Benvenuti ad un altro mese strapieno di novità, che mi ha costretto a dividere in due sezioni anche la parte dei soli computer. Preparatevi ad una lunga lettura (o ad una lunga visione)!
Ci sono capolavori che invecchiano presto, così presto che il tempo sembra quasi irriguardoso rispetto alle idee ed alla tecnica implementate al momento dell’uscita, un destino purtroppo toccato ai Midwinter di Mike Singleton che hanno tuttavia giocato una certa influenza nel videoludo. Ashes of Empire riparte proprio da questa saga e da buona parte del team che la creò, riunitosi sotto la nuova etichetta della Mirage. Il setting è quello della fantapolitica, uno scenario nel quale dobbiamo atteggiarci da protagonisti in più mansioni, ma il gameplay è fondamentalmente divisibile in due parti: la prima politico-strategica, nella quale relazionarsi con gli altri protagonisti della crisi, cercando anche di arruolare sempre nuovi uomini per la propria fazione; la seconda è di azione vera e propria, che si svolge grazie all’ausilio di un engine poligonale dalle prestazioni dignitose su Amiga, ma che appare un po’ antiquato sui più moderni PC. Sulle prime il titolo sorprende per profondità e completezza, ma non tarda ad affiorare una certa monotonia. Come i suoi ispiratori, neanche Ashes of Empire è godibilissimo al giorno d’oggi.
Il tasso di erotismo presente oggi nel mondo informatico è tale che a volte si è costretti a dribblare nella navigazione donne ammiccanti e poco vestite. Non era affatto così nell’epoca pre-internet e nei primi anni Novanta si provava anche una genuina sorpresa per le capacità di un computer di riprodurre fotografie. Cover Girl Strip Poker diventa allora una dimostrazione tecnica dall’accento piccante che ostenta immagini di affascinanti modelle digitalizzate con cura, permettendosi di vantare tra le quattro ragazze pronte a sfidarci Maria Whittaker, la reginetta dell’era 16-bit. Programmato da ragazzi norvegesi in collaborazione con uno studio fotografico britannico che ha passato loro le immagini, Cover Girl Strip Poker viene ritenuto anche uno dei migliori, se non il migliore, esponente di questo genere grazie alla quantità e qualità di scatti presenti ed un’intelligenza artificiale sicuramente tarata per spogliare senza troppi patemi le ragazze, ma caratterizzata anche da una buona credibilità, ma anche l’interfaccia è pratica e ordinata.
Nel 1992 c’era ancora spazio per giochi realizzati con la bella grafica come obiettivo primario? Le vendite hanno detto di no, o quantomeno Deliverance (ARTICOLO SU RH) della 21st Century Entertainment non è riuscito ad emergere. Sempre accusato di configurarsi come un clone di Gods dei Bitmap Brothers, Deliverance parte da origini totalmente diverse che risiedono in Stormlord, un action game popolare sugli 8-bit del quale dovrebbe in qualche maniera essere un seguito spirituale, tuttavia molto diverso da quello ufficiale per C64 o Spectrum. Graficamente è sensazionale e propone alcune delle sfide coi boss più ispirate della sua intera generazione, console comprese, al punto che vien da chiedersi come abbiano potuto infilare certi sprites e certe animazioni su miseri floppy disk. Peccato che tutta la produzione si regga su questi prodigi, lasciando come contorno un titolo dall’azione molto ordinaria e talvolta noiosa. E’ stato pubblicato per Amiga ed Atari ST.
