Le vicende utilizzate dalla Capcom per realizzare questo “bizzarro” picchiaduro sono quelle narrate nella terza serie, sicuramente la più innovativa e di maggior successo. Quest’ultima deve buona parte delle proprie fortune all’introduzione degli “stand”: una sorta di emanazione spirituale in grado di materializzarsi e combattere utilizzando terrificanti poteri. Logicamente solo pochissimi eletti sono in grado di controllarne uno, e tra questi spicca certamente la figura del nostro giovane eroe: Jotaro Kujo, nipote del protagonista della seconda serie Joseph Joestar, nonché possessore del fortissimo stand “Star Platinum”.
Jotaro e Joseph, con il fondamentale aiuto di altri compagni, dovranno quindi localizzare ed eliminare Dio Brando, prima che il malvagio influsso di quest’ultimo finisca con l’uccidere la povera madre del ragazzo. Ovviamente il vampiro non se ne starà con le mani in mano ad aspettare la propria fine, ma cercherà di ostacolare il cammino dei nostri eroi con ogni mezzo. Inizialmente utilizzando altri possessori di stand, e successivamente ricorrendo ai suoi stessi micidiali poteri, fra cui si cela uno stand all’apparenza invincibile. Questa la storia per sommi capi. Per quanto riguarda il gioco ci troviamo di fronte all’ennesimo picchiaduro bidimensionale della Capcom, genere che in quel periodo aveva praticamente finito col monopolizzare l’intera produzione della software house nipponica.
Tecnicamente parlando JoJo fu uno dei primi coin-op a sfruttare l’allora neonata scheda CPS3, anche se possiamo dire fin da subito che la resa grafica non si avvicina minimamente ai fasti che tale hardware riuscì ad offrire con giochi del calibro di Street Fighter III o Warzard.
Da una semplice analisi sulla qualità di sprites e fondali si potrebbe persino credere che il tutto giri su di una ben meno performante CPS2. L’unico particolare che ci lascia intravedere la verità è la presenza in contemporanea sullo schermo di quattro combattenti. In JoJo ci sarà infatti possibile controllare sia il nostro personaggio che il suo stand, passando comodamente da una modalità all’altra con la semplice pressione di un pulsante. Nel primo caso il gioco non si discosterà poi molto dagli altri prodotti dello stesso genere. Con il nostro alter ego intento a sferrare in prima persona calci e pugni e a subire direttamente tutti gli eventuali danni. In questa modalità il nostro stand entrerà momentaneamente in azione solamente durante l’esecuzione delle mosse speciali o delle immancabili quanto spettacolari super, ma non potrà essere danneggiato in alcuna maniera. La seconda modalità prevede invece la presenza in pianta stabile dello stand subito di fronte al nostro personaggio, del quale andrà a ricalcare come un’ombra tutte le mosse. I principali vantaggi che ricaviamo da questa scelta risiedono nel sostanziale potenziamento di quasi tutte le mosse e nella totale eliminazione dei danni da parata. A controbilanciare il tutto ci pensa invece una seconda life-bar, che trova la sua collocazione immediatamente sotto la prima, ed il cui scopo è quello d’indicare la salute del nostro stand. Quando in seguito ai colpi ricevuti quest’ultimo avrà esaurito la propria energia, non solo diverrà inutilizzabile per qualche tempo, ma la sua subitanea sparizione lascerà il nostro personaggio in momentanea balia dei colpi avversari, come nel più classico dei guard-break.
Parlando più in generale del gameplay c’è da dire che JoJo si discosta non poco dal classico stile Capcom. Infatti, oltre alla novità rappresentata dallo stand, si assiste alla riduzione dei tasti utilizzati da sei a quattro (di cui solo tre deputati agli attacchi). Mentre le rapide combo e le animazioni leggermente scattose ricordano più Guilty Gear (uscito in quello stesso anno) che uno dei tanti Street Fighter. Il tutto si mantiene comunque su livelli di assoluta qualità: ottime le collisioni e la risposta ai comandi, mentre il divertimento non latita di certo. Un ulteriore elogio la merita sicuramente l’utilizzo intelligente che occorre fare dello stand, che dona al titolo quel pizzico di strategia capace di affascinare anche l’utenza più smaliziata.
Come già accennato in precedenza l’aspetto tecnico di JoJo non fa certamente gridare al miracolo, e onestamente parlando da un gioco per CPS3 era lecito aspettarsi qualcosa di più. C’è però da dire che il particolarissimo stile grafico di Araki, come le stesse atmosfere “barocche” del manga, vengono qui riproposte in maniera più che fedele. Aspetto che saprà sicuramente fare la felicità dei numerosi estimatori del fumetto. Volendo scendere nei particolari di questa versione Dreamcast è anche possibile notare un leggerissimo calo nella qualità degli sprites rispetto alla controparte arcade. Cosa difficile da giustificare alla luce delle comprovate qualità del Dreamcast in fatto di grafica bidimensionale. Dal punto di vista del sonoro abbiamo invece degli effetti veramente ben realizzati, come ad esempio il famoso “HORA-HORA” di Jotaro, che si sovrappongono ad una colonna sonora dignitosa ma che non regala momenti particolarmente esaltanti.
Un’ultima nota positiva è rappresentata dalla presenza sul GD-Rom di due distinte versioni del gioco: L’originale del 98, che prende il nome di “JoJo’s Venture”, e quella ampliata dell’anno successivo, chiamata invece “JoJo's Bizarre Adventure : Heritage for the Future” (qui ribattezzata semplicemente JoJo Bizarre Adventure). Le differenze fra le due risiedono principalmente nel numero di personaggi selezionabili (10 contro 16) e in alcuni piccoli accorgimenti di carattere grafico. Entrambe metteranno però a disposizione uno story mode, che ricalca abbastanza fedelmente le vicende del manga, nonché le classiche modalità survival, versus, e training.
Emiliano "MasterGen" Valori