Clicca sull'immagine per ingrandirla. 

Nome:   Roger_Dean_Psygnosis_Logo.jpg 
Visite: 3 
Dimensione: 28.4 KB 
ID: 262207La bellezza è qualcosa di molto soggettivo in ogni arte, compresa quella videoludica, e Brataccas sembrava fatto apposta per dimostrarlo: pochissimi aspetti eccellenti gli hanno valso più dei gravi difetti per una parte dei giocatori, come a suggerire al duo Lawson-Hetherington di continuare sulla stessa strada. E così anche il 1986 fu un anno di grandiose idee e poco divertimento con Deep Space e Arena, il primo di Lawson, il secondo di Hetherington. Entrambi i titoli sono stati largamente dimenticati dalla memoria collettiva dei videogiocatori, forse perché privi di un hype stratosferico come quello di Bandersnatch/Brataccas e dedicati anch’essi a due computer, Atari ST e poi Amiga, ancora ai primi passi del loro splendido cammino, ma mettiamoci pure qualche responsabilità della stampa specializzata del tempo particolarmente avara in fatto di articoli dedicati.

Deep Space ha introdotto un character dal raro insuccesso: Stryx, protagonista anche di un run’n’gun pietoso con lo stesso nome. Questa sua prima, tuttavia, è una Clicca sull'immagine per ingrandirla. 

Nome:   853403-deep_space___front_large.jpg 
Visite: 1 
Dimensione: 22.3 KB 
ID: 262208simulazione spaziale fortemente ispirata ad Elite di David Braben, uscita già da un paio d’anni sul mercato ma non ancora disponibile per i formati a 16-bit. Il nostro avatar è uno stimato cacciatore di taglie interstellare che può vantare anche una bella astronave a sua disposizione. In fotografia, la grafica sembra davvero da next-generation e non avrebbe nulla da invidiare neppure al futuro Wing Commander e l’effetto è quasi del tutto merito di Garvan Corbett, grafico che sarà a lungo il braccio destro di Lawson, ma disgraziatamente le sorprese spuntano nel momento del giocare. Ogni schermata è deliziosamente curata ed il campo stellare in movimento è molto armonico, peccato che all’arrivo di qualche nemico l’aggiornamento dello schermo subisca un crollo imbarazzante. Altri grossi impacci li crea la complicatissima interfaccia, bella da vedere ma piena di icone di difficile comprensione che richiedono un antipatico periodo di adattamento anche col manuale di fronte. Dietro la lussureggiante frontiera audiovisiva si nasconde un gameplay acerbo a voler esser generosi, ma il giocatore ieri e il collezionista oggi si godono quantomeno una confezione spettacolare con persino un fumetto all’interno.

Storia completamente diversa quella di Arena di Hetherington. L’impavido programmatore voleva probabilmente indirizzare la Psygnosis verso un profilo Clicca sull'immagine per ingrandirla. 

Nome:   arena_insides.jpg 
Visite: 1 
Dimensione: 62.9 KB 
ID: 262209poliedrico, al punto che il titolo in questione è addirittura uno sportivo focalizzato su alcune discipline dell’atletica leggera. Si passa dai 100 metri piani al salto con l’asta, più altre quattro variazioni tutte molto interessanti che contrappongono Arena agli acclamati multievento della Epyx, dei quali vorrebbe essere l’erede per i 16-bit. Inutile precisarlo, la grafica è mozzafiato nelle immagini quanto deludente in movimento: gli sprite sono giganteschi, addirittura fino a 56x80 pixel e persino sul fondale è possibile scorgere altri atleti animati, magari mentre si riscaldano, ma il tutto è inevitabilmente scattoso, e parecchio, soprattutto quando compaiono dei pop-up in stile fumetto con i commenti dei presenti sulla scena. Il gioco, poi, è talmente lento e buggato da tenersi ben distante da qualsiasi idea di piacevolezza.

Sia Deep Space che Arena sono stati polverizzati dalla sfida del tempo, ma di buono avevano una tiratura limitata ed un prezzo di lancio molto elevato capace di non mettere in difficoltà la Psygnosis nonostante le probabili poche vendite grazie al forte margine di ricavo: nonostante tutto, il modello commerciale funzionava. Tali giochi, però, confermarono i leciti sospetti sulle effettive qualità di game designer di Lawson ed Hetherington, il cui talento andava quantomeno educato. L’ambizione delle loro produzioni si stava guadagnando comunque una certa risonanza, la Psygnosis faceva sempre più parlare di sé e più di uno sviluppatore cominciava a sognare i suoi videogames pubblicati con il logo della civetta. I tempi per espandere le proprie mire da publisher stavano maturando, ma questo era ancora il tempo delle trattative, il quale portò un importante accordo con la Melbourne House, compagnia affermata nel campo degli 8-bit che avrebbe curato delle conversioni per Amstrad CPC, ZX Spectrum ed ovviamente Commodore 64. Nel frattempo, ii due fondatori della compagnia continuavano per la propria strada sviluppando anche per il 1987 un gioco a testa: Barbarian e Terrorpods.

