Il 1992 conferma la sua tendenza a proporre mensilità stracolme di software con un Maggio veramente di fuoco. Ne vedremo seriamente delle belle con una lista delle migliori in assoluto!
I computer ritrovano un eroe molto amato in Indiana Jones and the Fate of Atlantis: The Action Game, pubblicato dalla Lucasarts e che anticipa di diversi mesi la quasi omonima avventura grafica. Il team Attention to Detail prepara questo antipasto in una formula del tutto inattesa, quella del gioco d'azione a visuale isometrica che in realtà qualche enigma da risolvere lo propone comunque. Il pubblico, comprensibilmente spiazzato, ha riservato al gioco un'accoglienza molto “di pancia” accanendosi sulla sterilità della grafica e sulla claustrofobicità dei livelli, ma chi ha insistito nell'addentrarcisi ha conosciuto buoni momenti videoludici. Indiscutibilmente positivo è il fatto che il titolo sia stato pubblicato anche per i computer ad 8-bit che hanno potuto godersi per l'ultima volta il prode Jones.
Uno degli episodi più amati di Ultima e sicuramente tra i migliori è stato il sesto, che venne pubblicato nel 1990 come sempre dalla Origin di Richard Garriott. La strada verso l'Europa è stata lunga due anni, ma alla fine Lord British si rifà il trucco anche per l'Amiga, serbando purtroppo una brutta sorpresa: la lunga gestazione non si è tradotta in buona ottimizzazione del codice, che è talmente pesante da risultare quasi ingiocabile su un Amiga di base, nonostante le riduzioni grafiche attuate. Peccato, perché le introduzioni di Ultima VI non sono irrilevanti, a partire dal mondo finalmente in un'unica scala con fasi di esplorazioni dei dungeon strutturalmente in linea con quelle di esplorazione esterna. Meglio giocarlo su PC.
Project-X... e potremmo star qui a parlarne per ore. Una cosa è certa: è lo sparatutto capace di irrompere con più fragore nel panorama Amiga, ma non tutte le sue qualità vengono unanimemente riconosciute. La grafica è un trionfo di design stilistico, dalle splendide schermate d'intermezzo al tratto di alcuni nemici e fondali, sempre mossi con grande fluidità ma senza accenni di scorrimento parallattico. Ottime le musiche dei menu, nella partita però non c'è nulla. La difficoltà è ragguardevole, la cosa piace a molti ma non convince tanti altri ed è qui che le opinioni si scontrano ardentemente: è in effetti il migliore sparatutto per questo computer o un gioco tanto fumo e non troppo arrosto (come sostiene chi scrive)? Rimarrà probabilmente una questione irrisolta, ma ricordarla accende ancora gli animi.
C'è un altro gioco di ruolo che attraversa l'oceano dai lontani Stati Uniti: Pools of Darkness, seguito diretto di Secret of the Silver Blades nonché capitolo conclusivo della saga denominata “Gold Box” della SSI, tutta incentrata sulle regole di AD&D. Complessivamente si tratta di una buona chiusura, soprattutto perché caratterizzata da un modello di gioco che stava cedendo il passo ai tempi, peccato solo che proprio il finale sia ritenuto generalmente deludente. Era già stato pubblicato da un po' per PC ma questa conversione per Amiga riesce a superare l'originale in fatto di giocabilità pura grazie ad una differente gestione dei salvataggi che rende l'esperienza meno frustrante, mentre la grafica ha dovuto sottostare al solito abbassamento dei colori.
Alien World è uno prodotto molto poco noto programmato dalla Hi-Tec Software, compagnia che raramente è stata capace di sfornare software di buon livello. Il titolo in questione soffre un aspetto fin troppo generico, forse anche a causa di una grafica che pare a tratti un maldestro plagio degli alieni di Giger. Ad un'analisi più approfondita rivela una giocabilità non del tutto malvagia e le meccaniche da sparatutto in un mondo da platform non sono male, e può vantare persino buone musiche. Il level design purtroppo non è particolarmente esaltante e i comandi hanno qualche problemino. E' stato pubblicato su Amiga e ST.
L'idea di poter realizzare un run'n'gun sulla scia di Green Beret su una piattaforma a sedici bit non può che solleticare le fantasie di molti. Alla Zeppelin Games, tuttavia, non c'è l'intenzione di fare le cose veramente sul serio con Arnie e puntano su un videogame da vendere a prezzo di budget, ma questo non giustifica la bassa qualità che lo caratterizza. Si salva praticamente solo lo scrolling fluido, ma per il resto la grafica sembra di un 8-bit, mentre il divertimento latita principalmente perché danneggiato da una difficoltà terribilmente alta.
Molto popolare su Amiga ma anche ST è Fire & Ice (ARTICOLO SU RH), che reca anche la firma di un game designer d'elite: Andrew Braybrook. Noi controlliamo un pittoresco coyote che si aggira per livelli che, tenendo fede al titolo del gioco, spaziano da scenari polari ad altri molto soleggiati con una certa influenza anche sul gameplay. La strutturazione degli stage è molto godibile sebbene sia fortemente basata sulla ricerca di chiavi ed il ritmo compassato del gameplay non è mai un difetto. Giusto segnalare, comunque, che Fire & Ice è un altro di quei titoli che dividono i videogiocatori: nonostante alcune qualità incontestabili, non è capace di appassionare tutti, apparendo a tratti noioso. Rimane comunque ancora oggi un platform di grande personalità.
E questo sembra proprio il mese dei giochi famosi ma controversi dato che è il turno di Jim Power in Mutant Planet. Questo lavoro della Loriciel rientra a pieno diritto nella categoria dei run'n'gun e viene di frequente accostato a Turrican, eppure vi sono differenze sostanziali tra i due, dato che Jim Power riduce a zero il fattore esplorativo e costruisce il suo gameplay piuttosto con riferimento alle dinamiche trial-and-error che richiedono un timing perfetto per avanzare, puntando su una sfida per giocatori molto abili. Tecnicamente, però, il gioco non si discute: fluidità perfetta e straordinaria ricchezza cromatica prima di tutto, ma anche una colonna sonora scritta da un tale Chris Huelsbeck.
Pubblicato dalla Playbyte ma incapace di guadagnarsi molta notorietà, Ugh! è in realtà davvero gustoso a partire dalla bizzarra sceneggiatura che ci vede indossare i panni minimali di un uomo preistorico che s'è inventato un aeromobile a pedali che usa come taxi. Al giocatore viene chiesto di spostarsi con esso e il suo peculiare sistema di controllo per la schermata del livello e portare nei luoghi opportuni chi ne fa richiesta. La grafica è simpatica, la giocabilità abbonda e la longevità consiste di ben 69 livelli. Sembrerebbe anche originale, ma a ben vedere è una rivisitazione di un titolo chiamato Space Taxi, ma questo, ovviamente, non è un difetto.
Per moltissimi i computer a 16-bit sono state semplici macchine per videogiocare e sin troppo spesso questo è stato inteso sopratutto in ottica arcade, ma è giusto sottolineare come proliferasse in realtà un po' di tutto, con un genere strategico ricco di titoli interessanti. Pacific Islands della Empire è il seguito ufficiale di Team Yankee, rispetto al quale rinuncia alla riproposizione di eventi realmente accaduti per dedicarsi ad una storia inventata di sana pianta. E' un ispirato mix di strategia ed azione, la prima ovviamente utile alla preparazione delle missioni, e la seconda per raggiungere in prima persona gli obiettivi fissati al bordo di un temibile carro armata. I progressi in avanti rispetto al predecessore sono avvertibili in tutti gli aspetti e spiccano nel motore grafico.
Continuando a parlare di strategia, bisogna riconoscere che un po' di semplificazione ogni tanto è opportuna e anche su questa ha conosciuto la sua fortuna la serie di Perfect General della Quantum Quality Productions che finalmente porta in Europa il suo titolo tramite la Ubisoft. La guerra si combatte ancora una volta su un terreno fatto di caselle esagonali, seppur nascoste, ma le meccaniche di base vengono alleggerite. E' un gioco da ricordare anche per la possibilità di giocare online con un amico, ovviamente senza internet ma tramite connessione diretta col modem. Avveniristico!
