Da premettere che questa recensione viene elaborata dopo un’accurata sessione di partite all’arcade originale e subito messo a confronto con la conversione per Playstation 2.
Reduci dal successo avuto con la saga di Shenmue, Yu Suzuki e il suo team AM2, decide di non scogliere l’accoppiata vincente che li formava con la Criware, quindi l’intento di non cadere nell’errore commesso come su Virtua Fighter 3tb dal team Genki su Dreamcast.
Proprio dal Dreamcast parte il concepimento della conversione di VF4, decretato sin dall’inizio dai più scettici, una conversione impossibile data l’inferiorità hardware rispetto alla scheda NAOMI2 (3ml Vs. 10ml di poligoni al secondo).
Il progetto purtroppo fu arrestato in fase embrionale per mancanza di fondi, data la morte prematura del Dreamcast, ufficializzata nei due mesi successivi, Yu Suzuki si ritrova a dover scegliere la PS2 invece che l’ Xbox come madre del suo quarto figlio.
Virtua Fighter 4 come da tradizione inserisce i soliti due nuovi personaggi nello storico roster: Vanessa e Lei Fei e per la prima volta ne viene eliminato uno, il lottatore di Sumo Taka-Harashi. Il gioco orfano di una splendida introduzione iniziale di Lei Fei stile “Kata” (eliminata per la versione casalinga), amplia il parco mosse di tutti i lottatori e allo stesso tempo ne viene anche smussato di alcune tecniche viste nei vecchi capitoli, nota da menzionare è l’effetto stordimento creato con i colpi più
Il menù di selezione propone oltre ai soliti Arcade Mode, Versus e Training Mode, un’inedita quanto inutile Kumitè Mode, in cui si possono acquisire dei gradi di esperienza finalizzati esclusivamente al vanto personale (il Quest mode sarebbe arrivato con l’Evolution), fissando obbligatoriamente gli incontri a 6 round. Poi c’è la A.I. System Mode, utile a migliorare l’intelligenza artificiale di tutti i lottatori e per finire la possibilità di salvare i replay delle azioni finali con il Data File. Le musiche degli stage vengono ancora una volta stravolte, finalmente da strumenti acustici ed elettrici abbandonando i campionamenti degli episodi precedenti.
Il sistema impostato sulla parata-pugno-calcio, invariato, viene semplificato con l’eliminazione del quarto tasto per lo spostamento in profondità (acquisito in VF3), movimento sostituito dal semplice spostamento della leva verso l’alto o il basso a seconda delle direzioni.
Inutile accennare il gusto provato a giocarci con il Virtua Stick dedicato il quale porta
La Playstation 2 si difese con i denti per accollarsi un fardello del genere, anche perché gli ultimi titoli usciti all’epoca, tipo Tekken TAG e Street Fighter EX3, non potevano assolutamente reggere il confronto con un mostro sacro dell’innovazione grafica e di lì in avanti si sarebbe iniziato a sfruttare seriamente l’hardware Sony, detenendo il primato di visualizzazione a video dell’incredibile numero di poligoni come la cugina da sala (la PS2 può gestire fino a 66ml di P/s.), 60 frame al secondo animati egregiamente, la lucentezza delle texture risultano identiche, solo la fluidità delle collisioni però sono riprodotte in maniera un po’ discreta. Da notare anche la spigolatura dei personaggi dovuta alla riduzione dell’uso di Anti-Aliasing, dove risaltano maggiormente con il “Flash Mode” attivato.
I fondali, orfani delle innovazioni raggiunte nel terzo capitolo, rimangono comunque ben animati nel contesto e le collisioni sono ridotte al limite delle barriere out-ring; un bug visivo più evidente lo mostra il quadro di Pai che a mio parere presenta troppi effetti di luce riflessa nell’acquario.
Certo che di li a poco sarebbe arrivata puntuale la sua nemesi di sempre: Tekken 4 equipaggiato dal suo infinito arsenale longevico, ma quello che molti non hanno capito è che Virtua Fighter 4 è stato “l’ultimo” picchiaduro dallo stile puramente Arcade. Stile conservato sin dal primo capitolo con una caratteristica tecnica che si addice solo ai gamer più hardcore dal palato raffinato e dagli amanti delle simulazioni di lotta realistiche.
Pietrangelo "P.Min." Minelli