Per la realizzazione del primo, David Lawson chiede ancora una volta a Garvan Corbett di disegnare per intero la grafica, che era quasi l’unico aspetto positivo di Deep Space. L’intenzione del duo è quella di produrre un Brataccas in formato fantasy, ma senza i gravi problemi relativi alla giocabilità. In due anni, infatti, il mercato era cambiato, sui computer a 16-bit ci lavoravano in tanti e bisognava ingegnarsi molto di più per stupire. La prima cosa che balza all’occhio è inevitabilmente la cover, firmata da un Roger Dean ispiratissimo che l’ha definita il suo migliore lavoro, o quantomeno quello a cui è più affezionato, nonostante non richiami minimamente le ambientazioni dell’avventura. Per cavar fuori qualcosa di lontanamente divertente ripartendo da Brataccas, bisognava Clicca sull'immagine per ingrandirla. 

Nome:   Barbarian-Box-Cover-For-Web.preview.jpg 
Visite: 1 
Dimensione: 66.6 KB 
ID: 262210risolvere il problema dell’interfaccia. Lawson decise di lavorare continuando a tenere in mente come controller principale il mouse, che in Barbarian non è più impiegato nel movimento diretto del personaggio ma per interagire su icone poste in basso al video che indicano direzioni verso le quali spostarsi, oppure il salto, l’uso della spada e via di questo passo. Funziona meglio della vecchia soluzione, ma neanche questa è praticissima. Il mondo continua ad essere inquadrato lateralmente, abbandonando l’alta definizione e ritornando alla classica 320x240, più prestante ma comunque avvertibilmente scattosa nell’aggiornamento dello schermo, che neanche stavolta gode di scrolling, basandosi sulla vecchia soluzione flip-screen. E’ quasi paradossale il fatto che uno dei fondatori della famosa Psygnosis fosse sensibilmente a disagio con l’ottimizzazione del codice, che se già non fa una gran figura su Atari ST, risulta troppo inadeguato alle potenzialità dell’Amiga in fatto di gestione degli sprites. Basti pensare che risulta molto più fluida la conversione per Commodore 64, non a caso adattata da veterani della piattaforma. Barbarian, tuttavia, offre apprezzabili spunti d’interesse, come la scenario ispirato tanto nelle idee quanto nel tratto del disegno e fa una gran bella scena l’animazione di morte dei nemici che vedono esalare lo spirito maligno che albergava dentro di essi. I combattimenti sono poco appassionanti, dato che avvengono cliccando su un’icona, e la soddisfazione del superare una sezione c’è soprattutto quando è presente un piccolo enigma per venirne a capo, solitamente semplici ma non sempre intuitivi. Per chiudere, Barbarian non era un capolavoro neanche al momento del suo lancio, e forse neppure un buon gioco, paradossalmente penalizzato dalle capacità del suo designer leader David Lawson che si contrappongono alle grandi trovate del grafico Corbett e dell’illustratore Dean. E poi c’era un grosso problema di riconoscibilità perché nello stesso periodo dello stesso anno la Palace aveva pubblicato un altro Barbarian, enormemente popolare e acclamato che gli ha rubato, con merito, buona parte della scena. Ottima, però, rimane in senso assoluto l’animazione di presentazione del gioco che rafforza quella che diventerà una tradizione per i giochi della casa.

Torniamo da Ian Hetherington e dal suo lavoro del 1987: Terrorpods. E’ vero che nessun prodotto Psygnosis uscito fino a questo punto consentiva di afferrare semplicemente un joystick e giocare, ma in questo caso bisogna quasi ridefinire il termine di complessità. C’è uno sforzo apprezzabile sul fronte dello storyboard: Colian è un pianeta estremamente ricco di minerali rari ed offre, tra le altre cose, un esplosivo micidiale ed il metallo più duro dell’universo, elementi in grado di sovvertire da soli le sorti di qualsiasi guerra. E i terrestri in guerra ci sono eccome, precisamente con unaClicca sull'immagine per ingrandirla. 