Non bisognava per forza essere dei supporter del team inglese per conoscere Manchester United Europe della Krisalis, dato che prima che un prodotto dedicato ai tifosi era un dignitoso titolo calcistico. In occasione del campionato europeo, la stessa azienda si aggiudica i diritti di una delle stelle più luminose del calcio inglese di ogni tempo e porta sul mercato John Barnes' European Football, ma la struttura è la stessa del predecessore targato sempre Krisalis, soltanto con qualche differenza in fatto di controllo palla. Il pubblico, tuttavia, non apprezza gli scarsi progressi e soprattutto la limitazione a sole otto squadre, quelle qualificate alla fase finale di quell'Europeo, inoltre senza la Danimarca vincitrice che venne ripescata in extremis.
Nonostante la popolarità delle avventure grafiche sia in questo 1992 al suo apice assoluto, diventa complicatissimo per qualunque sviluppatore secondario inserirsi nell'egemonia del duopolio Lucasarts/Sierra, ma a suo modo la Cyberdreams ci riesce con Darkseed. La chiave di volta è nel supporto artistico del geniale H.R. Giger, visionario svizzero noto per i suoi lavori a tema alieno, che qui riesce ad instillare un carisma fuori dall'ordinario ad ogni singola schermata di gioco, amplificando considerevolmente la tensione derivante dalla sceneggiatura fanta-horror che il protagonista vive a cavallo di due dimensioni. E meno male, perché Darkseed è ludicamente discutibile con possibilità di rimanere bloccati in caso di mancate azioni pregresse ed enigmi strutturati generalmente non benissimo. Su Amiga, poi, il codice arranca non poco, mentre su PC c'è da lustrarsi gli occhi grazie alla grafica in “alta risoluzione” 640x480 che annichilisce in dettaglio qualsiasi avventura grafica mai pubblicata.
Il mercato dei videogiochi è ancora stravolto dall'effetto Lemmings. Il capolavoro della DMA Design aveva donato dignità assoluta alla categoria dei puzzle games, ragion per cui il pubblico è ben disposto ad accogliere nuovi titoli sulla stessa linea e la Imagitec Design cavalca a dovere l'onda. The Humans ci porta agli albori della collaborazione fra uomini e dell'evoluzione in generale, col giocatore a capo di un numero più o meno nutrito di cavernicoli con problemi di vario tipo. Sarà necessario spremere le meningi ma una generosa mano viene per fortuna dalla simpatia intrinseca dei protagonisti. Peccato che su Amiga ed ST vi sia uno swap disc fastidiosissimo, con tre cambi per ogni livello di gioco. Quasi inaccettabile.
Anche gli scacchi sono una disciplina importante, soprattutto in un momento in cui i processori crescono in potenza e le intelligenze artificiali possono evolversi mostruosamente. La Software Toolworks è la compagnia di maggiore successo nel campo e questo mese porta anche in Europa Chessmaster 3000 che enuclea la sua evoluzione in un computer che sa essere molto scaltro, ma sono ancora più godibili le quasi duecento partite memorizzate giocate da veri campioni e tutte da studiare, ma si pensa anche ai principianti grazie ad una modalità nella quale la CPU ci fa da tutor.
Incontriamo un'altra avventura grafica di un team debuttante nel genere, una certa Westwood... Il titolo in questione è The Legend of Kyrandia (ARTICOLO SU RH) che avvia, tra l'altro, una fortunata trilogia. I versatilissimi programmatori americani danno vita ad una storia intrigante, fatta di un giullare pazzo, un uomo tramutato in pietra e tanta tanta magia che si avvicina di moltissimo, e forse non casualmente, all'atmosfera di King's Quest. Il grande merito del gioco è quello di affrontare ogni problematica delle avventure grafiche con competenza, seppure senza particolari colpi di genio e mantenendosi a debita distanza dai grandi classici della categoria.
L'ultimo titolo per computer del mese è un'esclusiva PC nonché ancora una volta un'avventura grafica, per la gioia di molti, ma stavolta c'è da srotolare il tappeto rosso per la veterana Sierra che ci porta il secondo capitolo dell'incomprensibilmente breve saga di Laura Bow: The Dagger of Amon Ra. Il setting non sarà originale, ma assai stimolante: all'inaugurazione di un museo impreziosito da un rarissimo manufatto egizio viene consumato un assassinio che la prode Laura intende indagare. Tutto la storia si svolge nello stesso grande edificio con gli eventi che si accavalleranno all'insegna del mistero d'autore. The Dagger of Amon Ra, per quanto poco ricordato, viene ritenuto da molti tra i migliori lavori della Sierra.
Il Game Boy continua col suo eccellente stato di forma senza lasciarsi minimamente insidiare da Sega e Atari e presentando una lista di novità al solito nutrita. Turn and Burn reca la firma della compagnia Absolute, nata da prestigiose firme ex-Activision, e si presenta come una simulazione di volo. Per ragione di cose, la formula è considerevolmente alleggerita, affiancandosi ad altri esempi della categoria conosciuti sulle console 8-bit, in primis per la grafica minimalista. Un prodotto del genere su Game Boy è pur sempre indirizzato ad una nicchia, ma l'esperienza della Absolute nel campo si fa gradire.
Le terze parti hanno significato moltissimo per il portatile Nintendo ed anche la Tecmo ha dato il suo contributo dimostrando ancora una volta l'affetto per gli 8-bit di Kyoto con Ninja Gaiden Shadow. Stavolta, la nuova avventura di Ryu si rivela un prequel pur conservando tutte le peculiarità della saga, nella fattispecie un'azione platform con una rilevante componente hack'n'slash. Non poteva mancare il livello di difficoltà storico dei Ninja Gaiden che cerca di rubare al giocatore preziose diottrie nel venire a patti con lo schermo della console, ma la presenza di appena cinque livelli concede qualche speranza in più di arrivare in fondo. In Europa era noto col titolo di Shadow Warriors.
Kid Icarus: Of Myths and Monsters è l'episodio meno celebre della piccola serie in questione e principalmente per una ragione: pur essendo stato sviluppato interamente in Giappone, non è mai stato pubblicato ufficialmente su questo territorio. Una situazione alquanto singolare che del resto non trova particolari giustificazioni nella qualità del prodotto che soddisfa pienamente gli amanti della prima uscita. Non solo: il nuovo Kid Icarus presenta un gameplay più evoluto grazie allo scorrimento multidirezionale dello schermo pur mantenendo intatto lo spirito originale, ma anche la grafica fa una splendida figura in versione monocromatica, con un dettaglio forse superiore a quanto visto su NES.
La trama di Adventures of Star Saver è abbastanza demenziale ma di sicuro impatto: il poliziotto Tony viene rapito dagli alieni assieme alla sua sorellina per poi essere trasferiti nel pianeta di origine degli ostili, peccato per loro che lo scaltro ufficiale riesca a rubare un mech col quale rimediare al torto subito. Una scusa come un'altra per rifilarci uno sparatutto a scorrimento che, per fortuna, non pare avere importanti problemi di giocabilità, anzi, offre spunti interessanti grazie all'ibridazione coi platform.
Arriva anche su Game Boy Prophecy: the Viking Child, titolo nato sui computer europei per mano della Electronic Zoo e ritenuto evidentemente idoneo al pubblico console, considerando che era già stato convertito per Atari Lynx. La versione per la macchina Nintendo conferma le già note qualità di titolo senza pretese ma divertente, ispirato alle meccaniche di WonderBoy in Monster Land. Carina l'ambientazione derivata dalla mitologia nordica, rivisitata in chiave cute.
A dispetto delle carte che fanno bella mostra di sé sulla confezione del gioco, Square Deal non è una simulazione di poker, semmai un puzzle game ispirato alle regole dello stesso. Sullo schermo è presente una griglia di 5x5 con le carte che cadono dall'alto verso il basso come nel classico Tetris, ma stavolta la differenza sta nel doverle combinare facendo riferimento alle regole del poker, seppure molto alla buona. Com'è ovvio che sia, punti più difficili equivarranno a bonus migliori per una formula che sicuramente non deluderà chi apprezza il genere.
Nail'n Scale potrebbe essere grossomodo tradotto in italiano con un “inchioda e scala” e rende bene l'idea delle meccaniche del gioco. Noi controlliamo un piccolo ragazzo che ha l'unico scopo di trovare l'uscita dei livelli. Come fedele compagno di viaggio ha una bella pistola sparachiodi con la quale può tanto ammazzare i nemici quanto crearsi degli appoggi sui muri per appunto scalarli. Il gameplay è quindi essenziale ma appagante, l'unico problema di questo titolo Data East potrebbe essere individuato in una realizzazione tecnica un po' troppo elementare.
