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Lo stato del mercato PC non muta: la pirateria lo rende un pericoloso territorio di conquista per i grandi publisher che preferiscono dedicare grossi budget alle console, concedendo ai sistemi Windows semmai qualche conversione, ma come sempre non mancano né le eccezioni né lavori anche interessanti di compagnie più modeste.
The Sum of All Fears, però, arriva dal ricco carnet di licenze della Ubisoft, da molto tempo felicemente impegnata con Tom Clancy, popolare scrittore americano solitamente dedito alla fantapolitica che immagina con Al Vertice della Tensione, come è stato tradotto molto liberamente in italiano, un nuovo scenario da minaccia atomica. Sia il libro che il film avevano riscosso un buon successo e per il videogame la Ubisoft fa affidamento sui Red Storm che si erano già fatti molto apprezzare con la saga di Rainbow Six, sempre ricavata da sceneggiature di Tom Clancy. The Sum of All Fears è una sorta di versione semplificata di questi ultimi, con minime possibilità di pianificare le missioni ma la giocabilità non manca, semmai sono le missioni ad essere appena undici. Molte le lodi all’impianto grafico mentre feroci saranno le critiche alle future conversioni per PS2 e Gamecube che saranno tecnicamente molto modeste e fortemente penalizzate nei controlli.
Le avventure grafiche hanno vissuto nell’epoca dei lavori post-Lucasarts un vago smarrimento, in quanto mancava un’azienda palesemente leader che dettasse standard e tendenza del genere ed il mercato era disperatamente in cerca di un nuovo titolo di spicco. Syberia della Microids cadde a fagiolo e approfittò al meglio della fame del pubblico proponendo un prodotto tutto protratto verso scenari ed atmosfere sognanti ed originali, con la bella Kate in viaggio alla ricerca dell’erede di un colosso dell’industria dei giocattoli che si rivelerà poi una ricerca di sé stessa. Pur non soddisfacendo l’intera schiera di avventurieri, Syberia propone splendide immagini ed una sceneggiatura piaciuta a molti, ma è stata soprattutto in grado di dare uno scossone al genere promuovendone la rivitalizzazione.
Nel 2002 il first person shooter era già perfettamente maturo e conosceva già una buona stratificazione e se ne vedevano di più o meno violenti, con una narrazione variamente approfondita ed ambientazioni alquanto varie. Non c’è voluto molto per cominciare a simulare anche una pratica divertentissima nella realtà come il paintbrawl, con gente che si diverte a spararsi con pallini pieni di colore. Extreme Paintbrawl 4 dovrebbe in teoria portare la serie di appartenenza ad un livello qualitativamente elevato, ed invece è anche stavolta un titolo blando, con una grafica troppo semplificata ed arene non certo irresistibili, soprattutto considerando i campioni del genere. Il paintbrawl virtuale non funziona nemmeno questa volta.
La Dreamcatcher Interactive pubblica un lavoro dei 4DRulers chiamato Gore: Ultimate Soldier. Già il nome non è esattamente il trionfo della giocabilità ed il software stesso non fa molto per distinguersi dalla massa. I ragazzi americani dietro le quinte hanno Clicca sull'immagine per ingrandirla. 

