Uncharted: L’Abisso D’Oro coverCredevate (come me) che un Uncharted per Vita sarebbe stato poco più che una tech demo? Per fortuna la situazione è ben diversa. Di spazio per raccontare i molteplici pregi di questa avventura ce ne sarà, ma volevo fin da subito elogiare l’ottimo lavoro svolto da Bend Studio: mostrare una tale cura per i dettagli in un gioco di lancio su di una nuova console (piena di interessanti innovazioni) non sarebbe stato compito facile per nessuna casa di produzione. La stessa Naughty Dog, creatrice della saga di Nathan Drake, avrebbe potuto avere dei grattacapi. Innanzitutto reputo coraggiosa la scelta, su di una console “aperta” come la Vita, di dar vita ad una avventura decisamente lineare, come i tre Uncharted per PS3, senza introdurre modalità di gioco online. Fatto strano per una console con slot per connessione 3G, ma meglio così dal mio punto di vista: ci si può' concentrare su una gran bella storia da godersi sul notevole schermo della PS Vita. Già, sarà proprio lo schermo la prima cosa che vi colpirà della Vita. L’effetto 3D del 3DS è favoloso, ma l’OLED da 5 pollici è davvero cristallino.

Appena tre mesi dopo il terzo episodio della saga, giunto su PS3 nel Novembre 2011, giunge su PS Vita una nuova avventura con protagonista lo scavezzacollo Nathan Drake, avventuriero che sembra unire i caratteri di Indiana Jones e di Lara Croft; il tutto immerso in un gioco d’azione ed esplorazione, con un gran cast di personaggi tutt’altro che secondari. Complice la relativamente lunga durata dell’avventura, impareremo a conoscere bene tutti i comprimari: Jason Dante, Marisa Chase, il generale Guerro, e pochi altri che incontriamo strada facendo. Nulla è stato lasciato al caso e la missione è forse anche più difficile del previsto, dato che qui si tratta di gettar nuove basi: niente Elena Fisher, niente Chloe Frazer, ma un nuovo cast che non ci farà rimpiangere il vecchio (ma che vorremo comunque ritrovare il futuro). Non poteva comunque mancare Victor Sullivan, mentore e sincero amico di Drake.

Come dicevo, ciò che si vedrà su schermo sarà sempre assolutamente avvincente: si è detto di non considerare la Vita una PS3 portatile. Giocare a questo titolo tuttavia fa pensare l’opposto. Ricordate la sensazione provata nel giocare a God of War: Chain of Olympus su PSP? Certamente il seguito, Ghost of Sparta, era ancora più completo e longevo, ma qui voglio parlare dell’impatto. Vedere girare su PSP un God of War tecnicamente a quel livello (unito alla rodata giocabilità, ovviamente) faceva credere di star giocando davvero con una console differente. Ecco, questo Abisso d’Oro ricorda proprio un’avventura casalinga. Ma, diversamente dai GoW sopra citati, trasposti tramite Collection HD su PS3 (la cui pulizia e upscaling a 1080p con supporto al 3D li rendono ancor più impressionanti), questo Uncharted per PS Vita presenta delle interessanti aggiunte che sarebbero di difficile implementazione per una console fissa: certo, a volte si tratta di piccole implementazioni, come ruotare col touch screen posteriore un manufatto e ripulirlo con quello anteriore, o bilanciarsi in un passaggio da superare il equilibrio con i giroscopi della console (questo però avviene in maniera più naturale e meglio implementata di quanto avvenisse nel primo Uncharted, in cui si doveva mantenere l’equilibrio muovendo del Sixaxis). Ci sono anche dei misteri da risolvere tramite lo schermo tattile e in un'occasione viene anche utilizzata la telecamera.

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Combattimenti corpo a corpo e prese di sicurezza causa caduta (non tutti gli appigli sono fissi!) saranno da affrontare col touch screen, che non risulta mai di troppo. Anche il menù è di facile utilizzo. Lo schermo è sempre liberissimo, ma se premiamo Select spunteranno fuori diverse icone nella parte destra dello schermo, che permetteranno di scattare una foto, di vedere i collezionabili, di recuperare un tesoro o di prendere da terra un’arma lasciata da un avversario (ovviamente le icone saranno attivabili se sarà possibile compiere una simile azione). Ogni caratteristica è comunque ben implementata. Quando passiamo sopra ad un’arma, l’icona che ci permetterà il cambio spunta fuori da sola, e basterà un rapido tocco per impadronirsene. Poche le granate, che si dimostreranno utili solo nella seconda parte del gioco, anche perché più ricca di nemici.

Il touch screen non sarà fondamentale durante i movimenti che compiremo da appesi: per aggrapparsi e muoversi sulle pareti, lanciarsi da liane di vario tipo o salire/scendere dalle corde, si potranno utilizzare i comandi tattili, che coinvolgeranno entrambi gli schermi. Ma il bello è che ciò non verrà mai imposto: la Vita dispone ovviamente dei classici tasti Playstation, e ricorrervi sarà altrettanto naturale. Certo ci si può' domandare a che cosa servano davvero i controlli touch. Servono e sono davvero molto meglio implementati del previsto. Quando imbraccerete per la prima volta un fucile da cecchino, allora comprenderete come mai lo scetticismo iniziale che mi pervadeva si è presto dissolto.

