SuikodenQuando si parla di Giappone, il primo aggettivo che a molti viene a mente è “contraddittorio”. Da una parte, infatti, il popolo del Sol Levante è particolarmente legato alle tradizioni, dall’altra non si può negare che i giapponesi siano stati degli innovatori in molti campi, nonché ideatori di nuovi generi, partorendo idee geniali o soltanto folli, “invenzioni” che sono divenute popolari in altri paesi solo anni dopo (vedi il karaoke, per esempio). Come una sorta di Giano Bifronte, il popolo nipponico ci stupisce con questa sua ambivalenza: da una parte il desiderio di tentare cose nuove, dall’altra una tenace voglia di rimanere attaccati alle proprie radici, uno sguardo volto alle tradizioni ed uno alle novità, un occhio al passato ed uno al futuro.

Alcuni prodotti “Made in Japan” (no, non sto parlando dei Deep Purple) sono talmente simili da sfiorare quasi il plagio, mentre altri dimostrano una decisa carica innovativa, sviluppando idee assurde ed originali. Se da un lato alcuni sono talmente strani da risultare quasi incomprensibili, altri sono così classici da risultare appunto quasi dei cloni, dei titoli fotocopia totalmente incapaci di osare. Ma siamo proprio sicuri che i prodotti che noi definiamo scopiazzature lo siano poi davvero? O si tratta solo di un pregiudizio figlio di una scarsa attenzione da parte di chi guarda? Il genere dei JRPG (o giochi di ruolo giapponesi), ad esempio, sembra proporre titoli fatti letteralmente con lo stampino, ma uno sguardo attento potrebbe notare particolari interessanti e degni di nota.

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C’è del marcio nell’Impero della Luna Scarlatta

Il primo approccio con Suikoden non è certo dei più strabilianti. Il comparto visivo, infatti, sembra preso di peso da un gioco per Super NES (nessuno vuol denigrare la storica console Nintendo, ma qui siamo nel campo dei 32 bit, non dei 16, e sarebbe il caso di valorizzare le potenzialità della PSOne), con sprite visti di fronte collocati in mappe a volo d'uccello (avete presente i primi Final Fantasy, vero?), e la trama non è certo un inno all’originalità. Il protagonista (a cui dovrete dare un nome) è il giovane figlio del generale McDohl, uno dei cinque dell’Impero della Luna Scarlatta. Il nostro personaggio è stato convocato dall’imperatore Barbarossa (sic), per poter intraprendere una interessante carriera a corte e divenire così un ambasciatore dell’imperatore stesso. Certo, all’inizio gli incarichi non saranno certo prestigiosi (perché va bene il nepotismo, ma anche i figli dei generali devono fare la gavetta), ma col tempo il rango del giovane McDohl non farà che aumentare… a meno che il destino non ci metta lo zampino e non riveli verità scomode, davanti alle quali diventa oggettivamente impossibile girare la testa dall’altra parte e far finta che tutto vada per il meglio. Senza scendere troppo nel dettaglio, ad un certo punto gli eventi della trama porteranno il ragazzo a riconsiderare tutto ciò in cui credeva, facendogli scegliere un percorso diverso da quello previsto per lui da suo padre, finendo addirittura per diventare… ma questo lo lascio scoprire a voi, anche se credo che molti avranno già parzialmente intuito dove la trama possa andare a parare (non temete: quello che vi ho raccontato poco sopra viene riportato a grandi linee anche nel manuale di gioco, quindi non credo di avervi rovinato alcuna sorpresa).
Questo gioco è tradizionale -o vecchia scuola, fate voi- non solo nella forma ma anche nei contenuti, il che vuol dire un JRPG con tutti gli annessi e connessi, ivi compresi incontri casuali a centinaia, possibilità di salvare solo in determinati punti prestabiliti e dungeon enormi da affrontare, in certi casi, anche tutti d’un fiato, almeno finché non troverete uno dei rarissimi save point. Tutti questi elementi -che qualcuno potrebbe definire caratteristici- sono sempre stati decisamente indigesti... figli sì della tradizione... ma che non hanno mai avuto molto senso di esistere, se non per far dire al povero giocatore un sacco di parolacce, soprattutto se si trova a dover interrompere la partita per andare a letto alle due di notte, mentre brancola nel buio di un labirinto, con mostri che lo assaltano ogni due secondi, le scorte di pozioni curative prossime alla fine e nessun'idea di dove possa essere l’uscita e/o il punto di salvataggio. Parlando di combattimenti, poi, aspettatevi la classica schermata coi membri del vostro party contrapposti ai vari mostri; qui dovrete, come da copione, scegliere fra vari comandi (attacco, magia, usa un oggetto, etc), finché lo scontro non sarà concluso. Degno di nota (ma per i motivi sbagliati) l’uso di un simil-Mode7 durante alcuni attacchi particolari, effetto che ruoterà il fondale (ma non gli sprite), generando così un “distacco” tra personaggi e sfondi che sarebbe stato opportuno non vedere. Come forse avrete intuito, i pregi di Suikoden -che per fortuna non mancano- sono da ricercare altrove.