Abbiamo già incontrato molto recentemente in questa rubrica Jordan vs Bird, tutto focalizzato tra gli scontri uno contro uno fra i due campioni. La LJN con NBA 2 All-Star Challenge riprende la stessa idea ma infilandoci un roster di ben 27 giocatori reali con sommo gaudio degli appassionati di basket. Inoltre, vengono implementate nuove modalità di gioco, dalla sfida ai tiri liberi ad altre di tecnica, fino ad un gustoso torneo che è un tonico per la longevità.
Passiamo al Game Gear, che ci presenta come primo titolo Crystal Warriors della Sega. E' un titolo molto importante per gli affamati di JRPG, una categoria che sul portatile Sega non ha goduto di abbondanza di esemplari. Nonostante le difficoltà nel concentrare nella modesta capienza delle cartucce un gioco articolato, Crystal Warriors ottiene ottimi risultati grazie all'esperienza dei programmatori che propongono un emulo della serie Shining in forma più minuta, e se il reparto audiovisivo è per forza di cose poco scintillante, è sicuramente la strategia dei combattimenti a bilanciare alla grande.
Dopo un tour su una buona varietà di computer e console, OutRun Europa approda anche sul Game Gear. E' un episodio peculiare della saga soprattutto perché realizzato dalla US Gold e non dalla Sega, ma per fortuna con discreti risultati. Oltre alla ben nota corsa contro il tempo, questo capitolo ci mette anche alle prese con la polizia dalla quale fuggire, senza dimenticare che nei cinque stage proposti dovremo alternarci alla guida di diversi veicoli.
Le simulazioni di boxe non sono mai andate per la maggiore, ma alcuni titoli di grande successo come il mitico Punch-Out erano stati capaci di portare un po' di luce dei riflettori sul genere, così come avevano contribuito i coin-op di Final Blow o Heavyweight Champ. C'è un po' di spazio evidentemente anche per la Flying Edge che si aggiudica i diritti di sfruttamento dell'immagine di un campionissimo e porta nei negozi George Foreman's KO Boxing, caratterizzato sul Game Gear da un'inquadratura perfettamente laterale. Graficamente si difende abbastanza bene, ma il ritmo di gioco è troppo compassato per appassionare.
Fanalino di coda del mercato handheld rimane l'Atari Lynx, e purtroppo con un brutto distacco. La casa madre, tuttavia, supporta orgogliosamente la sua creaturina sulla quale in questo Maggio spuntano due titoli. Il primo è Hydra e deriva da un sontuoso coin-op che era già stato convertito con risultati non convincenti su altri formati. Il cuore del gioco è da racing, ma a bordo di un futuristico motoscafo. Oltre a dover andare forti, però, bisogna anche avere la meglio su un'organizzazione criminale che sta mettendo a punto un'arma di distruzione di massa. L'arcade non era un capolavoro se non dal punto di vista grafico, ma l'adattamento per Lynx è forse il più riuscito in assoluto come ulteriore prova del potenziale della piattaforma.
E' alquanto raro trovarsi di fronte ad un videogame pubblicato nel doppio formato Atari 7800/Lynx, ma Basketbrawl è uno di questi. Nonostante le meccaniche molto arcade non si tratta di una conversione, ed il tema è ovviamente cestistico. Pare che il sindaco di una città afflitta dalle lotte fra gang abbia indetto un torneo nella speranza di migliorare i rapporti tra questi gruppi che invece ne approfittano per darsele di santa ragione. Oltre a dover fare canestro, infatti, in Basketbrawl c'è da guardarsi le spalle considerando che le botte sono ammesse. Idea non malvagia, ma l'esecuzione purtroppo sì.
Salpiamo verso i lidi delle console ad 8-bit ed iniziamo col Master System per liquidarlo in un attimo: malauguratamente vanta un solo gioco nella sua libreria mensile, nella fattispecie Bonanza Bros. Era già arrivato su numerosi computer e console e viene spesso ricordato come uno dei coin-op Sega più riconoscibili. Bisogna impersonare due ladri che devono farla franca dopo i loro colpacci ed avere la meglio di una struttura action con contaminazioni puzzle. La versione originale era caratterizzata da uno stile azzeccato per la grafica, ma era tutt’altro che esosa in senso hardware, ragione per cui anche su Master System viene mantenuto lo stesso feeling.
Il NES è sulla via del tramonto in linea puramente teorica, considerando che ogni mese si naviga fra le cartucce, soprattutto in territorio americano. Siccome le conversioni sono sempre gradite, partiamo da quella di Joe & Mac: Caveman Ninja. In sala giochi aveva fatto furore pur senza particolari meriti ludici, ma il carisma di protagonisti e ambientazioni si era rivelato vincente. Sarebbe stato sufficiente riproporlo sul NES per archiviare un buon lavoro, ed invece i programmatori fanno gli straordinari per offrire anche una grafica notevole, impreziosita addirittura da parallasse multiplo, mantenendo anche le sensazioni originali pad alla mano.
Anche se la Disney è stata capace di sfornare da sé ottimi tie-in dei suoi titoli, non è un mistero che il pubblico abbia gradito enormemente le uscite curate da terze parti di lusso, fra le quali la Capcom aveva ottenuto splendide prestazioni con i Duck Tales. La stessa azienda giapponese si fa carico di regalare un videogioco ad un personaggio secondario del carnet Disney ma molto adatto allo scopo: Darkwing Duck (ARTICOLO SU RH). La paternità della programmazione si palesa nelle somiglianze col sempreverde Megaman, del quale Darkwing Duck sembra in parte una versione edulcorata e dal gameplay arricchito da alcune mosse extra. I fan del robottino si troveranno a casa e chi ama il cartone animato di riferimento si trova con un prodotto di qualità.
A cinque anni di distanza, arriva un seguito per Town & Country, peculiare titolo per NES in cui avere la meglio su livelli da affrontare a bordo di uno skate. In Thrilla's Surfari si fanno più o meno le stesse cose utilizzando anche una tavola da surf, ma alla base rimane una struttura da corsa ad ostacoli a scorrimento orizzontale con una copiosa dose di demenzialità. Finalmente un titolo che non sia il solito tie-in da parte della LJN che usa i propri talenti per ottenere un'estetica gradevole ed una valida giocabilità.
Dragon Fighter non è mai giunto in Europa ed è disponibile nelle forme NTSC americana e giapponese e non ha nemmeno nulla a che fare con l'omonimo videogioco pubblicato su Amiga dalla Idea. Si tratta di un curioso ibrido tra uno shoot'em up ed un classico platform che nasce dalla capacità del protagonista umano di tramutarsi in drago quando un apposito indicatore a video sarà pieno. Il drago ovviamente non salta ma vola e sputa fuoco e l'alternanza delle due forme dona un gradevole senso di varietà. Graficamente non è neanche male e rappresenta forse il titolo più significativo dell'oscuro publisher Towa Chiki.
Prosegue la tendenza a convertire sull'8-bit Nintendo titoli che vengono considerati solitamente poco adatti alle console in generale. Might & Magic era stata una delle colonne portanti sulle quali si edificò il gioco di ruolo occidentale, ma dal suo debutto erano passati oramai sei anni, tantissimi in un periodo di così rapida evoluzione. Quando il primo capitolo della saga arriva su NES, i PC attendono già il quarto, oggettivamente anni luce avanti, ma grazie al restyling grafico e dell'interfaccia questa audace conversione rimane appetibile per chi ama perdersi nell'esplorazione, ma un po' di obsolescenza è avvertibile.
Siamo stati spesso abituati a vederla lavorare sui computer, ma la System 3 si è sempre concessa delle escursioni su console ed il NES non fa eccezione. Tra l'altro, questo mese la compagnia di Londra si cimenta in un genere nel quale aveva regalato soddisfazioni agli utenti Commodore 64: il racing game. C'è da sfruttare la prestigiosa licenza Ferrari (il titolo è appunto Ferrari Grand Prix) e ne vien fuori un prodotto dal sapore arcade ma comunque ispirato agli svolgimenti reali dei GP. Buona sia la tecnica che la giocabilità, ma risalta in maniera particolare l'accompagnamento musicale, davvero carismatico per un titolo di questa tipologia.
La Codemasters è una compagnia europea ma perfettamente consapevole del maggiore peso del territorio americano, al punto da decidere di aprire una filiale statunitense chiamata Camerica per stabilirsi meglio oltreoceano. Anche i giochi programmati nel Vecchio Continente vengono spesso lanciati prima negli Stati Uniti, proprio come Firehawk, uno sparatutto multidirezionale nel quale controlliamo il solito elicottero armato fino ai denti. Abbastanza giocabile ma poco spettacolare tecnicamente, è riuscito persino a guadagnarsi un biglietto per i computer a 16-bit nel 1993.