Una rampante Core Design lancia il guanto di sfida ad uno dei totem della storia Amiga: Lotus Esprit Turbo Challenge e rispettivo seguito. Il titolo del suo prodotto, Jaguar XJ220, rivela la prestigiosa licenza di cui si è munita per calarsi al meglio nella competizione, ma in realtà le vocazione dei due giochi sono abbastanza differenti in quanto Lotus 2 aveva portato la sua serie su binari molto arcade, mentre il racing game della Core preferisce adottare una più tranquilla struttura a campionato e corse dalla durata maggiore. In senso assoluto, Jaguar XJ220 è un ottimo prodotto, con una grafica abbastanza fluida, belle musiche ed un graditissimo editor di tracciati, ma non ce la fa a reggere il confronto sul fronte della giocabilità probabilmente per la mancanza di un ritmo particolarmente sostenuto. Il grande hype che ha preceduto la pubblicazione ha irritato una parte del pubblico, il quale si è diviso piuttosto nettamente in detrattori e ammiratori del pur meritevole lavoro della Core Design, con un’oggettiva maggioranza dei primi.
La corrente che andava per la maggiore nell’ambito dei giochi di ruolo per computer all’inizio degli anni Novanta era quella figlia di Dungeon Master, competentemente supportata da “figliocci” come Eye of the Beholder e Black Crypt, ma era un sistema che già mostrava qualche segno di invecchiamento. La Mindscape con Legend cerca di rinfrescare la categoria proponendo la sua interpretazione isometrica della formula che convince per più ragioni: innanzitutto, alla base c’è un meticoloso lavoro di ottimizzazione del codice che presenta performance più che accettabili tanto sui veloci PC quanto sui più pigri Amiga e ST standard; il disegno, inoltre, è generalmente curato anche se non coloratissimo; infine, viene offerto al giocatore un ispirato sistema di magie col quale è possibile crearsi le proprie scoprendo le combinazioni giuste. Pur essendo poco noto, gode di altissima considerazione tra gli appassionati del genere, alcuni dei quali lo reputano persino il migliore del suo periodo.
Non esageratamente famosa, la Starbyte è stata una software house tedesca piuttosto rolifica che si è tolta buone soddisfazioni, ma come tutte portava avanti anche un lavoro di scouting per individuare debuttanti talentuosi. Il trio alle spalle di Corx di sicuro vantava un’apprezzabile tecnica nel coding e un certo senso artistico, ma tali ingredienti potrebbero non essere sufficienti per un bel gioco. Corx riparte dalle sezioni delle pseudo-moto del film di Tron, rivisitate però in chiave ancora più lisergica con un fondale in costante mutamento cromatico. Il campo di gioco è diviso in split-screen palesando la vocazione per le partite in doppio e renderizzato in un semi-3D di impatto garantito, al pari del convincente sonoro, ma la giocabilità scarseggia per la limitata visuale che ostacola qualunque pianificazione e costringe il giocatore a muoversi pressappoco alla cieca ed il tutto peggiora di molto sfidando il punitivo computer. Primo e ultimo gioco del team dietro le quinte.
I computer, soprattutto quelli europei, erano tempestati di titoli di derivazione arcade, quasi sempre da giocare con il joystick e per i quali la lettura del manuale era un mero optional. Negli Stati Uniti, tuttavia, il gameplay più riflessivo aveva molti sostenitori ad alti livelli, come la Interplay, ancora lontana dal divenire un super publisher, che questo mese presenta Castles. Nome semplicissimo per un gioco che non lo è, infatti la creazione della nostra fortezza richiede un’attenta pianificazione ed una ancor più accurata gestione delle risorse. Pur non potendo definirsi spettacolare, è piacevole assistere alla costruzione della nostra fortezza così come agli assedi dei celti di turno. Peccato che alla lunga l’iter cominci a risultare ripetitivo e complessivamente senza sorprese. Uscito già da un anno per PC, arriva in questo periodo per Amiga ed ST.
