Shantae and the Pirate’s CurseAre Shantae è una bellissima mezzo genio (mamma genio e papà umano) protettrice di Scuttle Town, ridente cittadina sul mare. Ma dall’ultima avventura la povera Shantae ha perso anche quei mezzi poteri da genio che le erano rimasti a causa di una maledizione lanciatale da Risky Boots, sua acerrima nemica. Da nemica, però, Risky Boots, diventerà la grande alleata di Shantae, perché lo spirito di un leggendario pirata malvagio sta per tornare e non basterà la buona volontà della nostra mezzo genio per combattere questo nuovo male.

Wayforward continua la saga della bella Shantae, nata sul mitico Gameboy Color agli inizi degli anni ’90, con questo terzo capitolo sempre sulla strada dello spiccato gusto retrò, immergendo il giocatore in un simpatico e allegro action platform 2D che attinge a piene mani da mostri sacri come Wonderboy III The Dragon’s Trap, Zelda e Metroid. Ed è solo un bene.

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Genio senza genio

La bella Shantae salta, balla e usa i suoi folti capelli per dare mazzate assortite. Ma nelle prime battute non sarà una passeggiata. Infatti, come in ogni action adventure che si rispetti, all’inizio il nostro alter ego sarà poco più che un genio dilettante complice anche l’escamotage narrativo inserito in questo capitolo atto a far cambiare il gameplay e la varietà del gioco rispetto ai capitoli precedenti: proprio come in Wonder Boy III la bella Shantae acquisiva via via la possibilità di trasformarsi in vari animali per raggiungere zone altrimenti inaccessibili complici i suoi mezzi poteri da genio. Privare lei di questi poteri ha portato alla sostituzione di questi ultimi con tutta una serie di equipaggiamenti pirateschi che stuzzicano la fantasia del giocatore spingendolo ad usarli nei modi più disparati proprio per raggiungere zone inaccessibili o scovare i collezionabili che in questo caso sono i Calamacuori, piccoli e innocenti calamari rossi che impacchettati a 4 alla volta permettono di avere cuori extra: chiamiamolo anche un buon tributo a The Legend of Zelda, e l’extra costituito dai Tinkerbat malvagi, prede segrete che permettono di completare il gioco al 100%.

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Un’altra variabile rispetto ai capitoli precedenti e i vari mostri sacri di questo genere consiste nell’aver diviso la mappa in tanti piccole isole piuttosto che avere un solo mondo dove vagare avanti e indietro. Scuttle island farà sia da hub che da primo stage, dopodiché si passerà ai vari mondi successivi in modo progressivo grazie a Risky Boots e la sua nave. In ogni isola avremo modo di sperimentare il nuovo equipaggiamento che il boss di turno ci ha elargito dopo averlo sconfitto.

E che dire della base di rpg implementata dai Wayfoward: ad ogni colpo inferto al nemico vedremo stampato a schermo il suo valore. All’inizio i capelli di Shantae infliggeranno pochi danni, ma grazie al recupero delle gemme durante l’avventura, avremo modo di migliorare armi e mosse comprando upgrade nei negozietti di Scuttle Island. La bravura dei programmatori è stata proprio aver raggiunto un perfetto mix tra attenzione al salto tipico dei platform a una gestione più intelligente dell’inventario e delle abilità acquisite nelle fasi finali condendo tutto con un livello di difficoltà mai ostico, ma che mette il giocatore sempre nella condizione di costante attenzione. Inoltre il backtracking tipico degli action adventure risulta piacevole e mai frustrante anzi si amalgama bene nell’economia del gioco esaltando anche l’ottimo lavoro di level design. Il gioco, purtroppo lo si gioca troppo bene, tanto bene che ci basteranno circa una decina di ore per finirlo. E lo finirete in fretta: sarete curiosi di scoprire cosa celerà la prossima isola, quali personaggi strambi incontrerà la piccola Shantae. Qualche ora in più non avrebbe guastato.

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Geni pixellosi


La simpatica Shantae ci prende per mano e ci accompagna in un mondo fatto di pixel, colori e allegria. La prima cosa che balza all’occhio è proprio l’aspetto estetico: se il giocatore moderno e giuovane (si proprio tu che guardi con aria schifata pensando all’ennesimo Assassin’s Creed o COD) non si sorprenderà più di tanto, anzi ignorerà l’opera di Wayfoward come si ignora una scatola di tonno vuota per strada, il veterano giocatore delle console anni ’90 non potrà che lasciare una lacrimuccia sul bellissimo lavoro di pixel art svolto dai programmatori. E apprezzarlo.

Tutto l’aspetto tecnico in questo Shantae trasuda retrogaming. Gli scenari sono disegnati splendidamente e spaziano da bellissime isole arabeggianti a zone innevate a deserti, toccando tutti i cliché delle produzioni dell’epoca. Anche le animazioni della protagonista e dei vari nemici sono simpatiche e ben realizzate. Il tocco in più arriva anche dai disegni che fanno da contorno ai dialoghi realizzati con cura con il tratto tipico da anime giapponese. Un piccolo appunto che noterà solo chi ha giocato agli episodi precedenti: i programmatori, forse per far fronte al basso budget, hanno riciclato un bel po’ di nemici.

Menzione d’onore va al sonoro: il lavoro dell’ecclettico Jake Kaufman (che ha curato la colonna sonora di un certo Shovel Knight) si presenta originale e sopra le righe, ma mai fuori luogo, donando all’avventura di Shantae un tocco di personalità e colore che poche volte si trovano in queste produzioni.


Note sulle versioni

Shantae and the Pirate’s Curse arrivò nel 2014 per 3DS e WiiU e PC, per poi fare la sua comparsa su PS4, XBoxONE solo nel 2016 e successivamente abbracciare Nintendo Switch. La versione 3DS ha la particolarità di avere un leggero ma gradevole effetto 3D che dona giusto un tocco di parallasse allo scenario. L’inventario è gestito nello schermo inferiore. Stessa cosa per la WiiU dove il gamepad può essere usato anche come piccola console sulla quale giocare. Il vantaggio della versione WiiU è la presenza di sprite in alta definizione. Anche PC e le console Next-Gen possono vantare gli sprite in alta definizione ma con la gestione dell’inventario più classica. Nessuna versione è preferibile.

COMMENTO FINALE


"Shantae ci rapisce con la sua bellezza, il suo sorriso e la sua simpatia. Ci prende per mano e ci porta in una piccola avventura pixellosa dove platform, avventura e mistero e un pizzico di rpg si fondono insieme in un perfetto equilibrio che apprezzeremo così tanto che una volta affezionatoci sarà subito il momento di dirle addio leggendo i titoli di coda. Consigliato ai retrogiocatori e chi ne capisce di videogame. "