Diversi decenni fa, uno splendido film chiamato Viaggio Allucinante narrava di un team di scienziati che veniva miniaturizzato per salvare la vita di un importante personaggio. In Mutant Virus della ASC Games, invece, il protagonista viene rimpicciolito per debellare un virus presumibilmente informatico all'interno di un supercomputer, ma l'idea è grossomodo identica e comunque stuzzicante. Il gameplay è abbastanza simile a quello di Robotron, con inquadratura dall'alto e pulizia di nemici dalle schermate fisse. Peccato che la qualità dell'azione, al pari della tecnica, fatichi ad emergere dall'anonimato.
Uno dei personaggi nintendiani più riconoscibili è Yoshi, il dinosauro cavalcato a più riprese da Mario e soci che negli anni si è guadagnato anche degli episodi dedicati. Il primo di tutti questi arriva proprio adesso e si chiama Mario & Yoshi in Europa, ma solo Yoshi in America e Giappone, incomprensibilmente, a dire il vero, dato che controlliamo il solo Mario. E' un puzzle game a blocchi cadenti in cui suggerire a Mario come ruotare dei piatti per accoppiare mostri identici per eliminarli. A sorpresa, la Nintendo becca un mezzo flop, dato che Mario & Yoshi viene considerato generalmente noioso a causa della troppa importanza della casualità. Interessante, però, scoprire come questo sia il titolo di debutto di un team oggi di grande successo: Game Freak, autori dei giochi dei Pokemon.
La Bandai è sempre stata la veterana dei tie-in da cartoni animati ed era capace di mettere le mani sia su quelli giapponesi che americani, e proprio di origine statunitense è questo Toxic Crusaders. Era un interessante progetto televisivo dedicati agli adolescenti che prevedeva tre supereroi in lotta contro promotori di inquinamento e radiazioni, con una formula visiva che non disdegnava scene violente e riferimenti sessuali, al punto da venire sconsigliato agli under 17. Il videogame è assai edulcorato e sembra piuttosto una versione alternativa delle Turtles solida tecnicamente, ma blanda nella giocabilità a causa principalmente di una ridottissima schiera di nemici.
Una celebre serie chiude il suo ciclo sul NES con Adventure Island 3, firmato come sempre Hudson Soft. Come molti già sapranno, si tratta di un perfetto jump'n'run tacciato a più riprese come un clone di Wonder Boy e bisogna riconoscere che vi sia quantomeno un'ispirazione palese. Il successo c'è stato comunque, ma questo terzo episodio è probabilmente il meno amato. Pochissime le introduzioni, il cambiamento maggiore si avverte nella lunghezza degli stage notevolmente ridotta e nella mappa in stile Super Mario 3. Molti fan non hanno neppure gradito particolarmente il nuovo look che nel disegno dei fondali cerca di emulare un minimo di profondità.
Negli anni Novanta non era piuttosto raro trovarsi di fronte a degli spin-off nel mondo dei videogiochi, ma la Capcom fece decisamente centro sul Game Boy quando regalò ad uno dei più riconoscibili cattivi di Ghost'n'Goblins un'avventura propria, della quale questo Gargoyle's Quest II è un prequel. Il protagonista è un red arreemer chiamato Firebrand che si muove in una struttura ludica caratterizzata da una fase platform abbastanza convenzionale ad un'altra con inquadratura dall'alto con elementi adventure. Un gran titolo sia nelle idee che nella loro implementazione.
Questo Maggio di fuoco esprime la sua ricchezza anche sulle console a 16-bit, a partire dal meno acclamato PC Engine. E' stata una piattaforma magica per gli shoot'em up, lo sappiamo, e molte compagnie hanno dato saggi di game design nella categoria. Già da qualche tempo la Konami portava avanti su diversi sistemi, arcade in primis, la saga di Twinbee che faceva dello stile una ragione d'esistere, raggiungendo una direzione “cute” apprezzatissima, anche perché il resto era alquanto divertente. Questo mese arriva la conversione di Detana!! Twinbee/Bells & Whistles (ARTICOLO SU RH), il quinto episodio, che oltre ad esser molto ben fatto si fa gradire anche dai giocatori meno acrobatici in virtù di una difficoltà per una volta non disumana.
Anche le riviste europee cominciano a trattare Salamander in occasione della sua pubblicazione negli Stati Uniti con qualche mese di ritardo rispetto al Giappone. Per chi non lo conoscesse, è uno spin-off del più noto Gradius e la sua fama è stata aiutata dalle numerose conversioni per home computer. Il PC Engine non poteva che dare un'ulteriore prova di forza nel genere presentando un lavoro più che soddisfacente, persino migliorando il reparto audio dell'arcade che già era un gioiellino. Rimangono inoltre le peculiarità del coin-op come la possibilità di gioco in doppio e l'alternanza di livelli a scorrimento orizzontale o verticale.
La tripletta shooter Konami si chiude con Parodius che parte anch'esso dalla gloria di Gradius per strappare due risate al giocatore. Lo stesso titolo lascia intuire la vena parodica che, a ben vedere, è più che altro di demenzialità generica. Sebbene non venga reputato tra i migliori sparatutto in assoluto, è amatissimo da molti proprio per i suoi contenuti atipici e ottimamente architettati. Il tutto è un vero e proprio festival di mostri assurdi e tenerosi che si susseguono in dignitose meccaniche arcade, ma c'è il rammarico di due stage tagliati dall'originale per motivi di spazio e sostituiti da un livello inedito e meno esoso in termini di kilobytes.
Chiudiamo con gli shoot'em up... ma solo per cartuccia dato che ce ne sono un paio per CD. Il primo è Macross 2036 che si giova del supporto ottico per offrire al meglio le appassionanti atmosfere fantascientifiche del cartone del 1982. La struttura è da horizontal shooter classico, ma la parte più gustosa per i fan è quella delle cut-scenes tra uno stage e l'altro e i dialoghi ad azione in corso. Inoltre, è valida l'idea di proporre un doppio scontro coi boss: dopo averlo abbattuto normalmente, infatti, la nostra nave si tramuterà in mech, il fuoco diventerà automatico anche nel puntamento e ne gode la varietà.
Se finora ci siamo gustati un elenco di uscite molto interessanti fra gli shooter, il colpaccio deve ancora arrivare e viene forse dal team meno famoso del gruppo, la Red Company, comunque una veterana del PC Engine che sforna quello che secondo alcuni è il suo capolavoro per la console: Gate of Thunder (ARTICOLO SU RH). E' un programma che racchiude il meglio che il genere ha da offrire, con una struttura mutuata in larga parte da Thunder Force III ed un reparto audiovisivo coi fiocchi che assiste alla perfezione la velocità delle dinamiche e che allieta il giocatore con una soundtrack impeccabile che si avvale a dovere del disco ottico. Era e rimane un must-have per i possessori dell'unita CD-ROM.
Cambiamo finalmente genere e dedichiamoci a Cosmic Fantasy 2, uno dei rari giochi di ruolo in lingua inglese per la piattaforma NEC, che anche qui richiede la presenza dell'add-on per leggere CD. Arriva dagli stessi autori della saga di Valis, la Telenet, e si nota una certa maestria in fatto di stile, soprattutto nelle cut-scenes, ma anche in quanto a meriti strettamente ludici si difende egregiamente, al punto da conquistare persino la palma di miglior gioco di ruolo del 1992 da parte da un'importante rivista americana. E' noto anche per l'erotismo soft di alcune scenette con la tipica censura nipponica con dettagli scabrosi pixellizzati, frangenti che sono inspiegabilmente sfuggiti alla consueta pulizia dei contenuti in occasioni delle pubblicazioni negli Stati Uniti.
Chiudiamo una più che soddisfacente rassegna sul PC Engine con una conversione inattesa come quella di Loom. L'originale è una delle avventure grafiche in assoluto più originali della Lucasarts, tutta giocata sui poteri magici di un bastone del protagonista che con combinazioni musicali poteva sortire effetti sorprendenti. Il passaggio all'interfaccia interamente gestita via gamepad è al solito un po' fastidioso, anche perché l'edizione per computer accettava un comodo input da tastiera per il componimento delle melodie, ma almeno c'è una grafica addirittura superiore all'originale edizione per PC che si limitava alle specifiche dello standard EGA. Peccato che lo scrolling resti scattoso.
