Parte un filmato, breve, simile al finale de “La casa” di Sam Raimi, inizio la partita galvanizzato e la vera introduzione con attori in carne e ossa mi lascia di stucco: sarà censurata, in bianco e nero, da film di serie B ma resta sempre di grande impatto; poi mi ritrovo in una magione a comandare un membro della squadra speciale S.T.A.R.S. mandata a Racoon City per indagare su strani casi di omicidi, apro un paio di porte e inizia l’ennesima sequenza che mostra uno zombie intento a divorare un cadavere… metto in pausa, morbosamente eccitato da tanta truculenza, quindi riparto.
Pochi minuti ancora ed eccomi in un corridoio… tutto tranquillo all’apparenza, cautamente giro l’angolo ma non c’è nulla… il silenzio… pochi passi ed una finestra viene sfondata da un cane/zombie che mi fa letteralmente saltare sulla sedia! Rimetto nuovamente in pausa e corro da mio padre, tutto gasato, a descrivergli l’incredibile “bellezza” di quel gioco che un’oretta prima mi aveva accompagnato a comprare e che stava ripagando tutte le mie malsane aspettative.
Di Resident Evil ormai si è detto di tutto di più: è l’erede (il)legittimo di Alone in the dark, perché ne mutua la struttura e, con ovvi miglioramenti, lo stile grafico, ha definito i canoni dei survival horror moderno, è il prodotto, a prescindere dal suo genere di appartenenza, che ha riportato in auge l’horror, come ha ammesso lo stesso antesignano del cinema di settore George Romero, il regista degli storici “La notte dei morti viventi” e “Zombi” (che avrebbe anche dovuto dirigere la relativa trasposizione cinematografica se non fossero sorti problemi legati alla sceneggiatura).
Ovvio che oggi Resident Evil appaia sorpassato, in virtù di un gameplay ripreso e ampliato da un'agguerrita concorrenza e finanche dai suoi stessi seguiti, che l’hanno reso inflazionato (salvo poi rivoluzionare la saga col meraviglioso, quarto capitolo per Game Cube).
Eppure, pur ricco di cliche’, di trovate spesso scontate, Resident Evil è stato a suo tempo un titolo fresco, per certi aspetti nuovo, probabilmente più per la prolungata latitanza di un prodotto similare, che per intrinseco valore assoluto.
Per carità, di meriti propri ne possiede, ma oggettivamente si deve parlare di titolo storico e non di capolavoro, causa uno stile di gioco già piuttosto obsoleto ai tempi dell'uscita, di una mappa vasta ma studiata (volutamente?) male, generante eccessivo backtracking, e aumentandone così artificiosamente la longevità, dell'inventario inutilmente limitato, col conseguente l'obbligo di posare gli oggetti superflui in determinati bauli comunicanti, dalla dislocazione piuttosto infelice, e non da ultimo delle ormai fantomatiche sequenze di apertura delle porte, che pur atte a celare i caricamenti, risultano snervanti.
In tutto questo, non è da trascurare una giocabilità discutibile, per quanto sopra descritto e per gli scontri poco divertenti, in cui ci si limita, passivamente, a mirare e sparare, vista anche la difficoltà nell'utilizzo del coltello, l'unica arma a breve gittata, che avrebbe potuto fornire nuovi interessanti spunti durante i combattimenti.
Graficamente non incredibile già allora, il titolo vantava buoni personaggi su sfondi discretamente renderizzati, enfatizzati da inquadrature spettacolari atte a mostrare le sequenze dalle più disparate angolazioni, ma in cui spesso regnava un po’di confusione nei dettagli, causa una risoluzione non eccessiva. Il sonoro era ottimo, con splendidi FX e musiche ripetute all'ossesso, che ben ricreavano il giusto clima di follia e tensione.
La villa (l’ambientazione principale ma non l’unica) era stupendamente architettata, con stanze mutevoli, e la storia ivi raccontata, per quanto non facesse alcuno sforzo per apparire originale, funzionava. Gli enigmi poi, caso unico in questa saga, si presentavano realmente intriganti, non difficili, ma risolvibili ragionando quel tanto che bastava a regalare soddisfazione al giocatore, per una volta non considerato un cerebroleso incapace di risolvere una situazione più complessa dell’infilare una chiave quadrata in una toppa quadrata.
La possibilità di affrontare l’avventura con due personaggi distinti (e altrettanti livelli di difficoltà) Chris Redfield e Jill Valentine, per quanto apportasse modifiche marginali, favoriva la rigiocabilità, idem per i finali multipli. Non è un caso se molte trovate qui presenti siano state poi riprese pedissequamente in futuro e non solo da tale saga.
Col senno di poi, l’approccio all’orrore capcomiano appare meno viscerale di quello di un Silent Hill, perchè d’impatto solamente epidermico, eppure alla sua uscita pochi sentirono il bisogno di lamentarsi, e in fondo era giusto fosse così: troppa era la fame, la voglia di un prodotto del genere, e va dato atto alla Capcom di essere riuscita là dove molti avevano fallito ed altri addirittura non avevano osato nemmeno provarci.
E se oggi un appassionato di horror può tornare a saziare i propri istinti sopiti da anni, bhè, è proprio a questo giochino che deve ossequiosa riverenza.