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ID: 262103soprattutto pensato a mettere a punto un FPS con tutti i crismi, un buon ritmo ed un valido supporto al multiplayer che stava conoscendo un’eccellente crescita. Peccato non vi sia alcun campo in cui Gore superi la concorrenza, pur non presentando nemmeno gravi problemi. Tuttavia, l’attenzione catalizzata è risultata minima ed il multiplayer che doveva tenere viva l’attenzione dei giocatori ha vissuto per poco e con un bassissimo numero di utenti connessi.
Che quella dei remake fosse una soluzione a basso costo per monetizzare ancora di più da vecchi brand di successo è cosa nota da tempo. La Anco Software, inoltre, si è sostenuta quasi per tutto l’ultimo decennio di attività con la gloria del suo Kick Off, datato 1989 e amatissimo da una parte del pubblico ed odiatissimo dall’altra, questo per la peculiarità del suo sistema di controllo. Dopo numerosi seguiti, l’azienda decide di ritornare alle origini con Kick Off 2002, che propone nuovamente l’inquadratura perfettamente dall’alto assieme a meccaniche molto arcade. Non è stata una ripartenza d’impatto e la nuova simulazione calcistica è stata velocemente dimenticata dal mercato alla pari di quella del suo eterno rivale Sensible Soccer, e la dipartita della stessa Anco pochi mesi più tardi ha ulteriormente peggiorato le cose.
Trappola di Cristallo è senza il minimo dubbio uno degli action movie più popolari e riproposti con una notevole frequenza in TV, così come è stato protagonista di tie-in dedicati. A distanza di parecchi anni dal debutto cinematografico, il team Piranha Games, più noto per Duke Nukem Forever, realizza per conto della Sierra Die Hard: Nakatomi Plaza, che vuole permettere al giocatore di esplorare e agire nelle celebri ambientazioni della pellicola. Siamo lontani dalla definizione di capolavoro, nonostante qualcuno abbia apprezzato alcuni passaggi, soprattutto a causa dello sviluppo travagliato del gioco che lo ha visto migrare per diversi engine 3D che hanno causato una scarsa ottimizzazione ed una cura delle sezioni desiderabile.
Non sono moltissime le aziende di software italiane capaci di riuscire a distribuire i propri giochi a livello mondiale, ma la Trecision ce l’ha fatta con alcuni suoi prodotti come The Watchmaker, che quasi un anno dopo il debutto sul nostro territorio raggiunge i lidi americani quanto del resto d’Europa. Viene coraggiosamente pensato un motore interamente tridimensionale che restituisce molte delle sensazioni dell’ultimo Gabriel Knight ed una sceneggiatura che vede una coppia di protagonisti agire ed interagire all’interno di un maestoso castello per risolvere un mistero inquietante. L’ambizione della Trecision finisce con l’essere anche la sua pecca, in quanto il vero problema di The Watchmaker è la tecnica e l’esecuzione generale, mentre sono da promuovere la qualità della storia e gli enigmi connessi. Rimane una valida avventura grafica in linea con l’ottimo curriculum della Trecision.
La Infogrames si lancia in un esperimento coraggioso e difficile, nonché un po’ anacronistico: realizzare un coin-op e vendere il prodotto in una conversione PC. Il titolo protagonista è Operation: Blockade, sviluppato dagli sconosciuti Screaming Games Clicca sull'immagine per ingrandirla. 

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ID: 262104che non casualmente sono falliti subito dopo questo videogame. L’intero gameplay del gioco è incentrato su una postazione fissa dalla quale scatenare il fuoco in un fittizio scenario della Seconda Guerra Mondiale. Diversi nemici, diverse torrette ma il solito meccanismo della rotazione a 360 gradi per buttar giù di tutto, un sistema sulle prime divertente ma che esaurisce molto rapidamente la propria attrattiva a causa anche di un level design non certo raffinatissimo. La grafica, tuttavia, è decisamente curata e spettacolare.
Ritorniamo alle avventure grafiche con Jazz and Faust. Il viaggio intrapreso da questo software per giungere a noi in un linguaggio comprensibile è stato lungo, in quanto partorito dalla 1C Company originariamente nella sola lingua russa. Sono state sempre le compagnie secondarie a trascinare le avventure grafiche nel loro periodo più buio, ma in un mese interessante come questo, Jazz and Faust purtroppo sfigura. Il ridotto budget di produzione è palese sia nella qualità della grafica, bassa tanto nei personaggi quanto nei fondali, e ancor di più nel doppiaggio veramente poco coinvolgente. Anche qui è presente una doppia prospettiva con la coppia di protagonisti che si muovono per le stesse schermate potendo risolvere enigmi differenti. Un titolo largamente trascurabile.
E’ davvero strano trovare su PC diversi episodi di Pac-Man esclusivi per la piattaforma Windows, eppure a questi Pac-Man All-Stars, che porta persino un nome impegnativo. Di “stars” in realtà non ce ne sono molte, ma il gioco si configura come una sorta di party game all’interno dell’universo della pallina gialla. Ciò ha portato anche ad un cambio deciso sul fronte del gameplay che questa volta ci chiede di raccogliere il maggior numero di pallini possibile in un determinato lasso di tempo, evitando che gli altri giocatori ci precedano. Altra grande novità è la sparizione del labirinto, ma tali cambiamenti non hanno giovato particolarmente al divertimento, anzi, qualche critico ha persino stroncato la produzione, che di certo non rende onore alla gloria della mascotte Namco.
C’è una software house che negli ultimi quindici anni ha completamente riscritto le regole del gioco di ruolo all’occidentale fin dal suo strepitoso debutto nella categoria con Baldur’s Gate: la Bioware. I ragazzi canadesi stavolta vengono allo scoperto con un nuovo episodio dedicato all’universo di Advanced Dungeon & Dragons chiamato Neverwinter Nights. Come ogni lavoro della Bioware, anche questo fa parecchio discutere, soprattutto perché stavolta la sceneggiatura rappresenta un aspetto secondario del lavoro e risulta generalmente sottotono, mentre è impressionante tutto quanto il resto, a partire da scenari finalmente, o purtroppo secondo alcuni, tutti in 3D. Molto risalto viene dato all’editor Aurora, potentissimo e versatile, con il quale è possibile creare da zero le proprie quest, ovviamente con la dovuta pazienza. Nonostante Neverwinter Nights abbia fatto incetta di lodi al suo debutto sul mercato ed abbia rappresentato uno step importante dell’RPG in generale, viene oggi raramente annoverato tra i preferiti dei giocatori. Ed era anche l’ultimo titolo per PC del mese.

