Pensando alla categoria dei jrpg, il nome della Konami non è certo il primo a venire alla mente. La serie di maggiore successo riconducibile al colosso giapponese è quella di Suidoken, del resto non popolarissima sul suolo europeo. La filosofia perseguita è stata sempre diversa da quella della maestra Square, preferendo un'accento sul gameplay piuttosto che sulla narrazione.
Con Azure Dreams, nel 1997, la Konami tentò di guadagnarsi un posto nelle collezioni dei possessori di Playstation affidandosi proprio agli autori della serie Suidoken. Come in quest'ultimo, appare da subito evidente che la spettacolarità non sia mai stata in cima ai pensieri degli sviluppatori: Azure Dreams adotta uno stile ibrido con personaggi in bitmap e scenari tridimensionali e l'effetto finale, a voler esser sinceri, non è molto gradevole a causa di frequenti spixellamenti ed un'ispirazione globale tutt'altro che esaltante, soprattutto per quanto riguarda i luoghi nei quali combatteremo. Di tutt'altro spessore la colonna sonora realizzata da Hiroshi Tamawari, solare, elaborata e ricca di spunti fantasiosi, con il solo difetto di essere fin troppo importante, col rischio di diventare invasiva per un titolo che punta ad esperienze di gioco prolungatissime.
Il cuore di Azure Dreams è tutto nel gameplay. Già questo basta a discostarlo dalla produzione tipica giapponese, ma sono molteplici le sue peculiarità. La sceneggiatura si focalizza sulla vita di un villaggio nel bel mezzo di un deserto che riesce a sopravvivere grazie all'ombra offerta da una gigantesca torre infestata da mostri di ogni genere. Il ragazzo più popolare di questo insediamento è Guy, un giovane cacciatore di mostri che per anni ha fatto piazza pulita di ogni nemico e recuperato numerosi artefatti per i suoi concittadini. Tutto ciò fino al giorno in cui, misteriosamente, si sono perse le sue tracce all'interno della torre. I suoi amici e, soprattutto, i suoi familiari vivono nella preoccupazione per anni ed affidano al fratello minore di Guy, noi, le speranze per la prosperità del villaggio. Appena compiuto il quindicesimo anno verrà concesso al nostro avatar di avventurarsi nella torre e continuare ciò che Guy aveva interrotto, magari scovando preziosi indizi sulle sue sventure.
Il villaggio e la torre sono gli unici ambienti di gioco e richiedono azioni radicalmente diverse. Tutto ciò che dovremo fare nella torre sarà combattere e raccogliere ogni cosa che incontriamo. In questa sezione, più che ad un jrpg, Azure Dreams somiglia ad un qualsiasi dungeon crawler, come vengono definiti i titoli alla Diablo. Potremo, tuttavia, anche affidarci ad un party, scovando nelle varie sale delle uova contenenti i “familiar”, mostri pronti ad ubbidire ai nostri ordini ed aiutarci in battaglia, ognuno con le proprie caratteristiche. Le uova potranno essere schiuse sia nella torre che nel villaggio, l'importante è sapere che il luogo di nascita del familiar diventerà la sua casa, ragion per cui aprendo un uovo della torre non potremo portar con noi il mostro, mentre schiudendolo al villaggio potrà essere “allevato” e migliorato. I combattimenti avvengono tramite il diretto controllo del personaggio e, pur apparendo in tempo reale, saranno regolati dalle solite meccaniche dei turni, limitando la frequenza degli affondi e delle azioni eseguibili pur non mandando il tutto in pausa.
Il villaggio è l'elemento più caratteristico di Azure Dreams. Non è solo un posto in cui effettuare la classica compravendita di oggetti e racimolare quest, ma una componente dinamica da gestire oculatamente. Nell'avanzare della sceneggiatura ci sarà concessa la possibilità di ampliarlo e munirlo di tutto quanto gli abitanti possano desiderare per divertimento e necessità, da ospedali a palestre. Simpatica anche la possibilità di avviare relazioni sentimentali con alcune ragazze del posto, per un totale di sette, aspetto preso in prestito dalla categoria dei “dating sim”, genere piuttosto in voga in Giappone che in Occidente registra pochi esemplari.
Un autentico cocktail di idee discretamente implementate ma penalizzate, sul piano commerciale, da un rivale invincibile: Final Fantasy VII, pubblicato lo stesso anno, che non solo ha attirato su di sé tutte le luci, ma ha anche riscritto buona parte della storia del gioco di ruolo giapponese. Anche per questo sorprese l'importazione occidentale di Azure Dreams che, effettivamente, passò piuttosto inosservato. E' riuscito a guadagnarsi comunque un gruppo di appassionati che ha spinto la Konami a non abbandonare il marchio e a regalargli una coraggiosa trasposizione per Game Boy Color nel 2000, con inevitabili riadattamenti di alcuni aspetti, e persino un seguito per Nintendo DS nel 2006, intitolato Tao's Adventure e stroncato amaramente dalla critica.
Per trovare una riunione di idee simile a quella di Azure Dreams è meglio rivolgersi a Dark Cloud, jrpg della Level-5 pubblicato su Playstation 2 nel 2000, che condivide la dualità dei combattimenti nei dungeon con la gestione del villaggio, riprendendo anche la generazione casuale dei labirinti. Difetta, o quantomeno ridimensiona, l'importanza dei rapporti con i concittadini, tagliando del tutto le sfumature amorose.
Un titolo sicuramente consigliato agli appassionati del genere e della cultura videoludica nipponica in generale, considerando soprattutto l'amalgama di tanti filoni qui presenti. Resta da valutare se il prezzo raggiunto recentemente dall'usato, quasi improponibile per la versione PAL, valga ancora la candela...
Quanto e caro a me qul discorso padre e figlio su le donne ...