Tra le trasposizioni videoludiche dei Power Rangers spicca quella per il Game Gear, console portatile della Sega, che nel 1994 ospitò l’omonimo gioco anticipando di un anno le conversioni per le piattaforme a 16 bit. La programmazione toccò alla Sims, da non confondere con il celebre The Sims, che all’epoca era una società mista nella quale Sega stessa e Sanritsu, altro publisher nipponico, collaboravano. L’avventura inizia proprio dove comincia la prima serie, mostrandoci la liberazione di Rita, con relativa sete di vendetta, e la scelta dei nostri eroi per volere di Zordon, il cosiddetto “capo dei buoni” a sua volta intrappolato da Rita tra due dimensioni. Passato il brevissimo intermezzo di presentazione, scegliamo il nostro ranger tra i cinque disponibili in presenza di Zordon e del suo assistente androide Alpha 5, per poi essere buttati immediatamente nella mischia.
Ogni protagonista, caratterizzato da un diverso colore, differisce per armi e mosse, anche se in realtà l’esecuzione delle stesse fatta dalle classiche mezzelune è molto simile, standardizzando un po’ il tutto. I combattimenti si dipanano attraverso una via di mezzo tra il picchiaduro a scorrimento e quello ad incontri, con una netta preponderanza del secondo. Seguendo una sequenza regolare, in attinenza con la serie, in ogni stage affrontiamo prima gli stupidi putty e successivamente, da soli e poi con Megazord, il boss del livello. Gli scontri sono molto frenetici ma al contempo lineari quanto lo sono i comandi base (calcio, pugno, salto) fortunatamente reattivi al punto giusto. La giocabilità è molto leggera quanto buona. La ripetizione di fondo viene infatti ottimamente attenuata da rapidi duelli che fanno del tempismo la loro forza. MMPR non è quindi un titolo tecnico e, per quanto ritmato dai duelli ad incontri, richiede più che altro i riflessi e la memorizzazione propria di un beat'em up orizzontale.
La parte inerente gli stupidi scagnozzi di Rita, ovvero i putty, è quasi simbolica, in quanto sono sgominabili con un sol tocco o poco più. Il succo del gameplay verte quindi sui boss, diversificati e caratterizzati discretamente in modo da offrire una buona sfida, destinata però a spegnersi con la fine del gioco. Esauriti i sette livelli, infatti, l’incentivo a rigiocare l’avventura è veramente minimo, anche a livelli di difficoltà maggiori. Come già detto, per quanto dignitoso il gameplay proposto è fin troppo ancorato alla ripetitività della serie tv, che nel riproporre la catena putty-boss-putty-boss vanifica l’utilità di ben sei personaggi di cui uno neanche tanto segreto, utilizzabile da metà avventura in poi. Sarebbe stato forse più saggio realizzare un classicissimo picchiaduro ad incontri ma almeno dotato di finali e combattenti maggiormente diversificati, che giustificassero l’esperienza globale. Interpretare gli eroi del momento era esaltante e molto divertente con gli occhi di un bambino. Esauritasi questa sfumatura, tuttavia, non rimane molto altro su cui soffermarsi. Viene da mangiarsi un po’ le mani, alla luce delle qualità espresse dal gioco, ma purtroppo le logiche commerciali hanno oppresso quella che poteva rivelarsi una piacevole sorpresa per il parco titoli del portatile Sega.
Graficamente il gioco è brillante. Aumenta di conseguenza la frustrazione nel non avere tra le mani il tie-in che poteva essere, anche in relazione al fatto che ottenere qualcosa di divertente da una console handheld non è assolutamente facile come sembra e quando ci si riesce significa che si è compiuta una piccola impresa.
Ritornando all’analisi, si nota una estesa cura figurativa nella quale spiccano i personaggi, disegnati e animati davvero bene senza mostrare alcun tipo di rallentamento. Le componenti visive si incastrano a meraviglia riuscendo a far coesistere una palette di tinte vivaci e fredde. Gli sfondi sono altrettanto ispirati anche se il dettaglio dei combattenti rimane il piatto forte della casa insieme alle scenette di intermezzo, tanto belle da vedere quanto fugaci. Anche la componente sonora dice la sua, accompagnando gli scontri con motivetti orecchiabili che, pur non scampando alla stretta ciclicità imposta, traggono beneficio dall’assecondare il ritmo di un gioco concepito per vivere intensamente nella brevità. Non si poteva invece chiedere di più dai singoli effetti audio, funzionali quanto basta.