Ci sono state delle ragioni se le rivoluzionarie e curate avventure della Sierra hanno faticato a convergere nella cultura comune dei giocatori italiani, e la principale di essa è stata indubbiamente il parser. Già è dura giocare un’avventura senza conoscere la lingua originale, essere costretti ad inserire istruzioni in forma testuale rappresenta a quel punto un ostacolo insormontabile, e la diffusione della conoscenza inglese vent’anni fa era distante da quella odierna. E allora Leisure Suit Larry era passato grossomodo inosservato dalle nostre parti, ma la Sierra decide di farne un remake privo di parser e totalmente votato all’interfaccia grafica. Il risultato è discutibile già su PC, in quanto i comandi presentano incongruenze e forzature visibili, ma almeno c’è una splendida grafica tutta ridisegnata. La conversione per Amiga, invece, fa molta meno scena ed è terribilmente lenta, senza tralasciare il consueto cambio di dischi. Invecchiato meglio della versione originale e utilizzabile anche dai non perfettamente anglofoni, ma non è neppure un lavoro coi fiocchi.
Era dal 1988 che si sentiva parlare di Aquaventura. Iniziato da Ian Hetherington, ondatore della Psygnosis stessa, il progetto doveva realizzarsi in uno dei videogiochi più spettacolari ed avveniristici di sempre, e chissà se ciò non sarebbe davvero accaduto se Aquaventura fosse stato pubblicato quattro anni prima. Dove l’hardware era rimasto lo stesso, l’evoluzione nel game design aveva conosciuto cambiamenti brutali e uno sparatutto 3D a poligoni nudi e wireframe faceva molto poco effetto dopo i prodigi di Wing Commander ed altri lavori accomunabili. In Aquaventura dobbiamo avventurarci col nostro velivolo in missioni abbastanza criptiche affrontando innanzitutto un framerate parecchio scattoso su Amiga di base e la noia era più avvertibile del divertimento. A causa di limiti di talento propri dello stesso Hetherington, al quale vanno attribuiti alcuni dei giochi più frustranti della storia Psygnosis, e dell’immane delusione derivante da un hype esagerato, Aquaventura è stato vessato delle peggiori critiche, eppure manteneva un elemento che da solo poteva spingere all’acquisto: un’introduzione animata assolutamente mozzafiato e da next-generation, forse senza pari su Amiga.
Il golf non è da tempo una disciplina molto popolare nelle simulazioni videoludiche, ma un tempo era quasi un benchmark per tastare il livello tecnologico raggiunto, in quanto il rendering del campo e la verosimilità della grafica richiedevano risorse hardware notevoli. Da due anni Links era un punto di riferimento degli utenti PC per la tecnica quanto per la giocabilità, probabilmente ancora il miglior titolo del genere nel Giugno 1992, e la conversione per Amiga ha destato scalpore per la presunta inadeguatezza della macchina, la quale, purtroppo, si è confermata gioco alla mano. Prima di tutto è indispensabile un hard disk per giocare, requisito che tagliava fuori la quasi totalità degli utenti, e per godersi una velocità di rendering anche solo accettabile era imprescindibile un qualche tipo di espansione. Elitario di sicuro, ma Links ha preferito conservare sé stesso integralmente piuttosto che presentarvi in versione deficitaria, nel bene e nel male.
La produzione videogiochistica italiana attraversa una relativa golden age, intendendo come tale il periodo più florido quantitativamente nonostante la qualità dei singoli titoli si attesti non sempre oltre la soglia della sufficienza. In una posizione di rilievo nel panorama nostrano c’è la Genias, che vanta nelle proprie fila individualità interessanti, come Raffaele Valensise, un game designer e grafico in crescendo, che questo mese conduce i lavori per Top Wrestling. Le riviste italiane ne parlano bene, le testate straniere un po’ meno e se da un lato c’è la buona grafica di Valensise e le buone musiche di Nicola Tomljianovich, la giocabilità scarseggia a causa di match non molto coinvolgenti e dal ritmo piuttosto compassato, ma le alternative di wrestling su Amiga non sono molte.
