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ID: 253522L’Amiga vive forse la sua primavera migliore, e si sente. Sui circuiti Commodore fanno capolino tre videogiochi capaci di guadagnarsi grande fama: Chuck Rock, Gods ed Eye of the Beholder (anche su PC, finalmente pubblicato dopo l’edizione americana). I primi due sono comparsi anche in versione Atari ST ed è degno di menzione l’ottimo lavoro dei Bitmap Brothers, capaci di rendere minime le distanze dall’Amiga, mentre assai meno lodevole è stata la conversione del platform Core Design (carino, invece, su Commodore 64 ad opera di una squadra tutta italiana). Da sottolineare come tutti e tre abbiano successivamente conosciuto sorprendente fortuna anche nel mondo delle console, con molteplici adattamenti. L’offerta per i computer non si esaurisce certo così, ad esempio potevano mancare i tie-in? Back to the Future III, fortunatamente, non è male pur risolvendosi come il classico multievento, ma i vari minigiochi mostrano una certa cura; fa certamente peggio Hill Street Blues che, pur catturando l’atmosfera del telefilm, fallisce nel proporre un gameplay accessibile, ritrovandosi con una struttura pesante e convoluta in grado di premiare solo i più pazienti; il peggiore del gruppo, del mese se non dell’anno è Judge Dredd, un action game che fa un uso obbrobrioso della licenza acquisita dalla Virgin, offrendo uno scrolling fluido ma una giocabilità al confine con l’incomprensibile. Gem’X è ricordato con piacere dal popolo dei 16-bit in quanto si configura come il coraggioso esperimento dell’idolatrato Chris Huelsbeck nel ruolo di publisher con l’etichetta Kaiko, anche perché si tratta di un puzzle-game molto godibile seppur con qualche caduta di stile. Chiudiamo con due gradite sorprese: la prima è Escape from Colditz, basato su una vera storia di fuga da questa prigione, ed al giocatore toccherà organizzare il tutto controllando più personaggi, peccato solo che la Digital Magic Software non si sia dimostrata abbastanza potente da regalare al suo prodotto la meritata visibilità; la seconda è Battle Storm, uno shoot’em up multidirezionale à la Bosconian munito di una grafica molto fluida e molto pulita, magari non divertentissimo ma con l’indiscutibile merito di essere firmato Titus senza per questo essere un gran bidone.

Gods
Quasi ogni gioco dei Bitmap Brothers è andato incontro a giudizi controversi e Gods non fa certo eccezione. Impersoniamo Ercole nella sua avventura per conquistare l’immortalità che si dipana come un action-adventure a piattaforme, molto carismatico esteticamente e con meccaniche di gioco piuttosto lente per la presenza di numerosi puzzle che hanno scoraggiato parte del pubblico. Di sostanza ce n’è, ma non è per tutti.




Chuck Rock

A partire dalla sua meravigliosa presentazione, si tratta di un platform capace di farsi ricordare con grande simpatia, col character che dà il titolo al gioco che si fa strada nella preistoria a suon di “panzate”. Il design della grafica e la trascinante colonna sonora hanno il merito di coprire alcune magagne del prodotto, caratterizzato da un gameplay indubbiamente distante dai migliori platform game del periodo.




Eye of the Beholder

Ai ragazzi di Las Vegas che avevano fondato gli Westwood Studios mancava ancora un grande successo. Il primo passo verso il top della scena videoludica mondiale fu proprio questo gioco di ruolo, successore spirituale di Dungeon Master, punto di riferimento dell’epoca. Poche introduzioni, ma tutto il resto veniva eseguito maestosamente sia sul fronte tecnico che ludico per avviare una delle saghe più influenti dei primi anni Novanta.


