringenti limiti.
Ricordate anche le trame dei giochi? No, perchè è bene che sappiate che, come da tradizione di Boll, in questo episodio vengono bellamente ignorate. Poco male, non erano nulla di interessante, ma narravano della vita folle trascorsa dal “postal dude”, il protagonista sempre in mezzo a feroci reazioni scatenate dall'ottusità della cittadina in cui abitava e della società in generale. Permangono pochissimi elementi, tra cui il nomignolo del protagonista, la cittadina che fa da sfondo alle vicende (Paradise) e l'idiozia dei suoi abitanti.
Il Postal Dude, interpretato da un simpatico Zack Ward, conduce una vita pietosa, umiliato da aspirazioni lavorative puntualmente tradite e da una moglie, con la quale convive in una roulotte, orribilmente grassa nonché ninfomane, quasi costretta a rimanere a letto dalla sua mole, sul quale riceve un andirivieni infinito di amanti, con la connivenza del marito. In sottofondo, una Paradise surreale, dove i poliziotti usano disabili per fare soldi e ammazzano vecchiette solo perchè non partono subito ai semafori, dove trovano spazio feste filonaziste e cellule terroristiche di integralisti musulmani. La svolta della vicenda è rappresentata dall'arrivo di un carico di bambole falliformi, talmente richieste su internet da raggiungere cifre esorbitanti, tali da suscitare l'interesse di Al-Qaeda, capitanate da Bin Laden in persona, e di una setta religiosa fondata dallo zio del Postal Dude che lo convince a partecipare al furto e puntare a facili ricchezze.
La limitata ricchezza del brand di Postal ha offerto a Boll la possibilità di deludere meno, e così è stato. Lo stesso regista sembra avere realizzato l'impossibilità di spingersi oltre il traguardo di un progetto scanzonato e l'umiltà degli obiettivi tende a porci in uno stato d'animo ben disposto nei confronti della pellicola. Il regista tedesco sceglie la via della dark comedy e sarebbe disonesto non riconoscergli qualche episodio divertente, principalmente dovuto all'autoironia verso il suo curriculum che prevede persino una scena in cui lo stesso Boll recita sé stesso (malissimo, proprio come piace a noi), nella quale viene dapprima ridicolizzato e poi ucciso. Ad uno sguardo più attento, tuttavia, risulta abbastanza chiaro che le risate (risatine) che spunteranno sul nostro volto saranno frutto di una serie infinita di tentativi in rapida successione del regista, che ci propone situazioni e comportamenti paradossali ad ogni scena, con una percentuale di battute riuscite in realtà davvero modesta. Il bouquet offerto dalla pellicola comprende davvero di tutto, dall'islamismo integralista alle perversioni della società, ma lo spunto brillante latita nei dialoghi, tanto che Boll, per sorprenderci, talvolta con successo, si trova costretto a puntare all'immagine, con nudità a destra e a manca ed aberrazioni fisiche varie (è presente anche un piccolo ruolo per Verne Troyer, il nano di Austin Powers), tutte così straordinariamente inopportune da destarci quantomeno un sorriso di sorpresa.
Molti sono i temi solitamente “scottanti” ai quali il regista fa riferimento, come l'abbattimento delle Torri Gemelle iniziale o i rapporti ambigui tra Osama Bin Laden e George Bush, ma proprio quando sembra riuscire a mettere su un canovaccio per scene potenzialmente comiche, riesce a bruciarsi con un'infinita serie di quasi successi. Capite? Non si tratta delle delusioni tipiche delle brutte battute, piuttosto delle sensazioni che scaturiscono da una barzelletta divertente raccontata male, il che è molto peggio. L'ambaradan di contesti previsti dal regista, paradossale e spesso forzato, viene quasi sempre affrontato nel modo peggiore, comicamente parlando, tanto da spronare lo spettatore a continuare la visione principalmente per scoprire quante altre cose divertenti Uwe Boll sia riuscito a sprecare. Una marea.
La povertà scenografica è sconcertante e non si riesce a capire che fine abbia fatto il rispettabile budget di diciotto milioni di dollari: l'unico elemento discretamente riuscito è il borgo pseudoteutonico nel quale si svolge la fiera filonazista, addobbato quasi da Oktoberfest (con qualche svastica in più, indubbiamente). Tutto quanto il resto passa tra interni poco ispirati e viuzze di una Paradise spoglia e qualunquista ben oltre le esigenze di copione.
Lo spettatore che riuscirà a cogliere la vera identità di Postal, non quella di commedia ma di trash involontariamente più profondo di quello inteso dallo stesso regista, rimarrà soddisfatto della visione. Uwe Boll si conferma il nuovo re dell'incapacità, il cui peculiare talento, abbinato ad un genere più vicino alle sue naturali inclinazioni, riesce a sublimarsi in questo nuovo punto di riferimento della sua produzione. Che, sia ben chiaro, rimane un film di merda.