Nella console war c'è solo un modo per non farsi sopraffare dalla concorrenza: quello di controbattere colpo su colpo ed in un mese così frizzante di certo il Megadrive non poteva sfigurare, anche considerando la sua quantomeno temporale supremazia commerciale nei confronti del Super Nintendo. Cominciamo dalla conversione di un coin-op che non strizza neanche per sbaglio l'occhio alla spettacolarità pur godendosi una certa stima da parte dei videogiocatori: Super Off-Road della Leland. La ragione è presto detta: è un concentrato di giocabilità. Il gameplay si sviluppa in una schermata fissa nella quale quattro fuoristrada cercano di completare per primi i giri a disposizione venendo a patti con il terreno accidentato. Adattamento facile facile per il 16-bit Sega da parte della Ballistic, con l'unica pecca del mancato supporto al multiplayer in quattro.
La corsia preferenziale Amiga-Megadrive è ben nota e trova la sua motivazione nell'identica tipologia di CPU montata che velocizza immensamente ogni lavoro di trasposizione del codice. Una giovanissima Core Design, allora, sceglie di regalare anche all'hardware Sega un suo titolo davvero avveniristico intitolato Corporation. Considerando che la sua pubblicazione per computer risale al 1990 è facile rimanere impressionati dalla sua impostazione da first-person shooter, che in realtà prelude a qualcosa di più profondo ed articolato del mero sparare, con tanto di pratiche stealth e di hacking. Fin troppo complesso per il tempo e purtroppo i controlli sono oggetto di numerose critiche.
Affianco ai consueti shooter tradizionali a scorrimento orizzontale o verticale si è sviluppato in maniera minore il filone multidirezionale, che a sua volta si è munito di particolari varianti “a piedi”, nelle quali un soldato o chi per lui avanzava nei livelli per spazzare via il possibile. Di questo tipo è Twinkle Tale, pubblicato dalla Toyo e programmato dai poco famosi ragazzi dello Wonder Amusement Studio, ovviamente giapponese. Il tema è fiabesco e il nostro avatar è una strega che si vede costretta a liberare l'isola che la fa da dimora da mostriciattoli di ogni genere. Pur non risaltando per prodigi tecnici di sorta, Twinkle Tale riesce sia a creare un'inebriante e artisticamente ispirata atmosfera fantasy con grafica e musica sia a proporre convincenti argomenti da buon sparatutto. Un prodotto certamente da riscoprire.
Splatterhouse 2 è il seguito di un coin-op di straordinario successo che aveva avuto il merito di coniugare buone meccaniche action ad un'atmosfera horror mutuata dal top dei classici di categoria. Questo secondo capitolo rincara la dose in fatto di contenuti splatter e violenza e incorpora ispirazioni da ulteriori pellicole, ma viene spesso tacciato di eccessiva somiglianza all'originale. Novità, in effetti, non ce ne sono e la cosa provoca un più incisivo senso di ripetitività in quanto ci si trova costretti a fare più direttamente i conti con un gameplay molto essenziale. Si tratta di problemi comunque secondari per chi è in cerca semplicemente di un goliardico tour nell'orrore di maniera.
Immortali nella storia del videoludo ma estremamente precari nel gioco stesso: sono i Lemmings. Il superclassico dei DMA Design arrivò nel 1991 sui computer europei e da lì ci volle ben poco per rendersi conto di avere a che fare con un fenomeno. La formula era semplice: una folta schiera di animaletti necessitava di raggiungere l'uscita dei livelli ed al giocatore veniva richiesto di assegnare compiti specifici ad alcuni di essi per consentirne l'arrivo. Più facile a dirsi che a farsi, e l'uso intensivo della materia grigia risultava imprescindibile quanto appagante. Il tutto viene riproposto in forma scintillante anche sul Megadrive, la cui versione soffre del solito ma inevitabile cruccio di un'interfaccia meno snella in confronto alle potenzialità del mouse.
Non c'è nemmeno da discutere: il logo più prestigioso nel mondo dei giochi di ruolo è quello di Dungeon & Dragons e nel campo dei videogames ha trovato terreno fertile sin dai tempi dell'Intellivision. Il publisher Electronic Arts si appropria temporaneamente dei diritti e commissiona al team Westwood, che già aveva fatto pratica con Eye of the Beholder, un titolo impreziosito dalla gustosa licenza. Dungeons & Dragons: Warriors of the Eternal Sun (ARTICOLO SU RH) richiama molto i vecchi Ultima come impostazione grafica, con inquadratura dall'alto per le zone all'aperto e in prima persona per i dungeon, ma è molto più intuitivo da giocare per venire incontro al pubblico console, senza essere per questo poco profondo.
Il tennis è perfetto per essere simulato, dato che non richiede intelligenze artificiali enormemente sviluppate per essere credibile e perché la sua impostazione è perfettamente in spirito arcade. Grandslam: The Tennis Tournament è pubblicato dalla Telenet Japan e prova ad imporsi con la possibilità di scegliere tra tennisti maschili o femminili ed offrendo tre diversi tipi di superfici, ma anche la giocabilità si difende bene, grazie alla mancanza di gravi pecche. Nulla per cui strapparsi i capelli, ma è giusto rendere merito alle digitalizzazioni vocali dello speaker del campo, peccato contrastino con un rumore del pubblico assai meno convincente.
Forse per un carattere molto sobrio rispetto ad altre stelle della NBA, David Robinson è noto soprattutto ai maggiori appassionati di pallacanestro a dispetto di una carriera che farebbe invidia a nomi ben più altisonanti. I suoi successi nei San Antonio Spurs suggeriscono alla Sega di dedicargli un videogame sviluppato internamente dalla divisione ACME. Balza subito all'occhio l'insolita prospettiva isometrica che sarebbe un bel volano per la spettacolarità che, invece, non decolla. Eppure David Robinson's Supreme Court è senza particolari difetti, ma probabilmente penalizzato da un profilo più indirizzato verso la credibilità della simulazione, con match lunghi che tendono ad annoiare.
Una delle critiche più comuni rivolte alla softeca Megadrive riguarda la sua non particolare varietà in tema di JRPG. In effetti, ben pochi esponenti vengono citati tra i grandi esempi del genere e tra questi non figura Star Odyssey, in Giappone Blue Almanac. E' una piccola ingiustizia dato che il lavoro del team Hot-B merita, ma forse soffre un'eccessiva somiglianza col ben più famoso Phantasy Star. Tecnicamente è molto sobrio e ben lontano dal valorizzare la console, ma la sceneggiatura offre una fantascienza dallo spirito molto epico che è stato oggetto di elogi.
I proprietari di Mega CD (solo giapponese, per il momento) accolgono scodinzolando un seguito di una delle maggiori proprietà intellettuali della Sega: After Burner III. I presupposti per un nuovo classico sembrano esserci tutti, dal talento della casa madre al surplus di potenza del celebre add-on ma pad alla mano le sensazioni non sono del tutto confortanti. Questo terzo capitolo della serie viene spesso considerato il più deludente, con un gameplay confusionario ed una grafica che, seppur buona, non dà la minima sensazione del cambio di passo, con alcuni elementi che perdono il confronto persino col secondo After Burner per Megadrive semplice. Rimangono un'eccellente colonna sonora ed alcune cut-scene gradevoli, ma tanti fan ci sono rimasti male.
C'è un secondo titolo della Hot-B questo mese: Empire of Steel. Alla base del gioco non c'è altro che uno sparatutto a scorrimento orizzontale dei più classici, ma la differenza la fa l'atmosfera che attinge a piene mani dalla corrente steampunk, per cui aspettiamoci pure dei favolosi paradossi tecno-storici. Al giocatore viene concessa la possibilità di scegliere tra due mezzi, un biplano ed un dirigibile che si differenziano per manovrabilità e resistenza ai colpi. I puristi del genere shooter possono probabilmente lamentare la mancanza di passaggi eccezionali, ma è un titolo che punta ad attrarre per la sua forma.
