Dal canto loro, gli ideatori di Guilty Gear non potevano certamente perdere questa ghiotta occasione per imporre ad un titolo Capcom il proprio marchio di fabbrica, facendo ancora una volta delle lunghissime combo e di un comparto grafico in alta risoluzione i pilastri fondanti dell’intera opera. Proprio come nel precedente “Hokuto no Ken”, sviluppato per conto di Sega, ad un impianto ludico fondamentalmente fedele a sè stesso corrisponde l’introduzione di alcune novità in grado di aprire la strada a nuove e più complesse meccaniche di gioco. Il cambiamento di maggior rilievo risiede sicuramente nell’introduzione dei personaggi di supporto, di cui ogni
D’altronde, SBX è chiaramente un gioco dedicato agli smanettoni di vecchia data. Constatazione dovuta non tanto all’impianto grafico strettamente bidimensionale, quanto alla complessità raggiunta dall’esecuzione delle varie combo. Ottenere sequenze degne di nota coordinando fra loro più personaggi richiede infatti una perizia fuori dal comune, oltre che di lunghissime quanto intense sessioni di allenamento. Ed è proprio nel suo estremismo che il titolo della Capcom mostra tutti i sui limiti. Se infatti è pacifico che è proprio l’apprendimento delle tanto decantate combo a costituire l’ossatura di qualsiasi gioco targato ArcSys, è altrettanto vero che lo stesso discorso quando viene portato, come nella fattispecie, alle sue estreme conseguenze finisce col precludere al giocatore qualsiasi tipo di fruizione alternativa. In parole povere, SBX ammette un'unica impostazione di gioco: quella basata sulla
Tecnicamente parlando, dobbiamo ancora una volta fare gli elogi al prolifico team di Guilty Gear, che come da manuale ci propone una grafica interamente in alta risoluzione accompagnata dal solito campionario di effetti e schitarrate in puro stile heavy-metal. A donare al titolo una marcia in più ci pensa, inoltre, l’eccezionale character design, tratto logicamente a piè pari dalla serie di riferimento. Ognuno dei dodici combattenti presenti in questa edizione (due in più della versione arcade) ricalca infatti la figura di un noto samurai dell’epoca Sengoku, ovviamente riveduto e corretto in chiave decisamente più moderna. Impostazione che si riflette inevitabilmente anche sugli splendidi fondali, che riprendono alcune delle location più famose del Giappone feudale, dai templi di Kyoto all’imponente castello di Osaka. Il tutto raggiunge il proprio apice nello splendido filmato introduttivo, un vero e proprio “anime” di eccelsa fattura come raramente se ne vedono, non solo all’interno di un
Concludendo non posso che ribadire i grandi pregi del “primo” nuovo picchiaduro targato Capcom. Tecnica , giocabilità e spettacolarità al top non sono però sufficienti per farne un titolo da consigliarsi indistintamente a tutti. Decisamente adatto agli estremisti del genere e agli amanti della cultura nipponica, il titolo ArcSys rischia di lasciare parzialmente delusa l’utenza più morigerata. In mancanza di un compagno in carne ed ossa con il quale confrontarsi potrebbero infatti venire a mancare gli stimoli necessari all’apprendimento delle lunghissime e complicate combo; unica vera fonte di divertimento di tutto il gioco. Anche perché, persino con la cpu settata a livello massimo, la loro corretta esecuzione non risulta fondamentale ai fini del completamento della modalità single-player.
Nota: come al solito, il titolo Capcom risulta disponibile nella sola versione giapponese, continuando quell’assurda tradizione che vede questo genere di giochi ad esclusivo appannaggio del pubblico nipponico. Inoltre, allo stato attuale delle cose, appare quanto meno assurdo sperare in un ripensamento da parte della casa di Osaka, di certo non più propensa ad investire nella localizzazione di un titolo per la moribonda PS2.
Emiliano "MasterGen" Valori