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Gotta catch’em all

Se si decide di addentrarsi in un mercato già pericolosamente sovraffollato, è opportuno avere un quid, un tratto distintivo in grado di rendere unico il nostro titolo. Ad esempio Final Fantasy ha le Summon, i Chocobo ed i Mog, mentre Dragon Quest ha gli Slime e tutti gli altri mostri disegnati da Akira Toriyama. Uno dei fattori che rende unica la saga di Suikoden è il numero di personaggi reclutabili che ammontano a 108, numero mistico per eccellenza, come ben sanno anche i fan di Kenshiro. Tale cifra è infatti relativa ad un gruppo di costellazioni dell’astrologia cinese e non a caso ogni personaggio di Suikoden fa capo appunto ad una stella, astro che ne determina anche indole e carattere. Sì, avrete la possibilità di avere un party di 108 personaggi, fermo restando, però, che non tutti potranno essere effettivamente presenti nel vostro party (alcuni rimarranno al castello con mansioni di magazziniere o di valutatore di oggetti, ad esempio), mentre altri si differenzieranno solo in base al colore del vestito e poco altro (è il caso dei fabbri, ad esempio).

Un altro elemento precipuo di questo titolo che ho trovato decisamente apprezzabile è il vostro castello. Ad un certo punto vi troverete a combattere contro una temibile creatura (mi tengo sul vago di proposito per non rovinare sorprese) ed una volta sconfitta potrete reclamare la sua tana. Questo maniero ospiterà voi e tutti quelli che sarete in grado di reclutare, andando man mano a crescere ed allargarsi, offrendo sempre più stanze e possibilità di interazione con l’edifico stesso e con i personaggi che lo occuperanno. Per quanto riguarda gli abitanti del castello, è opportuno far notare che alcuni elementi si uniranno a voi prima ancora che abbiate il tempo di chiedere la loro opinione, mentre per altri sarete costretti, a seconda dei casi, a soddisfare delle richieste o trovare oggetti particolari, piuttosto che raggiungere un determinato livello di esperienza. Col procedere della vostra opera di proselitismo potrete anche far crescere, nonché, entro certi limiti, anche arredare, il vostro castello, che potrà così comprendere moli, sale da gioco con annessi mini-giochi (quali il Memory o una variante del gioco delle tre carte, ad esempio) ascensori, bagni termali ed una moltitudine di altre stanze da esplorare.

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Il sistema di magie del gioco è basato sulle rune. Ognuno di questi simboli ha un tema (si va dagli immancabili elementi come acqua, fuoco, terra e vento, a vari animali come il cinghiale, passando per concetti come la morte) associabile a vostra discrezione ai vari elementi del vostro party. Ogni runa garantisce vari livelli di incantesimi (di norma 4) in grado di offrire una certa varietà. La cosa davvero notevole di questo sistema è che gli incantesimi possono essere “fusi”. È infatti possibile, ad esempio, lanciare un incantesimo che sommi l’abilità di un personaggio a quella di un secondo, dando così vita ad uno spell composito dagli effetti potenziati. Ci sono poi alcune rune minori che possono essere fuse con un elemento dell’equipaggiamento, andando così ad aumentare le statistiche dello stesso o aggiungendo, ad esempio, un’affinità o una resistenza elementale.
Oltre agli incantesimi, anche alcuni attacchi possono essere eseguiti attraverso un’unione. Alcuni dei vostri membri, difatti, hanno determinate affinità con altri personaggi del gruppo (appartenenza alla stessa banda di pirati, legami familiari e cose di questo tipo) e quindi possono, invece di attaccare singolarmente, fondere il loro turno di attacco. Questa maggiore potenza, però, andrà a discapito del tempo di recupero, che risulterà più lungo.
In alcuni punti del gioco sarete messi al comando di tutto il vostro esercito (che può raggiungere le varie decine di migliaia di unità, anche se al castello non vedrete che i vari personaggi reclutabili) e ne affronterete uno avversario. A vostra disposizione avrete vari corpi d’armata, formati da fanti, arcieri, ninja ed altre categorie di combattenti, mentre gli scontri si risolveranno col principio della morra cinese (un particolare attacco, cioè, risulterà efficace contro determinati tipi di avversari, ma non altrettanto contro altri). I personaggi arruolati influiscono sulle prestazioni dei vari corpi d’armata da loro comandati: un personaggio elfo, ad esempio, può essere scelto come comandante di un gruppo di arcieri della stessa razza e, se i personaggi “adatti” sono più d’uno, potrete avere un comandante e due vice, in modo da rendere l’attacco con le frecce ancor più efficace.

