Brataccas e le ceneri di un sogno
Se qualcuno crede di trovare nella genesi della leggendaria Psygnosis delle celebrità del game design, rischia di rimanere deluso. David Lawson e Ian Hetherington erano ambiziosi ma non altrettanto talentuosi come programmatori. Fossimo qui a parlare di musica, li definiremmo un duo “progressive”, ma di quei tantissimi incapaci di sublimare il proprio credo per la mancanza di qualcosa. Lavoravano assieme alla Imagine Software, un’etichetta nota ai giocatori computeristi degli anni Ottanta ma soprattutto per le conversioni eseguite per conto della Ocean dopo l’acquisizione da parte della stessa nel 1984. Prima di allora, la Imagine propugnava la sua idea di “mega game”: mentre in America ancora era pesante la crisi del settore, l’intenzione era quella di portare il videogioco ad uno stato evolutivo superiore, ad un cambio di passo brutale tanto nel gameplay quanto nella tecnologia, con costi annessi necessari per ottenerlo. Con immagini ed informazioni centellinate, la Imagine pubblicizzava sui giornali Psyclapse e Bandersnatch, rispettivamente per Commodore 64 e ZX Spectrum, i due home computer più popolari. Di nuovo dovevano avere la qualità audiovisiva e il livello di interazione, così come sarebbero stati totalmente privi del parser, un sistema di input testuale molto in voga, per offrire un’interfaccia più coinvolgente. La Imagine era consapevole che l’hardware dell’epoca era inadeguato, ma riteneva anche che l’esperienza ottenibile da un gameplay così avanzato meritasse una spesa da parte dei giocatori fino a otto volte superiore a quella per un titolo medio. Solo in questo modo potevano giustificare l’adozione di costose espansioni sotto forma di cartuccia per donare a Psyclapse e Bandersnatch la spettacolarità dovuta, assolutamente fuori portata per C64 e Spectrum di serie: si parlava di grafica in alta definizione, sintesi vocale,
Psyclapse rimase ad uno stato embrionale mentre Bandersnatch viaggiava rapidamente verso il completamento. La Imagine Software, però, investiva parecchio su quest’ultimo in un momento di difficoltà economica, una situazione che la condusse rapidamente sul lastrico ed alla acquisizione da parte di Ocean, che tuttavia concesse il codice di Bandersnatch a chi lo stava curando che girò presto il tutto direttamente alla Sinclair che stava lanciando una piattaforma di lusso: il Sinclair QL, abbastanza potente da poter fare a meno delle onerose cartucce di espansione. Purtroppo, le vendite del computer si fermarono abbondantemente sotto le aspettative, dapprima rinviando e poi cancellando del tutto la pubblicazione di Bandersnatch. Lawson e Hetherington avevano investito tutto nel progetto per trovarsi con un pugno di mosche.
La storia di Bandersnatch aveva appassionato il pubblico che, in realtà, non sapeva assolutamente nulla dei dettagli del gioco né della sua effettiva qualità. L’hype generato era comunque sufficiente per giustificarne una riorganizzazione ed una successiva pubblicazione. Fu così che in quel di Liverpool il duo Lawson-Hetherington arrivò alla decisione di fondare la Psygnosis che nelle intenzioni doveva farsi vessillo dell’eredità dei mega-game della Imagine, doveva essere l’avanguardia della maniera moderna di usufruire dell’intrattenimento elettronico. Per stupire sin dal primissimo impatto, un’importanza fondamentale ha avuto la collaborazione con Roger Dean, un artista dal tratto assai peculiare che ha fornito il celebre logo della civetta e che negli anni si è rivelato un eccellente consulente per i grafici, oltre che l’autore delle cover di moltissimi giochi Psygnosis con una qualità media fuori parametro. Ritornando a Bandersnatch, adesso tutto sembrava pronto per il lancio, agli autori serviva solo il tempo di adattarne il codice ad un computer con più speranze del Sinclair QL, che venne individuato nell’Atari ST.