Nel buco nero della storia dei videogames ogni tanto qualche videogioco rischia di perdersi. E’ quel che stava accadendo ad Hostile Breed, della cui pubblicazione cercò di occuparsi la Titus, salvo poi cambiare idea, con un secondo tentativo riconducibile al 1993. Questo titolo non ce l’ha mai fatta a raggiungere gli scaffali nonostante fosse stato completato al 100% e addirittura recensito da numerose testate europee. L’idea è quella di offrire al giocatore una base su un pianeta che dobbiamo difendere a tutti i costi dai temibili insettoidi indigeni. Non si tratta solo di combattere, ma soprattutto di gestire i meccanismi dell’impianto stesso che devono mantenersi stabili e funzionanti, affrontando i nemici in maniera diretta solo sporadicamente e seguendo i dettami dello sparatutto orizzontale. L’interfaccia del gioco, purtroppo, è quanto di più scomodo e caotico si sia mai visto e solo interpretare i simboli è un’impresa. Forse il suo aspetto criptico è la ragione della mancata pubblicazione, dato che la dose di pazienza necessaria per venire a capo del gameplay è notevole.
Il tempo lascia i giochi, ma a volte sono ben più interessanti le strade battute per realizzarli. Holo Squash è un titolo italianissimo, pubblicato sotto l’etichetta Aurea da parte del team Lindasoft, non tra i più noti del panorama nostrano. Come intuibile dal nome, è una rappresentazione dello squash in salsa fantascientifica, con un campo di gioco insediato in una qualche stazione spaziale con regole rivisitate per l’occasione. Relativamente divertente nell’idea ma alquanto limitato nella pratica, con discutibili routine di rimbalzo della pallina e generale mancanza di appeal, nonostante una roboante presentazione. Il bello è scoprire che si tratta di un titolo realizzato con AMOS, un linguaggio di programmazione semplificato di derivazione ST pensato per chi volesse avventurarsi nella realizzazione di giochi senza impazzire troppo dietro al codice. Il suo successo fu buono, nonostante pochi titoli nati da esso abbiano raggiunto una pubblicazione, e Holo Squash, purtroppo, ha mancato la gloria.
Hot Rubber, noto anche come Grand Prix 500 2, appartiene alla folta schiera delle pubblicazioni assolutamente dimenticabili. Immesso sul mercato dalla Palace, è stato in realtà programmato da un gruppo di ragazzi francese relativamente specializzati nelle simulazioni motociclistiche, mai capaci di affermarsi, purtroppo per loro. Giocando ad Hot Rubber, si può subodorare un pizzico di cognizione di causa, soprattutto a riguardo dell’engine grafico dalle prestazioni dignitose sulle macchine di base, seppur afflitto da una finestra di gioco piccola, ma fanno da contraltare dei comandi molto poco ottimizzati che rendono eccessivamente nervose le motociclette, semi-ingovernabili alle alte velocità, anche a causa di una telecamera centrata più sulla pista che sulla moto che provoca qualche problema con il calcolo delle misure.
Un advergame è un titolo sponsorizzato da una qualche azienda e pensato per promuoverne i prodotti o l’immagine. La storia ci ha insegnato che solo in sporadici casi essi si sono rivelati anche giochi di qualità come nel caso di questo Pushover. Lo sponsor è un’azienda di spicco dei cereali britannici, la cui mascotte ha smarrito in un formicaio una preziosa confezione del gustoso alimento. Noi controlliamo però un’operosa formica disposta a recuperarla che dovrà affrontare una valanga di stage nei quali le reali protagoniste saranno delle pseudo-tessere del domino, ognuno con le sue peculiarità, da combinare in modo che tutte possano cadere dopo la fatale spinta. Geniale e tanto divertente, ma azzeccata anche la grafica, simpatica e valida tecnicamente. Un concept così riuscito non poteva esimersi dall’approdare sulle console un anno dopo, su Super Nintendo.