COMPUTER

Per il Game Boy Advance sembra proprio il mese delle star, ma non sempre dei nomi famosi equivalgono a prodotti di qualità. Uno dei più deludenti è il tie-in di Star Wars - Episode Two: Attack of the Clones, e non c’è da sorprendersi dato che la THQ ha commissionato il lavoro alla David Palmer Productions, che da anni operava sui portatili Nintendo senza mai registrare risultati clamorosi. Le vicende del film di Guerre Stellari vengono catturate nella consueta struttura multievento che offre variazioni attorno ad una formula principale da platform/hack’n’slash, ma quest’ultima è monotona e frustrante come poche mentre peggio ancora sono le sezioni in pseudo-3D. A poco serve la buona tecnica con un level design così approssimativo e poco ispirato.
La sindrome dei Pokémon colpisce anche Bomberman. La saga della Hudson infatti si sdoppia con Bomberman Max 2 Red e Blue, dove nel primo controlleremo appunto tale Max e nel secondo il character di bandiera. Scelta volta a solleticare le manie dei collezionisti e dei fan più sfegatati che nei desideri di Hudson sarebbero corsi ad aggiudicarsi la doppia uscita. La sensazione, tuttavia, è quella di operazione commerciale fine a sé stessa, vuota di creatività, con differenze davvero esigue tra le due versioni che tra l’altro soffrono di un gameplay blando e con la colpa di non supportare il multiplayer classico della saga. Uno spin-off idoneo solo ai più grandi appassionati del bombarolo.
La grafica prerenderizzata faceva la sua gran bella figura nella saga di Donkey Kong Country, ma l’abuso che se n’è fatto negli anni successivi ha conosciuto una qualità fortemente altalenante, nonché numerose forzature. Anche la Konami, purtroppo, sottopone una sua mascotte a questo genere di restyling, ma non si può dire che Frogger Advance ne abbia particolarmente beneficiato. Giusto premettere che da un punto di vista meramente tecnico non vi sono appunti da muovere, con grafica fluida, dettagliata e ben animata, peccato che essa calzi davvero male alla rana, praticamente irriconoscibile. Il gameplay è stato modificato di conseguenza e declinato secondo le regole dei classici platform 2D segnando ulteriormente e forse esageratamente il distacco dalle origini.
Internet è di nuovo in pericolo e dopo pochissimo tempo dall’ultima minaccia! Già, perché il primo Battle Network distava meno di un anno da questo Mega Man: Battle Network 2, ovviamente griffato Capcom. In realtà in questo spin-off, il robottino della Capcom è soltanto l’avatar di un ragazzo, ma conserva tutte le peculiarità della versione piattaformica. Il genere in questo caso è quello della strategia a turni, ovviamente non Clicca sull'immagine per ingrandirla. 

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ID: 262105esasperata e pensata per un pubblico in prevalenza giovanile, ma la qualità è complessivamente elevata e soprattutto segna passi avanti in ogni aspetto a confronto del predecessore. L’interfaccia estremamente funzionale sostiene alla grande il ritmo e i vari combattimenti sono intelligentemente strutturati.
All’inizio degli anni Novanta, un tale James Gurney diede il via ad un’apprezzata saga fantasy di nome Dinotopia protagonista di una ricca collana di libri. Un universo suggestivo in cui i dinosauri esistono ancora e sono senzienti, nel quale inevitabilmente si intrecciano storie incredibile che sono state oggetto prima di un adattamento televisivo e poi di un tie-in videoludico intitolato Dinotopia: The Timestone Pirates, pubblicato dalla TDK Interactive. E’ un platform 2D abbastanza ordinario e vagamente rassomigliante a Pitfall: the Mayan Adventure, molto curato sotto il profilo tecnico quanto criticabile sul fronte della longevità a causa di soli cinque livelli, per giunta corti. Inoltre, il target giovane a cui fa riferimento ha imposto un livellamento verso il basso della sfida.
Punch Out della Nintendo è tuttora vivido nel cuore dei retrogiocatori, ma la Nintendo non ha mai esagerato sul fronte dei seguiti, preferendo centellinare le uscite per far crescere smodatamente il desiderio di nuovi episodi. Nell’interminabile attesa ha tentato di inserirsi la Acclaim con Punch King, che si ispira davvero in tutto al classico Nintendo: grafica cartoonesca, un pizzico di demenzialità, inquadratura alle spalle del nostro pugile. Nonostante le buone intenzioni, non ne è venuto fuori un granché ed è palese la mancanza dell’esperienza nipponico nel design dei match, che sono qui blandi e penalizzati da una difficoltà mal calibrata ed amplificata da problemi nei controlli.
Chiude la rassegna GBA un altro nome di assoluto prestigio: Wolfenstein 3D. Il capolavoro della id Software è stato il primo FPS di ampio successo ma risale al 1992. Già oggetto di numerose conversioni per formati più e meno ordinari, propone le sue atmosfere fanta-naziste anche sul portatile Nintendo portando così tutti i contenuti dell’edizione originale per DOS, che se erano ottimi un decennio addietro sembrano quantomeno appannati nel 2002. Il giocatore alla ricerca di una semplice conversione è accontentato, ma l’aggiunta di contenuti extra avrebbe dovuto essere prevista, soprattutto considerando che la ludoteca GBA offriva già validi FPS, compreso lo stesso Doom. E’ un classico ancora divertente, ma inevitabilmente ridimensionato.

