Turok CoverMa se nella tua carriera hai fatto solo NHL ed NBA, perché vuoi occuparti di un FPS? E soprattutto chi è il folle che te ne dà la possibilità?

Propaganda Games. Il nome dello sviluppatore del reboot di Turok è orribile, punto e basta, ma l'abbiamo avuto in giro per poco tempo: primo gioco pubblicato nel 2008 (il titolo in questione), il secondo ed ultimo nel 2010. Fine.
Eppure era una compagnia nata sotto buoni auspici, come una reunion di talenti di spicco del panorama videoludico, tutti esuli della Electronic Arts che hanno griffato alcuni tra i più remunerativi successi del colosso americano, a partire da varie saghe sportive con poche e non sempre felici esperienze alternative all'interno della stessa softco. La gratificazione economica non dev'esser mancata nel corso degli anni, ma qualcosa, forse la voglia di una nuova avventura, ha spinto questi individui ad abbandonare la gabbia dorata della EA per rincorrere un futuro più loro, più creativo, forti della notevole reputazione acquisita. Impensabile andare allo sbaraglio, era necessario stringere accordi con un publisher di riferimento che venne trovato nella Walt Disney, alla quale proporre i loro progetti. E la stessa, guarda caso, stava proprio guardandosi attorno per scegliere un team di ragazzotti adatto a far fruttare una licenza acquisita nel 2005: quella di Turok.

Il primo, sottotitolato Dinosaur Hunter, fu una vera manna per la sua piattaforma di esordio, il Nintendo 64, che aveva un legittimo bisogno di titoli di forte impatto tecnico per esasperare la supremazia tecnologica su Playstation e Saturn. Era il Febbraio del 1997 e Goldeneye 007 era distante ancora un lungo semestre, ma quel che riuscì ad archiviare la Iguana fu comunque un gran colpo. Prima di qualsiasi merito ludico, di Turok faceva impressione la grafica: aggiornamento dello schermo fluido, animazioni curate e credibili e texture morbidissime grazie al bilinear filtering nelle corde della console. E poi quella famosa nebbia che, in tutta franchezza, era bad clipping solo per chi ne capiva di videogiochi ed invece un'iniezione di atmosfera per il restante popolo. Per il resto, non c'erano altri aspetti straordinari ad eccezione di qualche arma suggestiva, dato che tutto il resto del gioco verteva attorno alla ricerca di chiavi e locazioni segrete per avanzare di livello in livello. La claustrofobia, in special modo in alcune mappe, era feroce e bisognava persino fare i conti con impegnative successioni di salti che, nel tentativo di recuperare energia o una vita, finivano spesso per condurci a morte istantanea. Era palpabile, tuttavia, la sensazione di smarrimento del trovarsi in una terra magica a spasso per differenti dimensioni temporali. Già, perché Turok non è un guerriero qualunque: discendente di una nobile tribù di pellerossa, la sua famiglia si è in ogni era occupata di preservare le regole dell'universo. Con un diverso bilanciamento delle parti, questi elementi sono stati mantenuti in tutti gli episodi del brand sotto l'etichetta Acclaim, ma la cosa evidentemente proprio non piaceva alla Propaganda Games: meglio infilarci un po' di sana ignoranza hollywoodiana.