La bontà dell’interfaccia è di importanza primaria nell’ottica di un dignitoso invecchiamento di un videogioco. Avventurarsi oggi nel gameplay di Planet’s Edge, sviluppato dalla storica New World Computing, rischia di essere un’esperienza spiacevole proprio a causa di una certa macchinosità di gestione. La sceneggiatura è molto affascinante: la Terra è sparita, o almeno all’apparenza, dato che gli strumenti sulla base lunare che ci fa da casa riescono ancora a rilevarla. L’unica soluzione per capirci qualcosa è organizzare una bella squadra speciale e setacciare l’universo conosciuto alla ricerca di indizi e materiali utili. Vi sono due fasi distinte: nella prima ci occuperemo della gestione di armi, sviluppo tecnologico ed esigenze varie della squadra; la seconda si svolgerà sulla superficie dei pianeti dove ci sarà da combattere e investigare. Molto intrigante, probabilmente varrebbe la pena di digerire la brutta interfaccia.
Nel 1992 la Ubisoft non era certo il colosso che conosciamo oggi, ma vantava nelle sue fila programmatori di tutto rispetto come David Fernandes, l’uomo dietro la realizzazione di Starush. La non ancora poderosa capacità di marketing hanno impedito a questo titolo di assurgere a popolarità nonostante qualità indiscutibili. Il gioco si presenta benissimo con un’introduzione generosamente animata, ma fa la sua gran figura anche ingame, dove i livelli sfoggiano un sensazionale scorrimento parallattico multistrato. Ci sono quattro grandi stage da affrontare secondo le regole dello shoot’em up orizzontale, ma con una curiosa peculiarità: una volta giunti alla fine del livello, bisognerà riattraversarlo in senso contrario. Il level design non è strepitoso, ma probabilmente migliore della media degli sparatutto per computer, ed i boss sono notevolissimi.
Un giorno, la Sega decise di strafare: da tempo si occupava di cabinati e molti erano spettacolari per ragioni tecniche oltre che ludiche, come After Burner ed i suoi emozionanti scontri aerei, ma nessuno si sarebbe mai aspettato di trovare in sala giochi una postazione rotante a 360 gradi! Roba da rimescolare le budella, ma assolutamente memorabile considerando anche il potentissimo hardware che muoveva G-LOC, che di After Burner era un seguito spirituale. Come convertire un simile portento su sistemi casalinghi? Sembrava impossibile, ed appunto lo era, visto che gli adattamenti di G-LOC, addirittura giunti persino su computer a 8-bit, erano lontanissimi parenti del coin-op. Sui computer a 16-bit bisognava accettare una grafica a 8 colori ed un framerate non proprio esaltante, e soprattutto non c’era il cabinato, principale motivo d’esistere del gioco. Quel che ne è rimasto è largamente trascurabile.
La Psygnosis pubblica un altro gioco molto coraggioso, talmente coraggioso da preferire una grafica direttamente derivata dalle glorie vettoriali dei primi anni Ottanta. Air Support di poligoni pieni non ne ha nessuno, ma il wireframe oggi sembra una scelta di ran stile. Non nel 1992, con la critica irritata per la crudezza delle immagini che non vengono neppure mitigate da una grande giocabilità. Il gioco prevede, come altri suoi contemporanei, una prima fase di pianificazione e studio della missione e una successiva azione diretta, con ogni scelta scandita da una gradevole sintesi vocale in tempo reale. Tutto, purtroppo, non è granché intuitivo, anche se qualcuno sembra apprezzare il gameplay oltre lo scoglio dell’interfaccia. Air Support, ad ogni modo, non ha avuto fortuna, forse perché nato in un periodo troppo avanti per la grafica in wireframe e troppo indietro per gustare il vintage.
E’ davvero il mese dei giochi complessi. La Millennium tenta un esperimento molto coraggioso con Global Effect: portare elementi di Sim City e Civilization in un contesto dove l’ambiente gioca un ruolo predominante. Il reperimento delle fonti di energia è cruciale alla pari della loro gestione. A fare da contraltare alle eccellenti idee, quasi didascaliche, della produzione c’è la solita maledetta interfaccia che rende tutto molto difficile: le variabili da tenere sotto controllo sono molteplici e farlo risulta alquanto farraginoso. Ciononostante, le recensioni si sono rivelate contraddittorie, con voti che spaziano dall’altissimo al mediocre, ma nessuno ha potuto esimersi dal lodarne audacia e ambizione. Oltre ad essere stato pubblicato sui classici Amiga, ST e PC, è arrivata più avanti anche un’inattesa conversione per CD32, ancora più scomoda da giocare.
