Sviluppato dalla Q Entertainment, casa fondata dallo stesso Mitsuguchi dopo la sua fuoriuscita dalla Sega, Lunines si presentava come una variante del classico Tetris, in grado di elevare l’ormai vetusto schema dei blocchi a caduta verso nuove vette d’eccellenza. L’idea di base era in realtà molto semplice, e come spesso accade per questo genere di giochi, molto più facile da giocare che da spiegare a parole: All’interno di uno schermo inizialmente vuoto sarebbero iniziati a cadere dei blocchetti di forma quadrata, formati a loro volta da quattro piccoli quadratini contraddistinti da due diverse colorazioni. Ruotando e spostando tali pezzi in maniera opportuna avremmo dovuto formare dei nuovi blocchi composti da quadratini di colore omogeneo, i quali sarebbero stati successivamente eliminati da un’apposita barra in grado di spazzare l’intera area di gioco da sinistra verso destra. All’interno di questo concept non proprio originale la parte del leone era svolta proprio da quest’ultima, la cui velocità, variando in funzione dell’accompagnamento musicale e del susseguirsi delle varie “skins”, andava a generare tutta quella sequela di sottigliezze in grado di trasformare un’idea a prima vista elementare in qualcosa di assolutamente geniale. Se ad esempio una musica ritmata avrebbe comportato una più frequente “pulitura” dello schermo, aiutando il giocatore a prevenire il fatidico Game Over, soltanto con una barra più lenta avremmo avuto il tempo di accumulare più blocchi fra una passata e l’altra, ottenendo di conseguenza un maggior numero di punti.
Gli aspetti di maggior successo di questo avvincente puzzle game risiedevano sia nell’assoluta qualità del comparto audio/video (chiunque abbia mai giocato a Lumines si sarà ritrovato prima o poi a fischiettare qualcuno dei suoi micidiali motivetti a mo’ di tormentone), quanto nel suo gameplay ricco di sfumature ed in grado di offrire diversi “livelli” di fruizione. Se per capire Lumines bastavano pochi minuti, per poterne apprezzare appieno tutte le caratteristiche occorrevano costanza e dedizione; qualità che nell’utente venivano costantemente stimolate dall’elevato tasso di dipendenza che il titolo era in grado generare.
Di fronte al seguito di cotanto capolavoro, accolto con entusiasmo sia dal pubblico che dagli addetti ai lavori, il primo interrogativo che ci si pone è sicuramente il seguente: “Quali modifiche e/o innovazioni sono state apportate al gioco originale?” La risposta a questa domanda è: “Nessuna o quasi”. Tale affermazione, per molti versi lapidaria, non vuole tuttavia essere una stroncatura per questo Lumines 2, che non risulta affatto un titolo superfluo o di natura prettamente commerciale. Al contrario la sua vera forza risiede proprio nel saper conservare inalterato il feeling del precedente episodio, riuscendo al contempo a migliorarne un po’ tutti gli aspetti. Non solo il numero delle skin (ossia delle musiche con relativo sfondo) risulta praticamente triplicato, andando ad aggiungerne di totalmente nuove ad una selezione di quelle passate, ma praticamente tutte le modalità di gioco hanno subito un ampliamento o delle migliorie di qualche sorta. In mezzo a tanta abbondanza spicca sicuramente la possibilità d’impostare una propria sequenza di livelli, utilizzando a tale scopo tutte le skin che saremo riusciti a sbloccare fino a quel momento. Non potevano ovviamente mancare anche dei piccoli ritocchi al gameplay, come ad esempio l’inserimento di particolari moltiplicatori, in grado di rendere (ove possibile) l’esperienza di gioco ancora più profonda e coinvolgente.
Ma l’aspetto che ha goduto delle maggiori attenzioni è sicuramente il comparto audio/video. Se il precedente episodio si era fatto apprezzare per le orecchiabili musichette ed i livelli ricchi di stile e di colori, questa nuova incarnazione non solo aumenta sensibilmente la qualità di tutte le skin ideate appositamente per il gioco, ma offre in aggiunta alcuni brani di artisti del calibro di Black-eyed-peas, Beck e Chemical Brothers, tutti corredati dai relativi video musicali. La precedente impostazione J-pop viene inoltre migliorata grazie ad una selezione di pezzi che spazia dall’elettronica di Fat Boy Slim all’hard rock degli Hoobastank.
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