Chiudiamo la nostra rassegna sul Megadrive decisamente con il botto perché è il turno di uno di quei giochi che hanno acquisito lo status di riferimento di una categoria anche oltre i confini della generazione di appartenenza: Thunder Force IV (ARTICOLO SU RH). Le ragioni di un tale risultato si trovano praticamente in tutto, da una grafica che seppur non coloratissima è altamente spettacolare a musiche irresistibili, passando per un gameplay pensato per aggradare appieno gli intenditori e che presenta una rilevante variazione nella possibilità di escursione verticale. Risalta, dal punto di vista tecnico, l'ottimizzazione per il territorio PAL della cartuccia che non soffre dei noti rallentamenti, mentre è bizzarro il cambio del titolo nella pubblicazione americana in Lightening Force, a testimoniare la scarsa popolarità statunitense del brand della Technosoft.
Anche il Super Nintendo questo mese corre veloce... in tutti i sensi considerando che partiamo da Top Gear. Si tratta di un racing game targato Gremlin, una software house che in Europa era il punto di riferimento per il genere grazie al prestigioso supporto del team Magnetic Fields, il quale, tuttavia, non collabora per questo titolo e la cosa si avverte soprattutto sotto il profilo tecnico, con una fluidità non impeccabile che non rende giustizia alla console. La colonna sonora, però, è comunque firmata da Barry Leitch ed il gameplay è gradevole e longevo grazie alla varietà di auto fra le quali scegliere e alla presenza di ben 32 tracciati sui quali competere.
Dopo un pazzesco successo al cinema e in TV, le Turtles sono state capaci di sfondare persino nei videogames con tre giochi dalle vendite ragguardevoli. Anche in sala giochi non c'è stato di che lamentarsi grazie a dei picchiaduro a scorrimento realizzati dalla Konami che questo mese porta sul Super Nintendo TMNT: Turtles in Time (ARTICOLO SU RH). Di nuovo c'è che Shredder ha in qualche modo messo le sue manacce su di un marchingegno temporale che porterà le tartarughe a spasso per diverse epoche. Oltre che una signora conversione, l'edizione casalinga di Turtles in Time offre addirittura contenuti speciali come livelli extra che aumentano la longevità pur non risultando comunque troppo lungo. Viene spesso considerato il miglior gioco dedicato alle Turtles ed è stato anche oggetto di un remake da parte di Ubisoft.
Di relazioni particolari tra Nintendo e Atari non ce ne sono mai state, men che meno con i computer, eppure adesso parliamo di Faceball 2000, che era proprio partito dall'Atari ST nel 1987. Era un titolo sorprendente ed orgogliosamente custodito dai possessori della macchina in quanto mai approdato su Amiga, ma la Bullet-Proof Software ne intuisce il potenziale su console e lo converte per il Super Nintendo dopo un'edizione portatile per Game Boy. Il gameplay è quello di un FPS embrionale, col nostro avatar che si aggira in un labirinto inquadrato in prospettiva e popolato di nemici geometrici. Spettacolare alla sua prima uscita, meno a cinque anni di distanza, ma sul Super Nintendo la grafica viene quantomeno rinfrescata e il divertimento può contare su un'opzione per lo split screen a due giocatori.
I giochi di golf sono stati da subito abbastanza divertenti, ma difettavano di spettacolarità inizialmente e costringevano spesso il giocatore ad attendere il disegno del tracciato ad ogni nuova battuta. Difetti comprensibili, considerando che i campi richiedevano un dettaglio considerevole e che l'hardware non godeva di accelerazione specifica. Il Super Nintendo, però, col Mode 7 ha una marcia in più e la Electronic Arts cerca di capire cosa può venirne fuori convertendo il suo PGA Tour Golf che su computer gode di ottima popolarità. I risultati sono discreti, la grafica è buona e la telecamera si concede zoomate lungo tutta la buca, ma il framerate è visibilmente zoppicante. Ciononostante, una bella simulazione.
The Rocketeer non è tra i film della Disney più celebri e forse è anche stato sottovalutato dal pubblico dato che la qualità non gli manca, ma la compagnia statunitense ne propone comunque un tie-in già conosciuto sul PC che rende più o meno alla stessa maniera sulla macchina Nintendo. E' un multievento programmato dalla Novalogic che passa da una sorta di racing game per aerei a sezioni da sparatutto orizzontale senza disdegnare fasi tipiche da action 2D. Buona la forma, ma il divertimento soffre di pochi alti e molti bassi.
Mancava solo il Super Nintendo, ma adesso Pit-Fighter può completare la sua missione di sbarcare su ogni formato possibile. Chi non lo conosce deve sapere che si tratta di un discreto successo da sala giochi firmato Atari e focalizzato su una grafica digitalizzata quasi incredibile per l'epoca con, purtroppo, una giocabilità parecchio spigolosa. I mesi di ritardo rispetto alle altre versioni consentono a Pit-Fighter di presentarsi al meglio da un punto di vista estetico, ma la sua fama era ormai nota e nella maniera più triste, al punto da ritrovarsi in un mercato totalmente assorbito dall'attesa della conversione di Street Fighter 2.
Una scimmia, palle di sport vari e, per non farci mancare nulla, musica jazz. Dare un senso alla contemporaneità di questi tre elementi è arduo ma la Natsume si fa bandiera della fantasiosa demenzialità nipponica e porta negli scaffali dei negozi Spanky's Quest, già uscito nel 1991 in Giappone. Noi controlliamo un primate che viene sfidato da una strega e rinchiuso in torri piene di mostri di cui sbarazzarsi. L'arma è una bolla rimbalzante che ad ogni palleggio diventa più grande e cambia il proprio contenuto: quando la faremo esplodere rilascerà palle da baseball, calcio o basket, ognuna capace di attacchi specifici da sfruttare contro i nemici opportuni, con una soundtrack che non disdegna giri di bassi e fiati per alleggerire la frustrazione. Uno di quei giochi che rimangono impressi... e pare sia anche giocabile!
Nonostante il Super Nintendo sia nota come la console regina dei JRPG, questo non è un mese dei migliori dato che il solo Arcana rappresenta il genere. Programmato dai ragazzi della HAL Laboratory, prende spunto dal filone dei giochi di ruolo in prima persona, con ampi dungeon da esplorare e tanto di avanzamento a caselle. La maggiore peculiarità del titolo, però, è la caratterizzazione dei nemici che sono tutti visualizzati sotto forma di carte e non casualmente l'originale titolo nipponico è Card Master. Anche se si tratta di una caratteristica molto insolita, costa cara alla spettacolarità, con nemici poco animati che stonano un po' su una piattaforma all'ultimo grido. Un gioco di ruolo che non ha per niente lasciato il segno.
Ogni generazione è caratterizzata da una moda e l'inizio degli anni Novanta era tartassato dalla fame di picchiaduro scatenata da alcuni successi Capcom sia tra quelli ad incontri sia a scorrimento. A questi ultimi si accoda Rushing Beat della Jaleco, molto ma molto ispirato agli stilemi di Final Fight. Bisogna concedergli di avere previsto quel che è indispensabile per un picchiaduro presentabile e vanta persino piccoli utilizzi di Mode 7. Ciononostante il fianco alle critiche lo mostra eccome, a partire da uno stile parecchio anonimo che fa il paio con qualche rallentamento di troppo, specialmente nel gioco in due. Inoltre, è caratterizzato da una certa facilità della sfida che delude non poco i cultori della categoria che si erano formati nelle sale giochi.
Pur venendo raramente ricordato fra i grandi coder del videoludo, Garry Kitchen è stato uno dei protagonisti degli anni Ottanta e cominciò la sua carriera in Atari, dalla quale divorziò assieme ad altri guru come David Crane per spostarsi prima alla Activision e poi alla Absolute, con la quale pubblica i suoi giochi di carri armati che dopo un ottimo su NES fanno il salto di generazione con Super Battletank. Gli ingredienti sono i medesimi, ovvero atmosfera bellica verosimile, programmazione capace di restituire una buona fluidità e un gameplay appagante ma non troppo complesso. Missione compiuta a dovere anche sul Super Nintendo, dove fanno bella mostra gli scenari mediorientali del Golfo Persico.
Complessivamente, gli utilizzi del Mode 7 sono stati fino a questo Maggio 1992 piuttosto prevedibili e, per quanto impressionanti, perdevano progressivamente la capacità di sorprendere. A ribaltare il tavolo ci pensa la Konami con Axelay, formalmente uno sparatutto ma pieno di intuizioni geniali. Se l'alternanza di stage ad impostazione differente è “solo” una manna per la varietà, la realizzazione grafica è un geniale mix di creatività e coding estremo, non un caso dato che parte del team rappresenterà in futuro la Treasure, come il composer Souji Taro. L'intuizione del designer Hideo Ueda è di combinare lo scorrimento parallattico con il Mode 7 sintetizzando un surrogato di tridimensionalità alquanto immersivo, amplificato da abilità stilistiche notevoli, che permette un movimento in profondità dal sapore di next generation. Axelay entra di prepotenza nell'elite dei migliori shooter per Super Nintendo, ma ha il non trascurabile difetto di essere un gioco parecchio breve.
