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ID: 255512Los Angeles, fine anni ’40, polizia, delitti, corruzione, droga, Hollywood: questi sono gli ingredienti scelti da Rockstar per il proprio film, stavolta di stampo noir, intitolato per l’appunto L.A. Noire. Con Red Dead Redemption si era tracciata una nuova via per quanto riguarda il tanto famoso genere free-roaming inserendo trame più adulte e contesti più funzionali ai fini dell’esperienza globale. Il titolo targato Team Bondi non fa altro che inserirsi su questa scia presentando un gameplay completamente alternativo, una storia ancora più matura e mantenendo al contempo il forte taglio cinematografico e citazionista al quale Rockstar ha abituato i fan.

Il primo elemento che contraddistingue L.A. Noire è chiaramente l’ambientazione. Fin dalla diffusione delle prime notizie legate al gioco si è subito puntato molto su questo aspetto mettendo immediatamente in chiaro a cosa sarebbero andati incontro i potenziali acquirenti. L’avventura, è risaputo dal nome stesso, ha come sfondo la Los Angeles del secondo dopo guerra, una metropoli in piena espansione economica, apparentemente esemplare, che allo stesso tempo deve fare i conti con una perversione ed una brutalità di fondo che pervadono tutti gli strati sociali della città. In moltissimi elementi, per coloro che l’avessero visto, ci sono palesi somiglianze, per non dire uguaglianze, con L.A. Confidential, un film del 1997 tratto a sua volta da un romanzo noir. La trama, infatti, nella sua costruzione, mantiene le stesse fila della pellicola presentandoci un pacchetto variegato di detective alle prese con casi destinati a scuotere il mondo dorato di divi, sogni ed illusioni quale è Hollywood.

Esattamente come al cinema il personaggio principale di cui vestiremo quasi sempre i panni, l’investigatore Cole Phelps, manco a dirlo è la versione digitale del sergente Edmund Exley interpretato da Guy Pearce. Contraddistinto da un fortissimo senso del dovere, da un ferreo rispetto delle regole e da un’indole esternamente distaccata, Phelps deve invece fare i conti con una realtà a lui talmente ostile da finire per isolarlo, la realtà di una polizia distante dalla sua concezione di forza dell’ordine incorruttibile e senza macchia. Attorno a Phelps ruoteranno altri colleghi, opposti nel pensiero e nelle modalità d’azione, tra cui spiccano Roy Earle della narcotici e Jack Kelso, ex compagno di guerra sul fronte giapponese con il quale Phelps ha un rapporto di amore ed odio. Anche qui i collegamenti con L.A. Confidential sono evidenti dato che i due ricordano rispettivamente lo stravagante Kevin Spacey, nelle vesti del sergente Jack Vincennes, e Russell Crowe che nella parte dell’agente Bud White ricorda la sfrontatezza e la noncuranza delle autorità che Kelso mette nel suo modus operandi.

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La giocabilità, data la pochezza qualitativa delle alternative presenti, verte completamente sulla risoluzione dei casi che affronteremo lungo il gioco. Col protrarsi della storia essi diventeranno sempre più complessi così da rendere più corposa anche la fase investigativa. Inizialmente infatti ci limiteremo a raccogliere delle prove ed a fare gli interrogatori finali, più avanti invece dovremo districarci tra più indizi, testimonianze e luoghi. Il taccuino di Phelps, consultabile in qualsiasi momento, sarà il mezzo con cui tenere tutto sotto controllo dato che ogni cosa con cui ci imbatteremo, che sia una prova o un indirizzo, verrà prontamente annotata. Il raccoglimento degli indizi e gli interrogatori costituiscono, come già detto, la fase di ricerca. Una volta sulla scena del delitto saremo liberi di analizzare a piacimento l’ambiente circostante o le vittime presenti individuando più o meno indizi a seconda della nostra scrupolosità. Tramite il tasto apposito o la levetta dello stick analogico potremo inoltre indugiare su determinati indizi visivi così da studiarli con maggiore accuratezza. Per i neofiti è stato implementato un sistema di preavviso che diffonderà un particolare suono nelle vicinanze di possibili tracce da scovare. Il consiglio è quello di disattivare subito questa opzione così da gustarsi al meglio un gioco godibile fin da subito senza ulteriori aiuti.

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Si passa poi alla fase dialettica dell’inchiesta cercando di estrapolare preziose informazioni da testimoni o eventuali sospetti. Le domande da porre sono già presenti nel taccuino. In base alle risposte si prospetteranno tre possibilità: decidere di avvallare le dichiarazioni dell’interrogato, metterle in dubbio oppure non credergli affatto accusandolo di affermare il falso. Le espressioni facciali, per il quale s’è svolto un accuratissimo lavoro di motion capture sui volti di attori reali (risultato superiore a quello visto in Heavy Rain), dovranno darci delle indicazioni sulla natura delle risposte: a volte si noterà sfrontatezza, a volte insicurezza, distacco o nervosismo. Per ogni quesito posto c’è solo una risposta esatta ed alla fine del colloquio ne verrà decretato il buon esito o meno a seconda di quante repliche avremo azzeccato. Chiaramente, migliore sarà il nostro terzo grado, maggiore sarà la consistenza delle prove. Anche in questa sede saremo sempre accompagnati dal nostro taccuino, sempre a portata di mano per qualsiasi ragionamento o ripasso. C’è tuttavia un difetto, piuttosto grossolano, presente all’interno di questo tipo di indagine. A volte la sola messa in dubbio e l’accusare il falso sembrano sovrapporsi. Infatti spesso e volentieri Phelps, invece che limitarsi al solo dubitare in assenza di prove evidenti, inveisce contro il malcapitato di turno come se questo mentisse mandando all’aria parte, se non addirittura completamente, la riuscita dell’interrogatorio. Le conseguenze sono irritanti dato che in alcune situazioni non riusciremo ad ottenere informazioni importanti minando tutto il flusso delle indagini, mandandoci in confusione e rischiando di incriminare perfino la gente sbagliata pur avendo le prove giuste mentre in casi estremi, a me è capitato in una sola occasione, dovremo ripetere continuamente la stessa trafila solo perché Phelps non reagisce nella maniera desiderata. Questa lacuna mette quindi in risalto la necessità di un ventaglio di scelte che se fosse stato più ampio avrebbe sicuramente giovato rendendo più raffinata ed appagante una fase di gioco così importante. Con l’accumulo di reazioni esatte verranno accumulati i cosiddetti “punti intuito” spendibili a loro volta qualora volessimo togliere una delle possibilità sbagliate tra verità, dubbio e falso. Anche quest’opzione è oggettivamente inutile perché toglie credibilità alle indagini stesse nelle quali è molto più sensato andare fuori strada piuttosto che farsi aiutare dall’IA. Altra scelta opinabile è quella di permettere al giocatore di saltare un interrogatorio se ripetutamente non riesce a portarlo a buon fine.