Nome:   500x_terrorpods.jpg 
Visite: 1 
Dimensione: 95.7 KB 
ID: 262211 razza aliena tecnologicamente avanzata ma a corto di materia prima per la fabbricazione delle proprie armate. E’ per questa ragione che sferra un assedio a Colian, del quale intende sfruttare le preziose risorse estrattive per costruire i micidiali Terrorpods, macchine dalla potenza inaudita che garantirebbero una vittoria nel conflitto. Su Colian, però, c’è anche il giocatore, che in realtà pare configurarsi come una spia, secondo la sceneggiatura, che si trova lì per indagare su quel che accade, col compito preciso di individuare i segreti della costruzione dei Terrorpods per replicarli e sfruttarli contro gli stessi alieni. Vale la pena premettere che questo gioco vanta una grafica eccezionale, pressappoco identica su Amiga ed ST e ridimensionata, ma comunque apprezzabile, sui computer ad 8-bit, il cui adattamento è stato nuovamente a carico della Melbourne House. Il nostro avatar si muove su un mezzo terrestre dotato di laser e missili con il quale muoversi lungo la superficie del pianeta. Lo scenario è realizzato con elementi totalmente bidimensionali, ma ingegnosamente combinati per dare l’illusione della tridimensionalità, archiviato principalmente grazie all’uso di più strati di scorrimento parallattico e ad un approssimativo scaling degli oggetti, tuttavia precalcolato e possibile grazie alla memorizzazione di immagini a scala differente. Il nostro furgoncino da guerra ci serve soprattutto per migrare tra le varie colonie e le rispettive strutture del pianeta, ognuna adibita a funzioni specifiche come l’estrazione di determinati minerali, i quali avranno quotazioni diverse di colonia in colonia. Dato che per costruire un terrorpod servono risorse non accumulabili in una singola colonia, dovremo studiare i costi dei vari elementi in ognuna di esse per poi esibirci in un’oculata compravendita. Nel frattempo, però, le colonie saranno oggetto di attacchi da parte degli alieni e sarà nostro dovere proteggerle: potremo sparare ai nemici col nostro laser, ma ciò non li distruggerà, infatti, una volta colpiti, essi semplicemente scapperanno nell’astronave madre per riprovarci in seguito; potremo disfarcene del tutto utilizzando i missili, disponibili in quantità limitata e soprattutto afflitti da un sistema di puntamento macchinoso che ci costringerà ogni volta a calibrare minuziosamente degli indicatori per avere qualche chance di attaccare con successo. Come se il tutto non fosse già abbastanza complicato, è possibile interagire con le strutture tramite comandi testuali, per fortuna solo tre, che ci permetteranno di blindare dei siti, di farli esplodere al contatto col nemico o di ripristinarli. Per riassumere come giocare a Terrorpods, dapprima dobbiamo mapparci su carta la locazione di colonie e strutture, le risorse estrattive più vantaggiose in ognuna di esse, stare sempre in allerta per impedire agli alieni di spaccare tutto, impartire istruzioni testuali ad alcune strutture, respingere i nemici col laser o distruggerli con i missili dopo aver domato il sistema di controllo, costruire un terrorpod ed usarlo per ammazzare tutti i nemici. La vera beffa è che non solo tutto ciò è follemente complesso, ma anche spiegato approssimativamente sul manuale. Compensano le riviste che si prodigano nel fornire dettagli sul come giocare per apprezzare il gioco, il quale evidentemente sembrava straordinario all’epoca viste le tante lodi della stampa. E’ invecchiato malissimo, purtroppo, ed anche a distanza di soli due anni la critica ha totalmente invertito il giudizio in occasione delle conversioni per 8-bit, identiche nel gameplay e valide nella tecnica, ma giocabili, o ingiocabili, quanto l’originale.

Barbarian e Terrorpods possono essere considerati solamente dei lenti passi in direzione del bel giocare mentre molto più efficacemente hanno contribuito a definire il profilo della Psygnosis che si era ormai attrezzata per tentare la fortuna come publisher: i giochi proposti avrebbero dovuto avere idee innovative, una matrice fantasy-fantascientifica possibilmente ispirata allo stile di Roger Dean, introduzioni animate d’effetto e tanta ambizione. Il divertimento evidentemente non era ancora fra le priorità. Già da allora la Psygnosis si poteva solo amare o odiare.

VIDEORUBRICA

Gianluca "musehead" Santilio