GAMEBOY ADVANCE

La Xbox si gode una campagna pubblicitaria mastodontica, irrinunciabile per sostenere le vendite, anche perché la frequenza di pubblicazione di giochi di primo piano non è molto intensa, anzi, alcune mensilità sono particolarmente scarne proprio quella del Giugno 2002. Il miglior gioco del mese è con tutta probabilità Splashdown, programmato dai Rainbow Studios e pubblicato dall’allora Infogrames. Si inserisce nel filone delle corse su moto d’acqua popolarizzato da Waverace su Nintendo 64 e che già contava una buona quota di imitatori. Questo, tuttavia, è un lavoro coi fiocchi grazie all’eccellente giocabilità che fa pure il paio con rispettabilissimo reparto tecnico, insidiando pericolosamente la gloria del capolavoro Nintendo. E’ comunque solo una conversione, considerando che Splashdown era già arrivato da alcuni mesi su PS2.
Era stato uno dei primi titoli disponibili al lancio della console Microsoft, ma solo sul territorio americano, mentre la traversata verso i lidi europei si è dimostrata piuttosto lunga. Anche se non troppo atteso, anche dalle nostre parti spuntano le copie di 4x4 EVO 2 della Terminal Reality. L’idea alla base del gioco è semplice ma intrigante: applicare le leggi della saga di Gran Turismo al mondo dei fuoristrada ed ai percorsi sterrati e acrobatici. Aveva già funzionato bene in occasione del primo 4x4 Evolution e la bontà della formula si conferma pur mostrando segni di invecchiamento. Si tratta fondamentalmente di un more-of-the-same con più auto e più piste, ma chi ha già divorato il predecessore rischia di annoiarsi in fretta.
I brand videoludici possono morire in vari modi: alcuni vengono semplicemente abbandonati per generazioni, altri vengono assassinati poco a poco. Al secondo filone Clicca sull'immagine per ingrandirla. 

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ID: 262106appartiene Test Drive, che alla fine ha conosciuto più uscite cattive che buone, e già nel 2002, dopo qualche sonoro fiasco, sentiva bisogno di un reboot. Il nuovo arrivato si chiama solo Test Drive, senza indici numerici o sottotitoli. Ad un’analisi più approfondita, la ripartenza è più apparente che altre, visto che in regia ci sono gli stessi ragazzi degli episodi precedenti, ma il cambio di ritmo è nella qualità che migliora drasticamente e che, pur non insidiando i migliori racing game, riporta la saga in carreggiata, con una discreta tecnica ed una giocabilità immediata. I tracciati sono appena quattro, ma decisamente ampi.
Il team Hypnotix è nato con l’espressa volontà di dedicarsi esclusivamente a titoli di carattere umoristico, possibilmente demenziale, e dopo i debutti con la serie di Deer Avenger sbarcano nel dorato mondo delle console con Outlaw Golf, simulazione assai poco seriosa che nei mesi successivi guadagnerà conversioni un po’ ovunque. Sul campo stavolta ci vanno dei tipetti davvero poco raccomandabili, che oltre a contribuire al folklore grafico non si fanno mancare epiteti di sorta per commentare le loro performance, per non parlare delle esultanze. Sotto la superficie, per fortuna, si nasconde un gameplay curato che garantisce una buona sfida. E dopo appena quattro videogames abbiamo già esaurito l’offerta Xbox.

