La trama prende spunto dalla tradizione fantasy dato che avremo a che fare con cavalieri, draghi e così via. Il protagonista è Dart, un ragazzo dall’indole ribelle, il quale parte alla ricerca del cosiddetto Mostro Nero reo di aver ucciso i suoi genitori. Dopo cinque anni il giovane fa ritorno a Seles, suo villaggio natio, che al momento del suo arrivo si presenta sotto assedio a causa di un attacco dell’esercito di Sandora. Finito l’assedio, Dart scopre con amarezza che la sua amica di infanzia, Shana, è stata rapita e imprigionata. Il nostro eroe si rimette quindi in marcia in direzione delle carceri di Hellena, luogo dove la fanciulla a lui cara è custodita. Da qui in poi si svilupperà tutta la serie di eventi che costituirà il canovaccio narrativo alla base della storia. Mettendo un attimo da parte la trama, cominciamo parlando dei personaggi i quali appaiono fin da subito stereotipati: Dart, con il suo carattere scontroso, è chiaramente ispirato ai vari Cloud (Final Fantasy VII) e Squall (Final Fantasy VIII) senza però possedere un’introspezione psicologica di pari livello. Stesso discorso per Shana, una brutta coppia di Aeris o Rinoa. Identica sorte viene riservata al baldanzoso Lavitz, facilmente riconducibile ai classici impulsivi o attaccabrighe quali erano Barret o Zell. Già in Final Fantasy VIII, pubblicato due anni prima in Europa, si avvertiva che lo spessore di un certo tipo di personaggi iniziava a risultare scontato. Nonostante ciò The Legend of Dragoon non fa una grinza presentando “attori” ormai triti e ritriti. Di aiuto non è neppure la trama, scorrevole ma altresì spesso molto infantile e sempliciotta nel portare avanti degli eventi dei quali alle volte non ne si comprende bene la causa.
Passando al gameplay è palese come, anche in questo frangente, l’ombra di Final Fantasy investa tutto. E’ inutile sprecare parole dato che non c’è alcuna novità rispetto ai prodotti Squaresoft di quel periodo: i turni, il sistema d’attacco, l’interazione con i villaggi, i dungeon, i frustranti combattimenti casuali. Ogni elemento delle meccaniche ludiche odora di FF se non fosse per la possibilità, all’interno delle battaglie, di attuare delle combo basate su catene di determinati tasti o di trasformare uno o più personaggi nei famigerati Dragoni della leggenda che danno il nome al gioco. Una volta mutati, i guerrieri in questione saranno per alcuni turni semplicemente più forti sia in attacco che in difesa, fattore fondamentale per trionfare negli scontri con i boss. Per carità, se chiudiamo un occhio, The Legend of Dragoon ha imparato benissimo la lezione di Square e, giocato da un amante del genere, è un titolo godibilissimo. D’altro canto, è indubbio come Sony abbia attuato un bel copia-incolla sfruttando il più possibile la moda dei J-Rpg, tanto in voga al tempo, nel tentativo di irretire più ragazzi possibili (tra cui il sottoscritto). Un punto a favore è sicuramente rappresentato dalla longevità constatando che i quattro dischi di cui si compone questo prodotto ci garantiranno un’esperienza di gioco che si attesta sull’ottantina di ore.
Non rimane che parlare di grafica. Se fossi veramente perfido, direi che pure qui la faccenda non si discosta dall’altra serie che ormai non nomino più. Per intenderci, quella serie contraddistinta da personaggi poligonali che si muovono all’interno di ambienti prerenderizzati. Scherzi a parte, il comparto estetico di The Legend of Dragoon è davvero stupefacente. Ogni dettaglio è curatissimo così come è egregia la diversificazione degli ambienti, assai vari e incantevoli: lo scorrere dell’acqua, le luci, le ombre, la vegetazione, gli scorci, le architetture dalle tinte pastello bilanciate perfettamente tra loro. Gli stessi protagonisti possiedono modelli 3d e animazioni molto al di sopra della media. Ogni cosa è quindi talmente bella alla vista da instaurare nel giocatore un forte entusiasmo iniziale nell’affrontare il gioco. Peccato che poi le lacune legate al gameplay e alla banalità della storia vengono inesorabilmente a galla. Sotto il profilo sonoro abbiamo risultati alterni: sulle musiche niente da dire, ispirate e distribuite ottimamente a seconda dei diversi contesti. Rimane invece l’amaro in bocca per il doppiaggio, per di più in italiano, confinato alla sola pronuncia degli attacchi sferrati durante le battaglie o alle sporadiche battute presenti nei filmati di intermezzo, anch’essi stupendi. Un’occasione buttata letteralmente al vento, anche dal solo punto di vista commerciale: fai un j-rpg col parlato in italiano e non sfrutti la cosa al massimo?
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