Decisamente degna di nota è la colonna sonora del gioco, composta da brani estremamente diversificati per tono ed intensità e comunque sempre capaci di sottolineare in maniera egregia i momenti di gioco e le situazioni che si stanno affrontando. I pezzi sono talmente belli da risultare azzeccati anche quando sembrano assurdi, ovvero, ad esempio, nei mini-giochi come il Memory, evento quest'ultimo accompagnati da una melodia che farà venire a mente i suonatori di banjo del sud degli Stati Uniti (avete presente la copertina occidentale di Phalanx su SNES?). Ebbene, qualcuno potrebbe chiedersi: che cosa c’entra un motivetto country (o western? O blue grass? non saprei esattamente) con un GDR fantasy di matrice nipponica? Assolutamente niente... ma è talmente orecchiabile che potreste ritrovarvi a fischiettarlo nei momenti meno opportuni, oppure potreste addirittura adottarlo come suoneria del vostro cellulare.

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Nonostante la trama non sia particolarmente originale, è comunque in grado però di farsi apprezzare, essendo indubbiamente ben raccontata ed interessante. Sono infatti presenti molti momenti drammatici (dopotutto stiamo parlando di una storia a sfondo bellico), che potrebbero addirittura arrivare a commuovervi, cosa decisamente sorprendente, visto il design “kawai” (tenero) dei vari sprite.
Una aspetto irritante di questo titolo è dato dal fatto che, in alcune occasioni, vi “prende in giro”... letteralmente. Esempio: come accennato sopra, all’inizio del gioco vi viene detto che avete raggiunto l’età adatta per rendevi utili al servizio dell’imperatore. Venite quindi accolti nella sala del trono ed il vostro sovrano vi chiede se vi sentite pronti a servirlo. Vi verrà data la facoltà di rispondere positivamente o negativamente, ma se dite di no l’imperatore, sorpreso, vi chiederà se siete proprio sicuri e continuerà a farlo finché non risponderete in maniera affermativa. A questo punto è lecito chiedersi: perché dare l’illusione di poter scegliere, se poi alla fine si deve necessariamente rispondere quello che il gioco vuole, anzi pretende? E col procedere della storia vi capiterà ancora di imbattervi in queste “scelte”. Non sarà un difetto enorme ma è certo si tratta di un aspetto irritante. Questo titolo, difatti, narra una storia che, per la quasi totalità, è “su binari”, non consentendo, cioè, di stravolgere lo svolgersi degli eventi... quindi perché tediare il giocatore con scelte fittizie? (una cosa simile, tra l’altro, succedeva anche in Rambo II su NES, un’idea a mio avviso pessima che però, a quanto pare, è stata usata più volte in vari ambiti).
Essendo un gioco di ruolo, la longevità è decisamente corposa, specie se deciderete di trovare tutti i 108 personaggi (cosa non facilissima, ma comunque facoltativa; non è affatto necessario, infatti, reperire tutti i character per finire il gioco). Nel caso voleste affrontare questo titolo, quindi, preparatevi a spendere non meno di una cinquantina di ore.
Per quanto mi riguarda, questo Suikoden è uno dei due titoli che mi ha fatto fare l’alba senza che neanche me ne accorgessi (l’altro, per la cronaca, è Indiana Jones e l’ultima crociata, l’avventura grafica). Per amor di completezza, in ogni modo, vi ricordo che questo JRPG è totalmente in lingua inglese.


Note:

I salvataggi di Suikoden sono fra quelli che Psyco Mantis, in Metal Gear Solid, è in grado di riconoscere quando vi legge la “mente” (insieme a quelli di Castlevania e di PES).
Il gioco in esame si basa su un libro estremamente popolare in Cina attribuito a Shi Nai’an ed a Luo Guanzhong.Suikoden” significa “Storie in riva all’acqua” (anche se la versione italiana è intitolata più semplicemente “I briganti”) e parla di 108 personaggi che, attraverso la via del brigantaggio, finiranno per diventare le 108 stelle del destino. Il titolo originale del gioco è “Genso Suikoden”, dove “Genso” significa più o meno “fantasy”.


COMMENTO FINALE


"All’apparenza Suikoden può sembrare il classico JRPG come ce ne sono a decine, ma se si riesce a guardare “oltre la forma” si potrebbe scoprire una piccola gemma. Un titolo con una sua anima, dunque, in grado di regalare grandi soddisfazioni."