La grande scommessa della Psygnosis è soprattutto tecnica: Brataccas si fa forte di una risoluzione video di 640x200 pixel, folle per l’epoca, costretta tuttavia al severo limite dei soli quattro colori contemporaneamente su schermo. Le animazioni degli sprites sono altrettanto impressionanti in quanto ricche di fotogrammi e non da meno sono i fondali nei quali si muovono, con telecamere che ci riprendono, videogames che attirano i passanti e piattaforme mobili. L’intero scenario è inteso come qualcosa di vivo che anticipa di parecchio il molto elogiato Virtual Theatre della Revolution Software di Beneath a Steel Sky, dove ogni individuo conduce la propria piccola esistenza e reagirà diversamente alle nostre azioni: tutti si muoveranno incuranti di noi, a meno che non si tratti di guardie alla nostra caccia, mentre i passanti tralasceranno oggetti inutili da noi disseminati sullo schermo ma si fermeranno a raccogliere magari dei soldi che avremo maldestramente fatto cadere per terra o che avremo offerto per ottenere protezione, così come nessuno si rigenererà in caso di morte, rimanendo nello stesso punto per tutta la durata della partita. Come non appassionarsi a Brataccas? Come non si poteva sbavare sugli articoli di giornale che ne decantavano le caratteristiche in un’era in cui nessuno aveva neppure immaginato cose del genere?
Ritornando a quel che dicevamo all’inizio, Lawson ed Hetherington erano grandi visionari ma il fatto che fossero capaci di trasformare in pratica le loro splendide intuizioni era tutto da verificare. Brataccas non è stato un successo, nonostante rappresenti tutt’oggi un traguardo rilevante del videoludo e non solo in quanto titolo di debutto della Psygnosis. Tra i problemi, l’eccessiva ambizione e la pretesa degli sviluppatori di realizzare qualcosa di mastodontico su un computer del quale dovevano ancora carpire i segreti. Brataccas, saggiamente, non propone uno scrolling e la transizione tra le varie schermate è rapida, a differenza della fluidità dei movimenti degli sprites che va in fortissima crisi già con due personaggi su schermo, rendendo terribilmente confusa la
Gianluca "musehead" Santilio
Amiga
Blood Money
Shadow of the Beast
La Storia
Complimenti per l' intrigante quanto originale tema affrontato il questa prima parte della rubrica!
Ci stavo scrivendo anche io due righe, ma più ti leggo e più capisco che è meglio che lascio perdere
La narrazione è si inesistente, ma la storia è abbastanza coinvolgente. Senza manuale effettivamente si fa poco, ma per fortuna in rete è ampiamente reperibile.
Peccato che su amiga non abbiano implementato il controllo via joystick. Il comtrollo via mouse è davvero allucinante, e richiede un bel pò di tempo per essere padroneggiato.
Mamma mia bastano pochi minuti di video e pare quasi di percepire la fatica fisica del controllo da parte del giocatore...!
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Grazie musehead per l'impegno e complimenti per l'articolo, esaustivo e piacevole come sempre.
@Alex: sì, è più precisamente una med-res, ma al limite dell'improponibile su un 68000 a 8 mhz per un gioco cmq action... ci voleva quantomeno una buona conoscenza hardware e qualche trick di alta scuola per andar bene.
@mbryo: scrivi, scrivi! Il retrogaming dev'essere una cultura e si crea con le osservazioni e le conoscenze che ognuno di noi può offrire. Sicuramente evidenzieresti cose diverse da me e il bello è quello. Cmq mi sto ascoltando gli Uriah Heep.
@ikaris: e i controlli in quel video sono via tastiera, col mouse ho letto di qualcuno che ce l'ha fatta, ma ci credo poco.
@trekili: ora che mi ci fai pensare, un po' forse ci somiglia...
@conte: sì, bisognava rubare il codice e rivenderlo alla Nintendo per una ripassata finale!