Sul fronte Nintendo la preoccupazione a riguardo delle vendite è massiccia e spinge un certo Satoru Iwata ad ipotizzare anche l’uscita dal mercato hardware, ma nel frattempo il Gamecube si attrezza per non sprofondare, riuscendoci particolarmente bene questo mese. L’arrivo di Lost Kingdoms della From Software è da considerarsi un evento perché è il primo JRPG per la macchina ed inaugura una categoria che era stato tanto cara in passato ai nintendiani. E’ comunque un prodotto atipico in quanto tutto il gameplay è incentrato su carte che possono essere sfruttate dalla protagonista Katia. I combattimenti, inoltre, sono in tempo reale e fra le sue peculiarità bisogna purtroppo annoverare una trama fin troppo semplice e banale che fa il paio con una longevità nettamente sotto la media dei giochi di ruolo, ma è un titolo caro a molti giocatori per la sua diversità.
E’ un mese di debutti per le categorie videoludiche, potremmo dire, visto che è ora che anche il primo puzzle game arrivi, il che ci dà anche un’idea della limitata varietà della softeca Gamecube a questo punto. E’ un peccato perdonabile in questo genere, dato che i puzzle games poco si adattavano al mercato del 2002, legato ai costi di produzione e distribuzione dei DVD anche per software di pochi megabytes come Zoocube della Acclaim. Il tema è ovviamente zoologico e noi controlliamo un bizzarro oggetto al centro dello schermo con degli annessi a forma di animali che necessiteranno di essere combinati con degli item identici che si avvicineranno dalle quattro direzioni cardinali. Arriverà presto anche su GBA mentre la PS2 dovrà attendere il 2006, ma Zoocube non è mai stato considerato un grande successo.
Forse la più grande colpa della Nintendo è stata quella di voler competere con le rivali su campi nei quali erano già affermate, Playstation 2 in primis. In questa direzione è da interpretare NBA Courtside 2002, terzo episodio di una saga nata sul Nintendo 64 dove aveva ricevuto un buon responso dalla critica. Il passaggio alla nuova generazione non è traumatico in senso assoluto, ma lo diventa nel momento del confronto con la concorrenza su altre macchine che si presenta sensibilmente più evoluta, nonostante la buona idea, purtroppo non eseguita perfettamente, di utilizzare il secondo stick analogico per i passaggi. Per giocare a basket, però, non ci sono alternative: anche questo NBA Courtside 2002 è il primo della sua categoria sul Gamecube.
Su Nintendo 64 non c’era affatto un’abbondanza di picchiaduro ad incontri e l’unica maniera per sopperire a tale pecca era quella di rivolgersi agli pseudosportivi simulatori di wrestling, che per fortuna hanno goduto di uscite più che rispettabili. Il Giugno 2002, tuttavia, fu un mese particolari a causa di frizioni riguardo al nome della federazione che fu costretta a cambiare da WWF a WWE proprio nei giorni di pubblicazione del gioco, col risultato di copie dalla cover differente. Aneddotica a parte, WWE Wrestlemania X8 è di qualità media, né ai livelli delle migliori uscite né delle peggiori, ma considerando il gradevole reparto audiovisivo, è davvero un peccato che i controlli non risultino molto responsivi.
La Hudson ha sempre avuto un ottimo rapporto con la Nintendo ed individua nel Clicca sull'immagine per ingrandirla. 