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A differenza di Heavy Rain, dove il giocatore era elemento attivo nell’evoluzione della trama, in L.A. Noire siamo vincolati da un unico copione indipendentemente dalla nostra bravura. I salvataggi sono molto frequenti rendendo giocabili le varie parti di un caso solo mediante la modalità specifica. Ciò significa che l’imposizione voluta dall’alto sia stata quella di propendere per un percorso da seguire nel bene o nel male senza possibilità di rimediare agli errori rendendo così più realistico il tutto. Sotto il profilo della sceneggiatura va detto che il gioco stenta inizialmente a decollare mostrandosi piuttosto ripetitivo nella routine delitto/indagine/risoluzione. Fortunatamente la storia acquista progressivamente appeal dando ossigeno, ricorrendo anche al flashback e al racconto parallelo, ad un incedere per forza di cose meccanico e non adatto a tutti. Le missioni secondarie attivabili rispondendo via radio alle chiamate della centrale aggiungono davvero poco al resto. Stesso discorso per le rare fasi action presenti nella storia principale da cui derivano tra l’altro le stesse quest alternative. Parteciperemo ad inseguimenti, a piedi o meno, od a sparatorie dalla breve durata. Roba troppo inconsistente per costituire un vero diversivo. Non a caso, dopo l’uscita del gioco, sono stati pubblicati online nuovi casi da sbloccare previo pagamento nel PSN (nel caso della Playstation 3). L.A. Noire è quindi sì un titolo free-roaming per architettura formale (mappa, dialoghi, spostamenti) ma totalmente differente nel contenuto.

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Esteticamente è da lodare l’attenzione con cui i ragazzi del Team Bondi si sono prodigati nel ricreare costumi, design e infrastrutture ricostruendo il centro della Los Angeles del tempo. Le tinte tendenti generalmente al giallo richiamano invece i primi film a colori e la scelta è azzeccata in quanto va a creare un contrasto volutamente stridente tra l’apparente solarità di una città che nasconde invece vicende ben più torbide ed oscure. Addentrandoci nella realizzazione grafica spicca il tanto decantato Motion Scan ovvero la tecnica di motion capture facciale adottato per L.A. Noire. Curiosamente David Cage, creatore di Heavy Rain, ha criticato secondo me con cognizione di causa questo tipo di tecnica che privilegia le espressioni facciali a discapito però di quelle del corpo. Effettivamente avviene così nel senso che la mimica dei visi è così realistica (perfino i labiali corrispondono alle parole pronunciate) da fare sfigurare le animazioni del corpo, decisamente sconfitte nel confronto e all’apparenza quasi slegate. Per il resto il comparto grafico è leggermente inferiore rispetto agli ultimi standard a cui Rockstar c’ha abituato con Red Dead Redemption, proponendo un mondo comunque sufficientemente vivo e piacevole alla vista, probabilmente anche fin troppo considerato ciò che di fatto viene richiesto al giocatore che è portato a visitare la città nella sua ampiezza più per sfizio personale che per le scarne attività di contorno. Come è consuetudine per questo tipo di produzioni il livello dell’audio è buono. Una nota sul doppiaggio in inglese: i dialoghi sono ottimi, così come è onesta la scelta della lingua inglese in relazione alle dinamiche storico/cinematografiche ed ovviamente in relazione al Motion Scan. Per questo tipo di avventura, tuttavia, nella quale osservare le vicende in evoluzione diventa parte integrante del gameplay, un localizzazione in italiano anche del parlato forse non avrebbe guastato.


COMMENTO FINALE


"L.A. Noire è per sua natura un titolo non per tutti e basta già questa peculiarità per consigliarne l’acquisto alla luce dell’attuale panorama videoludico inflazionato da molti prodotti riconducibili però a quella manciata di generi canonici. Per certi versi ci troviamo infatti davanti ad una sorta di risposta moderna, con tutti i limiti e le semplificazioni del caso, alle amate avventure punta e clicca dove si è portati a setacciare l’ambiente circostante per trovare la chiave in grado di far procedere la storia. Al di là dei meriti va tuttavia detto che il gioco in questione non è esente da difetti quali un sistema dalle meccaniche a volte mal calibrate, un’offerta povera di alternative ed una cosmesi non esattamente al top, mimiche facciali escluse, ovviamente."