Scena: cattivi in avvicinamento. Noi con in mano un fucile di precisione. Ci muoviamo con la levetta analogica sinistra, ruotiamo la telecamera con l’analogico destro. Troviamo la posizione giusta per sparare ai nemici, premiamo L per mirare; ora siamo fermi, con visuale in prima persona con mirino, che muoviamo con l’analogico destro, Oppure possiamo muovere direttamente la console. Un movimento di polso di pochi centimetri permetterà un controllo totale e preciso sulla visuale. Sarà che questa volta vediamo lo schermo a distanza molto più ravvicinata che in passato, ma personalmente mi è risultato molto più facile rispetto ai precedenti capitoli effettuare colpi alla testa (diverse centinaia in una sola partita). Questo perché i sensori di movimento rispondono davvero bene. E se a qualcuno spiacesse servirsene, beh... c’è sempre l’analogico destro, che però userete, ne sono certo, soprattutto per effettuare movimenti molto ampi. Questo unito all’uso del touch screen posteriore che permette di regolare lo zoom renderà davvero unica l’esperienza di cecchinaggio. Si possono usare i tasti preposti (e poi bisogna comunque tenerne premuto uno per mantenere la visuale in prima persona e uno per premere il grilletto), ma per muovere la visuale e regolare lo zoom sarà davvero comodo sfruttare queste nuove possibilità. Come detto, Bend Studio non impone quasi nulla, il nuovo sistema di controllo va solo ad affiancare la tradizionale esperienza Dualshock (i tasti ci son tutti, comprese le due levette analogiche, morbide ma solide, piccoline abbastanza per non impigliarsi in nulla ma grandi abbastanza per risultare comode), tranne L2 e R2. Abbiamo però un touch screen posteriore, che impareremo ad apprezzare.

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Ma la trama? Sarebbe abbastanza delittuoso rovinare con malcelati spoiler i vari sconvolgimenti che accadranno durante le vostre partite all’Abisso d’Oro, ma due parole non si possono negare: Già il titolo un po’ dovrebbe darvi un’idea: oro, tanto, tantissimo oro. Dicendovi che il gioco è ambientato prevalentemente nella giungla sudamericana, basta poco per giungere alla conclusione che questa volta andremo alla ricerca di una qualche città perduta. Si indagherà sulla popolazione di Quivira, una popolazione realmente esistita, sebbene meno famosa rispetto a Maya, Aztechi e Inca, ma sempre proveniente da quelle zone. Ci sono state diverse spedizioni qui, in passato, una delle quali intrapresa da Francisco de Coronado. Noi siamo sulle tracce di questa spedizione e di scoperte ne faremo un bel po’, anche se difficilmente Drake riuscirà a riscrivere la storia (di solito alla fine delle sue spedizioni le esplosioni non mancano e tutti finisce per essere distrutto. Tornerà anche stavolta a casa a mani vuote?)
Indagheremo anche sul mistero delle Sete Cidades, un’organizzazione segreta fondata diversi secoli or sono (“Mai fidarsi di sette vecchie di quattrocento anni”) addirittura dai Visigoti. Si narra di sette vescovi i quali, trafugando molte ricchezze dalla Spagna, presero il mare per giungere al Nuovo Mondo, alla ricerca delle porte del Paradiso. Alla fine, anche gli spagnoli si misero alla ricerca delle Sette Città d’oro, ma ci furono vari fraintendimenti. Già che ci siamo, seguiremo le tracce del nonno di Chase, giunto alla Sala dei Sette Padri alla ricerca di... Basta così, non si può svelare troppo.

Alla fine giungeremo, letteralmente, alle porte dell’Inferno, ma non prima di esserci lasciati trascinare da un’avventura davvero eccitante, che potrebbe condurci all’oro delle sette città! I luoghi sono meno variegati che in passato, dato che saremo quasi sempre in un ambiente forestale. Ma vedremo la giungla in ogni sua declinazione: la rovine Quivirane, la città di Guerro, grotte sotterranee, fiumi e rovine a perdita d’occhio. Non gireremo per il mondo, in Francia o in India, ma saremo quasi sempre in area sudamericana. Comunque, ve lo assicuro, non avrete mai visto una giungla più bella in un gioco per console portatile. Che paesaggi, che scorci: credetemi, capiterà di fermarsi ad osservare la flora del luogo, un sole al tramonto mentre scaleremo una piramide, l’umidità sulle rocce o l’acqua di qualche rivolo. Che acqua! Una scoperta epifanica, un’acqua davvero realistica: mi ha ricordato la prima volta che giocai a Super Mario Sunshine su Gamecube col cavo RGB (ancora neppure sapevo dell’avvento di lì a pochi anni dei televisori al Alta Definizione!).