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ID: 262107Gamecube una piattaforma interessante per la sua tipologia di prodotti. Bomberman Generation è il primo titolo col bombarolo su questo hardware ed il suo sviluppo è stato affidato all’eclettica Game Arts per rivitalizzare il brand. Missione riuscita anche se ciò ha comportato un piccolo distacco con alcune caratteristiche delle uscite originali che vengono riprese solo a sprazzi: il gameplay stavolta si dipana in diverse modalità di gioco che vanno dalla classica ad arena in schermo fisso ad una sorta di action-adventure meno intenso passando per battaglie in stile Pokémon. Molte cose funzionano bene, altre meno, ma gradevolissimo è il cel-shading che ricopre tutti i poligoni del gioco, una tecnica non ancora abusata al tempo.
Motocross e videogiochi hanno dimostrato di poter andare parecchio d’accordo sin dai tempi di Excitebike, ma in tanti hanno cercato di affrontare il tema con piglio più verosimile, anche senza un realismo esasperato. MX Superfly della THQ punta esclusivamente a divertire e pare proprio che ci riesca bene. I ragazzi del team Pacific Coast eseguono un lavoro brillante in fatto di giocabilità, con corse furiose ed estremamente divertenti che oltre alla consueta dose di percorsi e moto consentono all’utente di scatenare la propria creatività grazie ad un editor di tracciati incluso. Pur non ostentando un dettaglio straordinario, anche la grafica è piacevole e soprattutto fluida ed una colonna sonora griffata da numerosi artista chiude la quadratura del cerchio.
Sul Gamecube tutti attendono Mario, Zelda o qualcun’altra delle tante mascotte della casa giapponese, sottovalutando le potenzialità delle nuove idee. Nel frattempo la Nintendo cerca anche di costruirsi un’immagine più matura di quella principalmente per famiglie che gli è sempre stata attribuita, e per tale ragione decide di finanziare un horror-game del team Silicon Knights chiamato Eternal Darkness. La struttura prevede dodici mini-capitoli ambientati in differenti epoche storiche con protagonisti diversi, ma ovviamente vi sarà un filo conduttore che abbraccierà le vicende di tutti a partire dall’inizio con Alexandra che indaga sui misteri di suo nonno. Venuto fuori quasi dal nulla, Eternal Darkness può essere annoverato tra i migliori giochi a tema horror di sempre grazie alla sua straordinaria atmosfera ed alla trama fortemente contaminata da Lovecraft, peccato che la ristrettezza dei dischi del Gamecube abbia ostacolato l’implementazione di molti contenuti.
Abbiamo già citato la popolarità dei giochi di wrestling della tradizione delle console nintendiane, ma c’è una saga molto più rappresentativa per il genere dei picchiaduro, anche se in questo potrebbe sembrare un termine inopportuno, e che stavolta accoglie la sua seconda uscita: Super Smash Bros Melee. L’idea è la stessa dell’episodio Nintendo 64: creare un fighting game con meno violenza possibile, tant’è che la maniera più rapida di vincere i match non è colpire di più l’avversario ma scaraventarlo fuori dallo schermo. Il bello del gioco, però, è il clima di festa generale con la passerella di tutti i character nintendiani in splendida forma, ognuno col suo ispirato stage e mosse specifiche. Bello, giocabile e adatto a tutti. Un successone anche nella sua versione PAL, infatti era già stato pubblicato a fine 2001 in NTSC.

XBOX e GAMECUBE

La nostra solita maratona nel mondo console si chiude con la Playstation 2, la quale offre una lista di uscite numericamente più che soddisfacente ma con poche unità realmente interessanti. Shifters of Might & Magic avrebbe anche un notevole potenziale, chiaramente ereditato dal glorioso passato della saga, ma fa di tutto per sperperarlo. Premettiamo che il suo publisher, la 3DO, versava in condizioni economiche drammatiche che si sarebbero tradotte in pochi mesi in bancarotta ed ogni gioco lanciato sembrava più un tentativo disperato per monetizzare con pochissimi investimenti. Tecnicamente questo Shifters è estremamente modesto ed il gameplay palesa una totale mancanza di ottimizzazione che annienta le pur buone idee derivanti dalla capacità del personaggio di mutare forma in molte occasioni. E’ il seguito diretto di Warriors of Might & Magic e bisogna ammettere che lo migliora su diversi fronti: i difetti rimangono evidentissimi, ma a qualcuno piace.
Tommy Lee Jones e Will Smith sono di nuovo al cinema con un’altra pellicola dagli incassi superlativi: Men in Black 2, che si becca anche il suo doveroso tie-in per la Playstation 2 che verrà successivamente convertito sul Gamecube. L’infame tradizione degli adattamenti da cinema mantiene basse le aspettive, per cui il titolo riesce a deludere solo marginalmente: è uno sparatutto di difficoltà medio-bassa e caratterizzato da livelli senza acuti con momenti interessanti solo in occasione dei boss. Il reparto tecnico, com’era prevedibile, non si distingue per grandi meriti, ma quest’uscita targata Infogrames ha l’innegabile merito di arrivare nei negozi a prezzo ridotto, rendendosi appetibile almeno per i fan intenzionati ad accaparrarsi tutto il riguardante Men in Black.
Sulla prima Playstation, la Acquire si era fatta molto apprezzare grazie alla saga di Tenchu, ma ha dovuto abbandonare la sua saga nella nuova generazione, passando il testimone a terzi. Negli studi, però, prende vita un’altra serie che sarà capace di creare una discreta fan-base, quella di Way of the Samurai. Niente più ninja, piuttosto un samurai che intorno alla fine del 1800, al tramonto degli uomini della sua arte, va a vivere in un piccolo villaggio nel Sol Levante, teatro di una sanguinolenta guerra tra clan. La vera novità è la possibilità di scelta concessa al giocatore che sin dalle primissime battute potrà influire sul corso della sceneggiatura che potrà alla fine condurre a sette finali differenti in base alle azioni intraprese. Splendido sulla carta, splendido nell’ambientazione, ma non eccezionale in termini di puro gameplay, anche per colpa di concetti non perfettamente implementati. E peccato anche per un sistema di combattimento non troppo appassionante.
Il PC ebbe nel 2000 il suo personalissimo Goldeneye, chiamato No One Lives Forever e caratterizzato da una protagonista femminile e sensuale che si aggirava in atmosfere Clicca sull'immagine per ingrandirla. 

