Senza dubbio Psychonauts, l'opera prima della Double Fine, lo studio fondato da Tim Schafer dopo la separazione da LucasArts, rientra in pieno nella categoria: rallentato per anni da difficoltà produttive, flop disastroso di vendite... eppure, quei pochi che l'hanno provato non hanno perso tempo nel definirlo un'esperienza unica e diversa da quanto visto fino allora. A differenza dei titoli sopracitati, però, l'avvento della distribuzione digitale è stato molto favorevole al gioco, che su piattaforme quali Steam e offerte come l'Humble Indie Bundle ha trovato nuova vita; per non parlare di quel fanfarone di Notch (il creatore di Minecraft) e il suo annuncio di voler raccogliere fondi per produrne un seguito, poi rivelatosi uno scherzo (o no?), ma che comunque ha rivitalizzato l’interesse nel brand. Grazie al succitato Bundle ho avuto modo di acquistare la versione PC del titolo (quella ottimizzata per Steam), così a breve scoprirete se merita tutti gli elogi di cui è stato riempito sulla rete nel corso degli anni dal 2005 a oggi.
Fenomeni paranormali controllabili
Che fare quando sei un acrobata e tuo padre vuole impedirti di coltivare i poteri psichici che hai da poco scoperto di avere? Che domande, scappi dal circo e ti unisci di straforo a un campeggio governativo dove bambini di ogni dove vengono allenati a sviluppare le loro potenzialità per diventare “Psychonauts”! Questa è la storia di Razputin Aquato, detto Raz, il nostro avatar nel gioco. Una volta varcata la soglia di Camp Whispering Rock, Raz si trova ad affrontare quello che è in larga parte un platform d'azione, con un minimo sindacale di elementi adventure (del resto l'ha creato Tim “Grim Fandango” Schafer, mica bruscoli) e una spruzzata di RPG. Per far avverare il suo sogno di diventare Psiconauta (perdonate la mia italianizzazione improvvisata), Raz ha però davvero poco tempo: il padre è stato avvertito e sta venendo a riprenderselo! Per sua fortuna, comunque, gli agenti governativi che tengono i corsi scoprono che i suoi poteri latenti si trovano in un ESPer su un milione, per cui decidono di sottoporlo a una versione super-accelerata delle prove normalmente affrontate dai campeggiatori. Durante l’allenamento però il nostro scoprirà persino un complotto per sfruttare i poteri dei giovani in modo decisamente più sinistro, impiantando i loro cervelli su macchine da guerra.
OK, questa è la parte della recensione dove elenco tutti i cliché del titolo, a partire dal protagonista prescelto inconsapevole che deve salvare il mondo. Per riuscire nel suo intento, Raz deve rastrellare in lungo e in largo il campeggio raccogliendo centinaia e centinaia di oggetti collezionabili, allo scopo di sbloccare nuove abilità e sotto-missioni, il tutto per il fine ultimo di ottenere gradi da Psychonaut e sviluppare i poteri latenti, il tutto in un tipico ambiente da platform tridimensionale con momentanei errori di telecamera e alcune sezioni in cui i salti rappresenteranno l’aspetto più problematico.
Stop. La parte si è già conclusa. Se di base il titolo non sembra diverso dalle orde di giochi a piattaforme che infestavano le console di quella generazione (e di certo la scarsa o nulla potenza promozionale di un publisher di terza categoria come Majesco non ha aiutato gli acquirenti a cambiare idea), la genialità/follia di Schafer ha sovvertito ogni aspettativa. Se è vero che per la maggior parte l’avventura si svolge in un campeggio, che comunque già come “hub” non è minuscolo, va detto che, in quanto psichici, Raz e i suoi compagni svolgeranno il loro addestramento nelle menti dei loro istruttori (e non solo)! E qui si rivela ciò che ha fatto del titolo un oggetto di culto: i paesaggi mentali di tutti coloro che incontreremo portano alle stelle la natura già umoristica e surreale del gioco, fornendo inoltre interpretazioni argute ed esilaranti di diverse patologie mentali.
Qualche esempio: il razionale e teutonico agente Sasha Nein non potrà che avere una mente a forma di cubo ricoperto di fregi geometrici in bianco e nero, popolata di “censori” pronti a sopprimere qualunque pensiero estraneo; la sua collega, la dolce e spumeggiante Milla Vodello, invece ha trasformato il suo inconscio in un gigantesco disco-party stile anni ‘70. Più Raz riuscirà a penetrare nel fitto del piano malvagio, più gli incontri si faranno bizzarri, e altrettanto lo saranno i paesaggi dei possessori delle menti in cui entreremo. Si va da un uomo affetto dal complesso di Napoleone, che dovremo salvare diventando “pedine” in un enorme board game strategico, per battersi contro l’imperatore corso in persona, a quello che forse è il livello più celebre e celebrato del gioco: la “Cospirazione del Lattaio”. La schizofrenia paranoide del guardiano di un manicomio viene rappresentata come un sobborgo americano anni ’50… dalla geometria impossibile, con telecamere e spie in ogni dove e popolato da agenti segreti (malamente) travestiti da persone comuni!