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Forse l’unica mancanza (ma bisogna proprio essere pignoli) è la mancanza di una sequenza davvero memorabile. Un grandissimo gioco, con dei dialoghi anche più profondi di quelli sentiti in passato, ma carente di quel certo passaggio dell’avventura che ti permette di renderti indimenticabile l’esperienza. Esperienza che nel complesso è favolosa. Ma come dimenticare la famigerata sequenza del treno un Uncharted 2, o quella dell’aereo nel terzo capitolo. Ecco, per questo siam più dalle parti del primo capitolo, ma aver creato certi scenari su di una console così compatta è e rimarrà un esempio di come portare a termine un ottimo lavoro al primo colpo. Il comparto tecnico può fregiarsi anche di ottime musiche, perfettamente azzeccate in ogni occasione e di effetti sonori: che siano rumori della natura o dei proiettili avversari, il risultato si tradurrà in una sempre maggiore immersione, magari amplificata con un buon paio di cuffie (in ogni caso, l’audio è sempre adeguato, con una qualità ed una potenza superiore alla PSP).

Come in ogni buon Uncharted, così come in ogni buon Indiana Jones, si parte da alcune leggende che ci guideranno al fondo di verità che nascondono. Curiosamente, proprio mentre Nathan Drake si metterà in ballo per venire a capo di un mistero (ovviamente dimenticato da qualche secolo), si dovrà scontrare con una qualche setta o un qualche esercito giunto alla conclusione che venire a capo di tale mistero garantirà la vittoria della loro causa. Per questo non stupiamoci nel vedere che, tra i nostri nemici, ce ne saranno alcuni davvero potenti. Forse non quanto la Katharine Marlowe di Uncharted 3, ma quasi. Il generale Guerro, per quanto abbia perso un po’ di potere nell’ultima decade, è tutt’altro che uno sprovveduto e soprattutto dispone di forze in quantità per contrastare il nostro successo. E anche Jason Dante, inizialmente amico di Drake, in poco tempo si dimostrerà essere un abile doppiogiochista interessato solo al profitto.

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Gli ambienti che visiteremo, per quanto non spazino negli scenari come nei giochi precedenti, risultano sempre freschi e interessanti da esplorare: un po’ di esplorazione infatti rimane anche qua. È vero che l’avventura è unidirezionale, senza possibilità di scelta (ed è proprio questo ciò che rende possibile l’accostamento dei vari Uncharted ad opere cinematografiche, grazie anche alle lunghe fasi di motion capture), ma potremo sempre analizzare ogni metro quadrato con la massima attenzione. Fossimo anche in un edificio in fiamme, potremo sempre guardarci attorno per reperire qualche manufatto nascosto (come nella trilogia per PS3 ci sono centinaia di segreti da trovare, ma questa volta i preziosi da raccogliere sono sempre interattivi, c'è sempre un commento su un manufatto antico abbandonato, una prova lasciata da Guerro, un oggetto lasciato dal nonno di Chase, una statuetta o qualche fotografia).

Comunque, sarà dura riuscire a trovare tutto il recuperabile nella prima partita e questo (assieme ai Trofei, la cui lista è però un po’ banalotta come i capitoli precedenti) spingerà i “completisti” a rigiocare l’avventura più volte. Altro sorprendente punto di forza è la longevità: è facilmente superiore agli episodi “casalinghi”: se quelli nelle mia mani non hanno mai superato la decina d’ore, questo Abisso d’Oro mi è durato una buona quindicina d’ore, prendendomela comoda, come faccio sempre. Non credo però che un giocatore medio possa arrivare ai titoli di coda in meno di una dozzina d’ore, a meno che non voglia proprio giocare a rotta di collo. Io ho impiegato un buon mesetto, rigiocandomi un po’ di aree per recuperare tutti i tesori, ma dipende ovviamente dal tempo che ognuno potrà dedicarvi.


COMMENTO FINALE


"In definitiva, il giudizio non può prescindere dal fatto che sia un gioco pubblicato in contemporanea all’arrivo della PS Vita sugli scaffali: raramente, ad ogni lancio di qualche console s’è visto qualche titolo così calzante all’hardware di turno. Questo Uncharted: L’Abisso d’Oro ha enormi pregi: sfrutta al meglio le caratteristiche della console senza rinunciare ai controlli classici e presenta una qualità grafica mai vista prima in ambito portatile, concentrando tutte le caratteristiche che hanno reso famosa la trilogia per PS3 (doppiaggio di elevatissima qualità compresa). Non solo è una vetrina tecnologica per le potenzialità che questa macchina potrà sviluppare nei prossimi anni, ma è pure un gran bel gioco, con un’avventura solidissima e longeva. Un acquisto obbligato. E siamo solo all’inizio... Il difetto più grande? Come ogni cosa, purtroppo prima o poi finisce.