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ID: 262108glamour al ritmo di un umorismo spesso demenziale. Simpatico, gradevole graficamente e dalla giocabilità estremamente varia e creativa al punto che un passaggio alle console proprio non glielo si poteva negare. Nella conversione per PS2 la fluidità non brilla, ma fortunatamente restano tutti i validissimi contenuti dell’edizione di due anni prima, con un’unica mancanza: quella del salvataggio rapido, che impedisce al giocatore di cautelarsi facilmente prima di una sezione impegnativa aumentando drasticamente il senso di frustrazione. La godibilità dell’esperienza, alla fine, ne esce ridimensionata.
Mentre sulla prima Playstation vi erano stati buoni successi nel genere light-gun, soprattutto grazie ad alcune conversioni di popolari coin-op, sulla seconda nata di casa Sony era avvertibile una virata dell’attenzione molto più verso altre tipologie di prodotto. Per coprire questa categoria lasciata un po’ sguarnita dagli sviluppatori, la Empire realizza Endgame che si rivela molto aderente alla tradizione Namco. L’obiettivo è soprattutto quello di fornire una buona scusa per spolverare la light-gun, ma i cinque livelli dall’intenso sapore arcade scorrono via piacevolmente, anche se parecchio in fretta. Durante il gameplay, il reparto audiovisivo si difende senza strafare, mentre alcune cut-scenes sono di una bruttezza quasi sorprendente, a testimonianza di un budget di sviluppo abbastanza modesto.
Non esistono forse mezzi più idonei dei monster truck per descrivere lo stereotipo dello spirito americano: grosso, spettacolare e rumoroso. Diverse sono state le trasmissioni televisive che hanno celebrato questi super pick-up e la Ubisoft si è aggiudicata i diritti di quella più popolare per pubblicare Monster Jam: Maximum Destruction. Titolo esplicito di sicuro nel quale per vincere le corse potremo devastare un po’ tutto quel che ci pare, affidandoci a dei monster truck reali e resi famosi dall’omonimo tv show. Peccato che il titolo sia stato colpito dalla ben nota maledizione dei tie-in e che i soldi siano stati sfruttati più per l’acquisizione della licenza che per altro, con una grafica buona solo per i mezzi e scevra nei fondali, accompagnata da una giocabilità che sostiene il divertimento solamente nelle prime battute.
Il genere fantasy si è talmente ampliato negli anni da arrivare al punto di formare delle correnti molto articolate e ricche di estimatori come quella dello steampunk. Tratta di ambientazioni costruite in società che vivono il paradosso di una tecnologia capace di marchingegni straordinari ma costituiti da componenti tradizionali se non addirittura obsolete. A questo filone appartiene Skygunner dello sconosciuto team Pixelarts, nel quale potremo prendere il controllo di tre diversi protagonisti, ognuno con missioni specifiche da affrontare. Nonostante alcuni livelli siano inevitabilmente simili tra loro, la giocabilità è elevata e Skygunner si fa molto apprezzare da chi è in cerca di titoli originali, anche se la grafica alterna un validissimo design artistico a qualche limite tecnico.
Nato alla fine degli anni Sessanta, il cartone animato di Scooby Doo ha passato orgogliosamente la prova del tempo accogliendo ancora oggi di tanto in tanto nuovi episodi e non poteva che trovare eguale fertilità nell’ambito videoludico. Il primo titolo ad esso dedicato per le console di nuova generazione è Scooby Doo: Night of 100 Frights della THQ. In cabina di regia il team Heavy Iron, un vero specialista dei tie-in da cartone animato e capace di divenire un punto di riferimento persino per la Walt Disney. L’attitudine a realizzare buone trasposizioni traspare anche in questo prodotto, carino graficamente e vocalizzato persino da alcuni membri dei doppiatori originali. Il genere di appartenenza è quello del platform 2D, ovviamente poligonale, e pur non vantando preziosismi di game design, scorre gradevolemente dall’inizio alla fine.
La golden age degli sport estremi continua a trovare nuove uscite anche sulla Playstation 2 e l’attenzione degli utenti su questi prodotti era tale da convincere già da qualche tempo la Electronic Arts a creare una divisione interna dell’azienda chiamata BIG, a dire il vero poco longeva, che questo mese propone Freekstyle del team Page 44. Le protagoniste sono le moto da cross, lanciate come sempre su circuiti di massima spettacolarità al ritmo di band note e meno note del panorama musicale americano. La formula è consolidata, fin troppo, e mentre alcune testate continuano ad evidenziarne i pregi, altre cominciano a lamentare la sensazione di deja-vu e la monotonia nascosta dal rumore e dalla velocità. Ciononostante, della sua categoria Freekstyle è un ottimo esponente.
A guardare i debutti dei ragazzi della Reflections, con un certo Shadow of the Beast in primis, difficilmente si sarebbe potuto pensare per loro un futuro da esperti di giochi di Clicca sull'immagine per ingrandirla. 