Questione di stile
Ogni livello mentale del gioco è una storia a sé: sulla base della tipica struttura piattaformica sono innestate ogni volta nuove meccaniche e traguardi da raggiungere in maniera sempre diversa, senza contare il fatto che sono ottimizzati per fare da palestra per i vari poteri che andremo di volta in volta a sbloccare (telecinesi, pirocinesi, chiaroveggenza, invisibilità…), i quali possono essere attribuiti a tre pulsanti distinti, da mappare come si preferisce.
Le abilità sono tante e variegate, e il bello del gioco sta nel fatto che imparare ad amministrarle dopo la fase introduttiva non sembrerà mai un tutorial appiccicato in qualche modo all’impianto platform, ma risulterà tutto sempre diegetico all’ambientazione e alla storia (questo vale anche per altri aspetti tipici dei giochi a piattaforme: perché Raz corre sulle corde sospese senza problemi? Facile, è un acrobata di circo! Perché non può nuotare? La sua famiglia è soggetta a una maledizione gitana che li costringe all’annegamento!); tuttavia, nel tentativo di proporre ogni volta qualcosa di differente e mai visto, alle volte si va a discapito della giocabilità. Per fare un esempio, la lotta subacquea contro un enorme pesce mutante crea problemi quando bisogna stare all’interno di una bolla d’aria che si sposta continuamente, ma la telecamera è spesso posta ad angolazioni impossibili che rendono scomodo l’orientarsi per seguire i frenetici spostamenti della già piccola area sicura. Fortunatamente, la riedizione del gioco per Steam è provvista di una patch la quale rende possibile riaffrontare all’infinito alcuni passaggi (compreso il livello finale, incredibilmente frustrante), eliminando quasi del tutto l’ormai obsoleto concetto delle vite extra… ma, d’altro canto, la stessa patch rende ancora più semplice un titolo che già in partenza non rappresentava una sfida insormontabile.
Parliamo di giocabilità e longevità, ma va detto che chi gioca a Psychonauts lo fa non tanto per il gioco in sé, quanto per l’esperienza che rappresenta. Schafer e i suoi sono riusciti a creare una carrellata di personaggi memorabili: sia per quanto riguarda i buoni, come l’anziano tuttofare del campeggio Ford Cruller (all’apparenza un vecchio ubiquo e rimbecillito, in realtà uno psichico di altissimo livello, sofferente di personalità multiple –altra patologia!- che ha costruito la sua base ultra-tecnologica al di sotto del campeggio in modo da raggiungere all’istante ogni area!), sia i cattivi, come lo sghignazzante scienziato pazzo Dott. Loboto, dentista prestato alla neurochirurgia. Ma tutti in realtà restano impressi nella memoria, questo anche grazie alle centinaia e centinaia di linee di dialogo (il più delle volte esilaranti) doppiate da alcune celebri voci della TV statunitense. Praticamente ogni interazione e ogni oggetto mostrato ai NPC genera una risposta differente, e in certi casi più d’una, un ottimo modo per dare una personalità a tutti coloro che incontriamo e dare più consistenza al folle mondo in cui Raz vive. A proposito di animazione statunitense, anche chi non ha mai provato il titolo si accorge dello stile molto peculiare dei modelli di tutti i personaggi, estremamente stilizzati e anche un po’ grotteschi (a me personalmente ricordano un po’ l’adattamento animato del film di Burton Beetlejuice): una scelta che può infastidire chi ama proporzioni più realistiche, ma che (oltre a rappresentare un vantaggio per la conta dei poligoni, che nel 2005 non poteva essere alta quanto oggi) si adatta perfettamente all’atmosfera da sogno/incubo che permea tutto quanto.
In effetti l’intero gioco si tiene in sottile equilibrio tra comicità e dramma: certo, le battute e situazioni demenziali non mancheranno mai (parliamo di un titolo dove il “bagaglio emotivo” è rappresentato da letterali bauli con occhi e bocca!), ma rimane sempre una storia che parla di malattie mentali, in cui si penetra senza troppi complimenti nell’inconscio altrui e si scoprono conflitti interiori, traumi sepolti da tempo e segreti inconfessabili (molto peggio di Inception, quindi) e la base di tutto sta nei conflitti inespressi tra genitori e figli. Per non parlare dei due cheerleader sempre presi dai loro tentativi di suicidio…
D’accordo, in questa recensione non si è parlato molto del gioco in sé, ma il fatto è che non c’è moltissimo da dire: Psychonauts non ambisce certo ad essere un platform rivoluzionario, i suoi scopi principali sono narrare una storia e farlo divertendoci, e direi che sono stati pienamente raggiunti. A completare il tutto i FMV e gli slideshow che appariranno in punti determinati della storia o che potremo raccogliere cercando negli anfratti delle varie menti, e ci aiuteranno a scoprire qualcosa di più su tutti i personaggi principali, rendendoli più simili a persone vere con una storia personale che a figurine bidimensionali. Da questo punto di vista Schafer si riconferma un ottimo narratore.