Il Super Nintendo convince moltissimo il mercato in Giappone e, soprattutto, Stati Uniti ed il Megadrive gioca la carta delle conversioni per stabilire un buon vantaggio in attesa del suo sbarco europeo. E’ possibile finalmente trovare sul nostro territorio After Burner II, che certo non può essere come il coin-op, ma i programmatori della Sega svolgono un lavoro dignitoso. Finalmente importato anche Darius II/Sagaia, horizontal shooter della Taito stimato da un bel po’ di giocatori, ma, per forza di cose, in salotto non può vantare i tre schermi affiancati visti in sala giochi. Di richiamo sicuramente minore è Midnight Resistance, adattamento della scheda da bar Data East, che tuttavia si conferma un onesto run’n’gun, solido ma con poche concessioni alla spettacolarità. Convince poco Twin Cobra, della cui trasposizione si è occupata una Treco non esattamente encomiabile. Sempre una conversione, che giunge però da un percorso differente, è quella di James Pond, apprezzato action-game per Amiga/ST che su Megadrive è costretto a fare i conti con rivali piuttosto ben messi. Trattiamo più avanti l’unico titolo originale del mese: Sword of Vermillion.

Le altre piattaforme non si fanno trovare in grande spolvero: il PC Engine, ad esempio, propone solo Final Match Tennis, simulazione però molto convincente di questo popolare sport ad opera della Human.
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Neppure il NES naviga fra le novità, ma ci sono buoni prodotti: Burai Fighter è uno sparatutto che punta sulla varietà, con un’impostazione prevalentemente orizzontale che si alterna a sezioni di diversa natura ma sempre ben curate; Iron Sword è il secondo episodio della saga di Wizard & Warriors, ma il team Zippo Games si trova col difficilissimo compito di sostituire la Rare che aveva curato la prima uscita, uscendosene con un videogame di livello considerevolmente inferiore; Days of Thunder, infine, vi cala nella formula NASCAR attraverso gli occhi di Tom Cruise e, nonostante la grafica tridimensionale sorprendentemente veloce, non s’impegna molto per intrattenerci a dovere.

Solo conversioni per il Master System. Spicca quella di Galaxy Force: il coin-op era oggettivamente improponibile per qualsiasi console, figuriamoci un 8-bit! Eppure, la Sega tira fuori il massimo di quel che era lecito sperare, riuscendo a trovare un equilibrio accettabile tra abbondanza di sprites e una moderata, ma non compromettente, scattosità. Più abbordabile è Dynamite Duke, un prodotto sulla scia di Operation Wolf con avatar a vista che non ha grossi handicap tecnici, ma deve fare i conti con un corrispettivo coin-op che proprio non aveva trascinato le folle. Joe Montana Football è la pallida ombra della versione Megadrive, ma è il migliore del suo genere su questa piattaforma seppure per mancanza di concorrenti. Bello, invece, l’adattamento di un grande classico del golf per computer, World Class Leaderboard, forse l’unico buon lavoro della storia della Tiertex…

Terminiamo la nostra panoramica con un rapido sguardo al GameBoy ed alle sale giochi: il primo si becca The Chessmaster, una buona simulazione scacchistica che fa esattamente quello che ci si aspetta, e Teenage Mutant Hero Turtles: Fall of the Foot Clan, un tributo alle celebri tartarughe molto migliore di quello che da poco circolava su computer e console; in sala e nei bar, invece, si può trovare Rampart, un originalissimo titolo della Atari che unisce numerosi generi rispettando le esigenze di “ritmo” dei coin-op, offrendo elementi di shooter, strategia e tower defense, meritandosi i tanti elogi e le conversioni per sistemi casalinghi.

Sword of Vermillion
Com’è possibile che questo prodotto sia forse il migliore JRPG per Megadrive ed anche uno dei titoli più oscuri del team AM2? Chissà, probabilmente perché la console Sega non è mai riuscita ad imporsi sulla scena internazionale per l’offerta in campo ruolistico, strizzando fin troppo l’occhio alle importazioni degli esemplari occidentali. Arrivato da noi due anni dopo il suo debutto NTSC, però, Sword of Vermillion, convince la maggioranza della critica con una grafica non spettacolare ma minuziosamente curata ed una struttura di facile accesso per tutti i giocatori. Un titolo meritevole di essere riscoperto.

Gianluca "musehead" Santilio