Impressions è stato un nome visceralmente legato al genere degli gestionali, ma avevano un loro stile non certo congeniale a tutti: completezza e facilità di utilizzo su tutto, ma anche grafica e sonoro non più che funzionali, per occupare poco spazio e limitare al massimo le risorse hardware richieste. Air Bucks non è per nulla bello da vedere e presenta semplicemente una sequela di schermate piene di dati, ma offre al giocatore l’opportunità di realizzare qualcosa di inedito: la compagnia aerea dei suoi sogni, per l’appunto immaginaria. Ci sono quattro concorrenti da battere per conquistare la leadership mondiale e starà al nostro intuito effettuare le scelte più opportune di occasione in occasione. Affascinante, senza dubbio, e talmente essenziale da non essere invecchiato più di tanto.
Rimaniamo dalla Impressions, perché questo mese propone anche uno dei suoi titoli più insoliti: oltre a quintalate di gestionali, infatti si è concessa qualche divagazione come questo Crime City. L’idea di fondo è quella di fornire un’avventura grafica diversa dal solito, con elementi inediti e dal forte accento investigativo. Il padre del protagonista, uno scrittore di gialli che patisce la monotonia della sua esistenza, è stato arrestato per presunto omicidio con prove che sembrano schiaccianti, ma il nostro avatar dovrà fare il possibile per dimostrarne l’assoluta innocenza comportandosi come un vero investigatore privato. Il tocco della Impressions è avvertibile nel ruolo di protagonista assoluto del computer di casa, che sarà un terminale chiave per la compravendita di oggetti che ci porterà soldi necessari per spostarci per la città e ottenere informazioni, ma gioca un ruolo primario anche l’ora all’interno del gioco, che ci permetterà di fare determinate cose a determinati orari. Chi si è soffermato a giocarlo lo reputa un titolo molto intrigante, ma il suo gameplay inusuale gli è valso uno scarso successo di vendite e recensioni negative, anche se forse superficiali.
Mentre negli Stati Uniti si avvicina il secondo episodio della serie, in Europa è finalmente possibile giocare con il primo su PC. Stiamo parlando di Sherlock Holmes: Consulting Detective, titolo di una certa importanza storica, dato che è stato parte del bundle mericano del Mega CD e, soprattutto, ha debuttato su CDTV, del quale rappresenta forse il titolo più significativo. Impersoniamo il celebre detective, che in quest’occasione ha il compito di indagare su tre diversi casi. Il gameplay consiste nella ricerca di indizi cruciali nel più breve spazio di tempo e comunque prima di essere convocati dal giudice al quale sottoporre il risultato delle nostre ricerche. Rivoluzionario e sicuramente spettacolare, dato che il gioco era interamente costituito da filmati in presa diretta con l’ausilio di veri attori, era per forza di cose limitato, ma la sua formula ha avuto abbastanza successo da avviare una trilogia.
Per il gioco di ruolo occidentale sembra giunto il momento di aprire una nuova fase, ed a farsi carico dello strappo dalla vecchia concezione non può che esserci Richard Garriott della Origin, colui che dell’RPG aveva scritto tante regole. Per la rivoluzione, però, resta legato allo storico brand di Ultima con l’intenzione di proiettarlo nella tridimensionalità. In Ultima Underworld, l’Avatar si trova decisamente nei guai: assiste al rapimento della figlia di un nobile, ma piuttosto che venire considerato un testimone oculare, è additato quale responsabile e scaraventato nel temibile Stygian Abyss col compito di ritrovare la fanciulla o morire, interagendo e combattendo con i bizzarri inquilini dell’immenso dungeon. Il mondo sotterraneo dell’abisso è avveniristico pur nel suo fantasy medievale grazie all’inquadratura in prima persona con movimento libero e non più a caselle: il giocatore può andare dove vuole grazie al motore 3D con una qualità forse mai vista prima. Il tutto ha un prezzo e la configurazione necessaria per godersi la beltà delle texture in totale fluidità praticamente non esiste sul mercato, ma i giocatori più pazienti possono ugualmente godersi un titolo intriso d’atmosfera del quale oggi si fatica a comprendere la grandezza.