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ID: 262109corse. Da Destruction Derby in avanti, nel team britannico hanno cercato di proporre una competizione finalizzata alla spettacolarità e questo Stuntman per Playstation 2 è uno dei loro esperimenti più audaci. Com’è facile intuire dal nome, saremo al servizio di registi cinematografici bisognosi di qualche pilota spericolato per realizzare sequenze rischiosissime. Abbondano le belle idee e le ambientazioni più disparate, ma giocare a Stuntman è davvero un’impresa, e non solo per qualche difettuccio tecnico: il livello di difficoltà, infatti, è drammaticamente tarato verso l’alto e solamente gli utenti più abili potranno godersi davvero le missioni mentre tutti gli altri potrebbero rimanere spaventati sin dalle prime battute.
Sin dalla prima generazione di console Sega, un generoso serbatoio di videogames è stato la sala giochi, luogo in cui le migliori invenzioni della celebre compagnia nipponica prendevano forma per la prima volta. Una tradizione che si è perpetrata di ciclo in ciclo fino alla sfortunata Dreamcast, dopo la cui fine si è aperta una corsa delle altre protagoniste del mercato nell’aggiudicarsi conversioni esclusive per la propria piattaforma. Vampire Night se l’è preso la PS2 e poteva essere un palliativo interessante per gli amanti di House of the Dead, del quale sembra un fratellastro. Il tema è vampiresco ma è ancora un light-gun game, mese positivo per il genere, e nonostante i fasti del collega rimangano lontani si può sicuramente parlare di un gioco divertente.
Il film di Lilo & Stitch si è goduto un successo planetario al botteghino anche se non all’altezza dei migliori film Disney secondo la critica, ma di materiale ce n’era abbastanza per alimentare qualche tie-in videoludico. Disney’s Stitch: Experiment 626 è un prequel che si ferma proprio nell’esatto momento dell’inizio della pellicola e racconta le gesta del mostriciattolo al centro della produzione. Il team in cabina di regia è quello dei qualitativamente discontinui High Voltage Software che in quest’occasione raggiungono faticosamente la soglia della sufficienza. L’ordinarietà audiovisiva del titolo certo non aiuta, e forse qualche spunto creativo in più si poteva archiviare senza tanta fatica, ma qualche perplessità concerne anche la giocabilità a causa della frenesia generale che manca di appassionare soprattutto sulle prime battute. Tra l’altro, non sembra neppure un gameplay molto calzante ai giovanissimi.
La Rage Software era attiva dal 1992, ma conobbe una certa popolarità con l’arrivo delle schede 3D accelerate per PC, per le quali proponeva titoli di forte impronta arcade muniti di un reparto tecnico stracolmo di effetti speciali. Peccato che la formula abbia perso progressivamente appeal con l’assuefazione alla bella grafica, anche perché il team britannico faticava a sorprendere ancora. GTC: Africa rappresenta bene le difficoltà dell’azienda, sull’orlo del fallimento, ed offre un po’ di corse a tema desertico/rallyistico senza vezzi simulativi. L’essenzialità della struttura non regge il confronto con illustri rivali e neppure il solitamente valido engine 3D della Rage sembra adattarsi bene ai chip della PS2. Il risultato finale è un racing game tristemente nella media che si perde nel sovraffollamento della categoria.
Guadagna una pubblicazione finalmente in tutto il mondo una delle potenziali killer application dell’universo Playstation: Wipeout Fusion. I primi tre episodi della saga meritarono la straordinaria popolarità raggiunta sulla prima console Sony e c’era una legittima curiosità di scoprire cosa sarebbe stato capace di fare lo Studio Liverpool, ex-Psygnosis, con la potenza dell’Emotion Engine, dimenticando il recente riarrangiamento aziendale susseguente all’incorporamento in Sony. Nonostante il nuovo arrivato sia sostanzialmente senza difetti, il pubblico rimane meno colpito che in passato e il micidiale mix tecnico-stilistico del passato pare considerevolmente ridimensionato. Alcuni criticano Wipeout Fusion per avere rischiato troppo poco, ed in effetti l’unica introduzione rilevante è la possibilità di potenziare il proprio mezzo corsa dopo corsa, altri preferiscono vedere il bicchiere mezzo pieno elogiando la godibilità dei tracciati e la buona intelligenza artificiale. Deludente sotto il profilo delle vendite, rimane con tutta probabilità l’uscita meno amata della saga. Al prossimo mese!

PLAYSTATION 2
Gianluca "musehead" Santilio