Finché si è trattato di picchiarsi in scenari accattivanti i videogiocatori sono stati sempre accondiscendenti e felici di passare da ambienti metropolitani a medievali, da energumeni pieni di mosse speciali a tizi persino capaci di allungarsi o lanciare palle di fuoco. Quando si è trattato di un paio di persone relativamente normali sul ring, però, solo qualche titolo di wrestling è stato capace di emergere, ma Astral Bout della King Records prova a dire la sua. L'idea è quella di mettere a confronto lottatori con stili diversi come accade in tornei oggi popolari, ma l'impressione è che i tempi, e soprattutto le cartucce, non fossero maturi. Astral Bout ha poche mosse, poche animazioni ed una grafica troppo semplice per risultare accattivante ed è stato largamente ignorato dal popolo occidentale, ma in Giappone è stato capace di tenersi a galla e guadagnarsi una miniserie di tre uscite.
Una corsia preferenziale tra computer e console è molto più evidente col Megadrive per le sue parentele hardware con Amiga ed ST, ma anche in direzione Super Nintendo qualcosa si è mosso. Spindizzy era nato nel 1986 sulle macchine ad 8-bit per poi ricevere un seguito intitolato Spindizzy World su quelle a 16 nel 1990 sempre per mano della Electric Dreams, sviluppatore originale. Per l'entrata nel mondo console il testimone passa alla ASCII Games che ripropone con ottima fedeltà questa simpatica variante di Marble Madness: il giocatore stavolta controlla una trottola bisognosa di essere guidata all'uscita dei livelli senza incappare in pericoli letali. Buona la giocabilità e la fantasia negli stage, ma è inevitabile che tecnicamente il gioco risulti obsoleti, un problema fortunatamente non compromettente per la categoria d'appartenenza.
Nello stesso anno di uscita del coin-op, la Atlus converte sull'hardware nintendiano il suo BlaZeon. Si aggrega alla nutritissima squadra di sparatutto di questo mese e ci propone i controlli di un devastante cyborg da guerra volante in livelli caratterizzati da scrolling orizzontale. Purtroppo, la trasposizione dalla sala giochi paga il prezzo della differente tecnologia e se da subito spicca l'abbassamento della risoluzione video, meno evidenti sono i tagli a presentazione e finale, la rimozione di alcuni nemici e soprattutto quella della possibilità di giocare in due, mancanze che non possono che peggiorare la condizione di un prodotto che già nella sua forma originale veniva considerato una seconda scelta.
Nel post-Street Fighter II qualche produttore poco scrupoloso ha fatto i salti mortali per realizzare qualcosa sulla stessa linea da portare in fretta e furia in sala per sfruttare la moda del momento. La Sammy ci prova con Battle Blaze, picchiaduro ad incontri a sfondo fantasy che in men che non si dica guadagna una conversione per Super Nintendo. L'adattamento è abbastanza fedele ma è il programma di partenza ad essere quantomeno mediocre. Basti pensare che esiste un unico tasto per gli attacchi con relativa ristrettissima scelta di mosse, per non parlare dei soli sei personaggi selezionabili. L'unica cosa degna di lode è la reattività dei comandi, per il resto sembra quasi un titolo lanciato prematuramente sul mercato.
Pochissimi giochi possono considerarsi bandiere di una generazione ed esserlo risulta ancora più difficile quando dietro non c'è una grande spinta commerciale, eppure Another World di Eric Chahi si è imposto come pietra miliare della storia dei videogiochi e per molteplici ragioni: una grafica costituita da poligoni applicati a fondali 2D, animazioni fluide e credibilissime, un'atmosfera impareggiabile ed una narrazione estremamente efficace aiutata da numerose cut-scenes. Inoltre, è stato un gioco di piattaforme capace di inaugurare un filone inedito ribattezzato dei “cinematic platform”. Nella conversione per Super Nintendo c'è da fare i conti col copyright che costringe il publisher Interplay a ripiegare sulla denominazione di Out of This World, ma i contenuti rimangono tutti o quasi, dato che la solita Nintendo ha imposto la rimozione di qualsiasi scena di sangue o nudità, ma debutta, invece, un accenno di colonna sonora voluta dalla Interplay che secondo l'autore originale Eric Chahi disturba e peggiora il coinvolgimento.
Salutiamo il Super Nintendo con una sua perla storica chiamata Legend of Zelda: A Link to the Past che riceve la sua prima edizione in lingua inglese, pubblicata in realtà a fine Aprile ma solo a partire da questo mese trattata dalla stampa specializzata. E' una serie oggi nota anche ai sassi, ma nei primi anni Novanta la sua popolarità non era tanto impressionante, del resto il primo Zelda era fin troppo avveniristico per il 1986 ed il secondo non viene solitamente ritenuto un grande gioco. A Link to the Past, però, è la definitiva consacrazione della saga che ritorna all'inquadratura dall'alto delle origini ma regala ad Hyrule e terre varie un disegno molto più appagante, delle musiche eccellenti ed una maggiore interattività generale più la possibilità di vivere anche una dimensione oscura del mondo, ma è anche nei meriti ludici che la Nintendo trionfa architettando perfettamente i dungeon da conquistare. Alcuni ritengono A Link to the Past il miglior Zelda di sempre, per altri si tratta del miglior titolo della softeca del Super Nintendo, di sicuro un capolavoro, di quelli veri.
Piccolo focus sul Neo Geo in conclusione. Non è un mistero che una delle aziende alle quali la SNK si ispirava maggiormente era la Capcom, con particolare attenzione per i suoi successi tra i picchiaduro di ogni risma. Con un dispiego di risorse di portata stupefacente, i produttori del Neo Geo riescono a pubblicare titoli di queste categorie con una frequenza fittissima ed al gruppone appartiene anche Mutation Nation. Il contesto, stavolta, è quello di un futuro allo sbando in cui gli umani soffrono la piaga delle mutazioni per una trama che pur non avendo nulla di originale permette ai grafici di sbizzarrirsi nell'ideazione di nemici dalle fattezze immonde. Per il resto è un videogame giocabile e gradevole alla vista, ma senza note di eccellenza capaci di insidiare le proposte Capcom.
Forse la seconda categoria più fornita sull'hardware SNK era quella degli sparatutto, e di sicuro al momento del lancio Last Resort faceva una gran bella figura. Il motivo principale risiede ovviamente nel reparto visivo che parte fortissimo con un livello stracolmo di sprites ed effetti speciali, con un fondale meraviglioso e abbondantemente animato. Meno esaltante nelle fasi avanzate, anche a causa di un gameplay prevedibile in quanto profondamente tratto da R-Type che viene anche danneggiato da una difficoltà esagerata.
In via sperimentale, questo mese e se la cosa riceverà un feedback positivo anche nei prossimi, nella Macchina del Tempo debutta un focus, un approfondimento condotto con l'aiuto dello staff di RH. Vista l'abbondanza di sparatutto, l'intervistato non poteva che essere AlexTheLioNet! Ci scusiamo per alcuni disguidi sul fronte audio che hanno creato qualche disturbo in fase di registrazione, ma possiamo migliorare. Sono ben accetti, anzi richiesti, consigli di ogni genere ed indicazioni per poter rendere un servizio migliore. O per non renderlo proprio, qualora riteniate sia la cosa migliore. Buon... approfondimento e alla prossima puntata!
Gianluca "musehead" Santilio
In relazione alle mie preferenze, tra i titoli citati ho un ricordo molto vivido di Project-X e Jim Power in Mutant Planet, visti entrambi sul 16 bit Commodore di un amico.
Per quanto riguarda il titolo firmato Team17 devo dire che l'ho sempre ritenuto abbastanza sopravvalutato, in quanto sparatutto dove si alternano notevoli pregi (ottima title music, eccellente pulizia grafica, fondali di grande impatto visivo, FX campionati di alta qualità) a non trascurabili difetti (assenza di parallasse, leggero sfarfallio degli sprite, nessuna in-game music e calibrazione discutibile della difficoltà).