E’ possibile considerare il primo Paperboy un classico, ma comunque non dei più grandi. Sicuramente il suo gameplay era molto peculiare e coi suoi momenti, ma la storia ha premiato più l’originalità che l’effettiva qualità, per cui l’attesa per un Paperboy 2 era tutto sommato contenuta e il coin-op del 1991 non fu acclamato, al pari delle conversioni. La Tengen ne cura ugualmente un adattamento per i computer a 16-bit, ma confermando tanto la mediocrità del coin-op quanto dei programmatori stessi, che offrono una grafica anonima e neanche particolarmente fluida. Rispetto al vecchio Paperboy troviamo dei percorsi più articolati e delle bizzarre sezioni su sterrato, troppo poco per convincere i giocatori.
I giocatori amighisti, soprattutto quelli italiani, tenevano in grande considerazione le simulazioni calcistiche in un contesto abbastanza insolito: il punto di riferimento era Kick Off 2, che era afflitto da una lotta tra ammiratori e detrattori scaturita da controlli molto difficoltosi da domare. Chi non riusciva a divertirsi con Kick Off 2 si disperdeva tra tanti titoli mediocri che rimanevano giocatissimi solo per l’insaziabile fame di calcio presente in Europa. Ogni nuova uscita era un potenziale successo, il che ha spinto l’italianissima Idea Software a pubblicare Championship of Europe di Luca Podestà anche per omaggiare il prestigioso torneo, sebbene orfano dell’Italia. Il lavoro è gradevole nella grafica, grazie al buon coding che la gestisce ed a gustosi siparietti in occasioni di gol o entrata in campo. La giocabilità purtroppo non è ammirevole a causa di controlli approssimativi ed il risultato finale era inferiore a quello di altri concorrenti già sul mercato. E, come vedremo, questo mese non era l’ideale per pubblicare un gioco di calcio...
E’ Giugno, fa caldo e qualcuno cerca di dare l’illusione del fresco tramite i videogiochi: è questa l’unica motivazione plausibile per intendere la pubblicazione di Winter Supersports ‘92 da parte della Flair Software, che vuole porsi come un agguerrito concorrente al dominio delle simulazioni multievento della Accolade. Le sei discipline proposte sono state preparate con grande attenzione per la tecnica, che si avvale di gradevoli disegni 2D oppure di un engine 3D capace di gestire un dettaglio significativo. In termini di divertimento assoluto non ci sono particolari lodi da tessere e Winter Supersports ‘92 fatica ad appassionare più di altri suoi simili, ma ogni disciplina è pensata per poter essere giocata in doppio simultaneamente, il che migliora di netto il potenziale con un amico.
Se si cerca un’esperienza di gioco molto alternativa, è nel repertorio francese che è ene andare a scavare. Bargon Attack è frutto della Coktel Vision, compagnia da amare per l’originalità delle sue idee oppure odiare per l’approssimatezza del gameplay. Nel titolo in questione, l’atmosfera è quella dei B-movie: i Bargon sono degli alieni molto seriamente intenzionati a prendere il controllo della Terra senza farsi problemi ad ammazzare umani in quantità. Il nostro avatar è un ragazzo dalle chiare tendenze nerd suo malgrado alle prese con enigmi più o meno intuitivi, spesso frustranti, altre volte divertenti, ma la frequente possibilità di morire viene generalmente poco digerita dal pubblico. Il tono scanzonato e una tecnica apprezzabile soprattutto su PC grazie al formato VGA lo rendono comunque meritevole d’attenzione.