Relativamente a Jim Power in Mutant Planet, non ho mai capito in che senso possa essere considerato "controverso"... secondo me è semplicemente un ottimo run 'n' gun / shoot 'em up che vanta una delle migliori realizzazioni tecniche mai viste su Amiga (nonchè, con le debite proporzioni, anche su Atari ST, dove, tenuto conto delle rilevanti difficoltà legate all'assenza di custom chips, i programmatori hanno svolto un lavoro assolutamente egregio). Semplicemente superba (su Amiga) la colonna sonora del mitico Chris Huelsbeck.
Complimenti vivissimi per la ricchezza e la profondità di questa curatissima rublica!
In tutta franchezza, non sono un profondo conoscitore di Jim Power pur avendolo giocato superficialmente al tempo che fu. Ho trovato nella critica e sui commenti dei giocatori dei pareri non positivi, un po' come accaduto per Project-X, motivati credo dalla struttura molto rigida e punitiva del gioco, nonché di un paragone a mio avviso poco opportuno con Turrican. Io però non ho mai digerito la palette!
E' un mese comunque davvero straordinario. Fire & Ice è un altro titano che non mi ha fatto impazzire, ma ne riconosco i meriti, ma non sottovaluterei il peso delle avventure, anche se quelle presenti questo mese non sono tra quelle invecchiate meglio.
Piccolo dramma per il gioco di Indiana Jones: è possibile giocarlo solo se muniti del tipico disco dei codici Lucas, dato che pare non esistano versioni crackate. Illegali, sì, ma dato che gli originali floppy sono fragilissimi e che lo si giocherebbe solo per curiosità e cultura è una piccola ingiustizia, sopratutto per un titolo così peculiare.
Ho giocato abbastanza spesso Jim Power in trasferta da un "amigo"... così come in seguito l'ho "rifrescato" più volte (sempre a scrocco) nella sua "conversione" per Super Nintendo. In effetti il gameplay risulta un tantino rigido e il livello di difficoltà decisamente arcigno... e tuttavia lo considero il classico gioco tosto che impegna e innervosisce... ma non manca di dare anche diverse soddisfazioni.
La tavolozza è senz'altro molto sgargiante... ma la cosa non mi ha mai infastidito. Jim Power mi dava l'idea di un "coinoppone" casalingo un po' "barocco" tutto azione "esagerata" e colori accesi... o anche di un titolo dalle molte tonalità brucia-retina sullo stile di certi giochi realizzati per PC Engine Super CD ROM...
Titolo strano, è vero che ha una grafica spettacolare, ma paradossalmente ho sempre trovato che sia talmente "piena e satura" da toglierli personalità.
Non ha uno stile suo, non induce meraviglia, sembra più uno spettacolo pirotecnico, senza mordente.
Faccio l'esempio di Turrican 2: anch'esso con una grafica molto bella (con la palette dello sfondo finalmente sfumata, dopo la monocromia di Turrican 1), ma il gioco trasudava personalità da tutti i pori, ovvero entrava nell'olimpo dalla porta di ingresso.
Ecco, Jim Power, non ce la fa... con tutto che è tecnicamente più sontuoso...
Sono assolutamente d'accordo sull'inopportunità del paragone con Turrican 2... si tratta di due titoli molto diversi per approccio, dinamiche ed esiti qualitativi.
Secondo me Turrican 2 è superiore a JP e già nel 92-93 preferivo la mia dimessa (ma ugualmente giocabile) versione Atari ST di T2 all'esteticamente sontuoso Jim Power su Amiga.
In ogni modo, ricordo che nei primi '90 un run 'n' gun con l'impatto visivo del titolo Loriciel non lasciava affatto indifferenti, anzi... poi che il clou di Jim Power risieda essenzialmente nel comparto tecnico è indiscutibile, così com'è innegabile che Turrican 2 vada ben oltre...
A conti fatti, però, mi dispiacque comunque molto per il fallimento di Loriciel... e la conseguente cancellazione della versione Mega Drive di Jim Power, ovvero JP: The Arcade Game.
1) sono d'accordo con te su Project-X - è un bel demo (bello, non eccezionale) ma latita tanto su altri fattori, carisma e giocabilità in primis.
2) sono d'accordo anche su F&I e JP. JP l'ho amato moltissimo e finito diverse volte - un po' perchè non era difficilissimo (e quindi non troppo frustrante), un po' perchè gli arcade che tu dici essere "basati sul trial on error" sono tra i miei giochi preferiti.
3) un piccolo appunto: Pool of Radiance non è il seguito di Secret of Silver Blades, ma un suo prequel (uscito attorno all'89 - c'è un altro gioco (bruttino) in mezzo). Quello che credo intendi tu è Pools of Darkness, che in effetti è il seguito di SoSB ed è uscito nel 92. Il footage è preso da Pool of Radiance.
Complimenti per la passione e la mole di lavoro che metti in questi ottimi filmati! Dai alla gente come me la possibilità di rivivere un periodo (a suo modo) d'oro.
Ho fatto confusione coi nomi e, non conoscendo per esperienza diretta i giochi, ho confuso anche i video. Correggo subito!
Questa puntata è stata una fatica micidiale, davvero i giochi non finivano mai. Ora me ne sto in panciolle a leggervi per un po'
Il fatto che a maggio 1992 sia uscito veramente di tutto e che questo "di tutto" sia spesso di alto profilo qualitativo, sembra un po' una di quelle curiose congiunzioni astrali che ogni tanto si verificano. Mi ricorda di un'altra congiunzione astrale, ovvero quando comprai un Mega Console del 1994 e poi, nei mesi successivi, acquistai gran parte dei titoli recensiti per la coincidenza di volti alti e generi di mio gradimento... alla fine ho riconsiderato quel particolare MC come una specie di menù videoludico personalizzato...
Ottimi questi servizi, anche e forse soprattutto per scoprire vecchie perle lasciate per strada all'epoca, adesso sono solo indeciso tra Thunder Force 3 e 4, credo opterò per quest'ultimo.
Rinnovo anch'io i miei complimenti per il lavoro che viene svolto sempre con la stessa dedizione e passione
Loom l'ho giocato in versione PC e lo reputo un esperimento interessantissimo. Non sarà la migliore avventura Lucas però è un chiaro esempio di quanto fossero ispirati e prodighi di idee gli sviluppatori della casa americana all'epoca.
Mitico Grand Slam Tennis! Prendevo sempre Edgar (che sarebbe Edberg ) perchè speravo di farci un bel serve and volley sull'erba quando in realtà il gioco non permetteva agevoli voleè. Comunque, ci ho passato un infinità di pomeriggi su questo gioco, un'estate di tanti anni fa, in multiplayer con mio fratello, mio cugino e chiunque passasse da quelle parti! La voce digitalizzata è un cult
Parodius l'ho provato in versione "sexy" su PSX qualche anno dopo: versione in cui la demenzialità pare ancora più esasperata, se possibile, di quella della versione da te analizzata.
Purtroppo la mia infinita ignoranza in tema Nintendo mi impedisce di commentare su A link to the past o altri capolavori SNES di questo ricchissimo mese di maggio, che conosco solo di fama. Mi vien voglia di recuperarli.
P.S.: Bella l'idea del podcast. Gli darò un'occhiata appena possibile.
P.P.S.: Noto che questa volta il numero di visualizzazioni su youtube è molto più alto del solito (mentre la qualità del video è sempre la solita, cioè ottima). Cresce la popolarità di Musehead nel mondo?
Quando comprai Splatterhouse 2 per MD, titolo che, sia detto per inciso, ho apprezzato moltissimo, non potevo certo lamentarmi del suo essere "troppo simile al primo", visto che su Mega Drive il capostipite della serie non esisteva.
In effetti si potrebbe considerare Splatterhouse 2 come un buon "spin-off domestico" del coin-op.
Un saluto!
Joustsonic, in realtà ho mostrato i miei video a dei ragazzi che hanno molto successo su YT sul canale e mi hanno consigliato al loro pubblico con conseguente impennata di visualizzazioni ed iscrizioni al canale!
O meglio, credo di capirlo: è il classico gioco che impressionava per grafica (come dimensione degli sprite) ed atmosfera al tempo in cui è uscito, facendolo brillare ben oltre le sue reali qualità... un po' come è successo al mitico Altered Beast, che comunque considero un gioco di gran lunga migliore!
Molto bello questo numero della macchina del tempo, anche perché mi ha fatto scoprire cose che ignoravo completamente ma che mi intrigano parecchio, Axelay in primis. Poi grandissimo Super Off Road, che ho giocato nella versione per pc, e indegno come sempre Pit Fighter!