Non spostiamoci dalla Francia: c’è Dune della Cryo. Parliamo di una compagnia ancora giovane e con un solo gioco all’attivo, ma i suoi membri hanno offerto già interessanti spunti nella scuola transalpina. La Virgin, nel frattempo, ha una licenza da far fruttare, relativa ai libri di Frank Herbert e al film di David Lynch. Il teatro delle vicende è il pianeta Arrakis, totalmente desertico ma ricco della cosiddetta spezia, un elemento in grado di piegare lo spaziotempo e permettere viaggi intergalattici. Una tale preziosità non può che innescare lotte spietate tra fazioni per l’estrazione, ma è il pianeta stesso a ribellarsi con i suoi quasi divini vermi della sabbia e gli affascinanti Fremen, autoctoni di Arrakis. Dune è un videogioco raccontato meravigliosamente con la sua bella grafica, delle musiche che hanno meritato un’edizione speciale su CD ed un’interfaccia essenziale come poche. Dopo ore di sola avventura, ci offre gradualmente il suo profilo strategico, abbordabile, addirittura facile da sfruttare al massimo. Eppure le sue due anime non varrebbero nulla senza il connettivo artistico e narrativo che le associa. Dall’ispiratissima matrice letteraria e cinematografica, la Cryo trae quel che è già il capolavoro della sua carriera, un gioco e soprattutto un’esperienza dal fascino intramontabile.
Chiudiamo con uno di quei giochi che ha convinto da solo tanta gente a comprare l’Amiga, nonostante le sue conversioni raggiungeranno pressappoco ogni formato: Sensible Soccer. Come sempre per il tempo, utilizzare la definizione di simulazione calcistica può essere inopportuno dato che mancano regole fondamentali come il fuorigioco e il realismo, ma la ricetta per divertire il giocatore con ventidue sprites a forma di calciatore e un pallone era stata interpretata divinamente. La prima cosa che colpisce è il look super deformed assolutamente delizioso, con omini dalla testa gigantesca e dalla struttura fisica tozza ma irresistibilmente simpatica. E che dettaglio! I volti hanno una fisionomia ed ogni giocatore può essere bruno, biondo, bianco o nero. I controlli non sono estremi come in Kick Off 2, ma richiedono ugualmente della pratica, e vengono elogiati per la precisione, soprattutto in fatto di controllo del tiro che può godere di effetto o di traiettorie da pallonetto sfruttando l’unico pulsante disponibile su Amiga. Un classico genuino, un collettore di socialità che ha trasformato camerette in stadi ospitanti tornei di ogni risma. Se Sensible Soccer sia stato il miglior titolo calcistico del suo tempo è da sempre oggetto di discussione, ma quel che conta è che sia stato uno straordinario compagno di giochi per un’infinità di giocatori.
Prossimamente la sezione console!
Per quanto riguarda i giochi, ho apprezzato moltissimo su Amiga (giocato molto "in trasferta" non avendo mai posseduto il 16 bit Commodore) Jaguar XJ220 che collocherei molto vicino a Lotus 2 (perde qualcosa sul senso di velocità, ma guadagna le musiche in-game -eccellente il livello qualitativo dei moduli-).
Il racing game firmato Core Design mi piacque così tanto da indurmi ad acquistarlo su Mega CD dove, per qualche motivo, non riuscì ad entusiasmarmi.
Per quanto riguarda Sensible Soccer. l'ho più volte noleggiato e giocato nella versione Mega Drive (Sensible Soccer: European Champions)... un titolo semplicemente leggendario.
True story
Segnalo che Hostile Breed è stato rilasciato gratuitamente dal suo programmatore su Amiga Games That Weren't , ma personalmente non ho capito na pippa sul cosa fare!