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Non fate arrabbiare il soldato Turok, signori. Come egli stesso ci tiene a sottolineare ad ogni piè sospinto, è orgoglioso delle sue origini perché “un soldato ascolta il suo capo, un guerriero ascolta il suo cuore”. Yeah!
Fatto sta che rimane pur sempre un soldato, ma di illustre carriera visti i trascorsi nello Wolf Pack, unità per operazioni segrete ed ultradelicate che lo hanno provato ma forgiato, affinando le sue arti della lotta con o senza armi. Nella Compagnia Whiskey nella quale attualmente milita sembra quasi un campione circondato da brocchi decerebrati, infatti i suoi commilitoni sono a disagio con la sua natura di macchina da guerra ma buona (“I'm a real american”...), ma non temete, perché proprio quando la sua popolarità sarà al minimo avrà l'occasione per riscattarsi. Sì, perché qui il passato ritorna e Turok dovrà affrontare il suo vecchio capo nello Wolf Pack, ormai un pericoloso dissidente che tiene sotto controllo le forze di difesa di un pianeta sul quale la Compagnia Whiskey è diretta. E siccome stavano approcciando il pianeta con la leggerezza di chi va a farsi una passeggiata in spiaggia vengono fulminati da un bel missile con conseguente precipitazione della nave, morte di alcuni soldati e panico generale. Con una bella dose di fortuna, la caduta avviene proprio nel territorio della missione, ma da qui si dovrà pensare a riunirsi con i compagni e, con tutto il rispetto per i compiti assegnati, trovare un altro mezzo per lasciare il pianeta. Chissà se i nostri eroi incroceranno comunque il vecchio capo di Turok... Quel che troveranno di sicuro, e da subito, è una bella sfilata di dinosauri di tutte le specie: grandi, piccoli, carnivori ed erbivori, ma occhio perché anche i più mansueti, se importunati, ve la faranno pagare.

E poi? Dove incontreremo le Lost Lands dei vecchi Turok? E i portali temporali? Le armi fantasy dove sono? Meglio cominciare dalle dichiarazioni di uno degli sviluppatori, rilasciate pochi mesi prima della pubblicazione del gioco: “La maniera in cui abbiamo guardato a questo nuovo gioco è stata quella di cercare di fare un film che la gente potesse trovare pieno di emozioni, senza lasciarla andare via alla fine ridendo. Voglio dire, se prendi uno dei vecchi giochi, soprattutto Turok 2, sono come il film di Mario. Non puoi prenderlo seriamente! Se Turok 2 fosse stato un film me ne sarei andato dal cinema a metà.”. Parole di Josh Holmes, colui che prima di questo titolo si era occupato delle serie NHL, Triple Play e NBA per Electronic Arts. Ma l'avrà giocato Turok 2?
Tradotto in semantica videoludica, il discorso di Holmes significa abbracciare in pieno le regole del mass market, trasformare Turok in un FPS ordinario ed il protagonista nel banale eroe incompreso. Non solo: nel tentativo di non deludere i giocatori più impediti, è stato azzerato il fattore esplorativo, ripiegando su mappe perfettamente lineari, implementando l'indicatore della direzione da seguire in ogni minimo momento di incertezza ed eliminando il contatore dell'energia. Turok, infatti, ogni volta che verrà colpito soffrirà di un campo visivo gradualmente più rosso che, dopo una serie di colpi ripetuti, lo diventerà completamente con la morte del protagonista, ma basterà sottrarsi per pochi attimi al fuoco per riacquistare piena salute. Un miracolo che si compie di continuo e senza alcun supporto narrativo, che farà anche tanto bene alla continuità del gameplay ma che di sicuro sega le gambe a coinvolgimento e qualità della sfida. Solo qualità, attenzione, perché questo non è un videogioco molto più semplice di tanti altri della stessa generazione, con un paio di livelli tosti, anche se principalmente a causa di checkpoint troppo distanti (non è possibile, infatti, salvare la partita quando si vuole). Per compensare, però, c'è un'ammirevole deficienza artificiale: per stessa ammissione sempre di Josh Holmes, umani e dinosauri godono di routine di comportamento curate alla stessa maniera, ma forse intendeva che sono stupidi nella medesima misura! Se magari può essere accettabile osservare un dinosauro che se ne va a zonzo per farfalle nel bel mezzo di un conflitto, ciò è meno comprensibile per i soldati avversari, a volte letali, molto più spesso neppure capaci di nascondersi efficacemente dietro una cassa. La lunghezza non è particolarmente encomiabile considerando la durata media piuttosto contenuta dei quattordici livelli presenti, ma ci manteniamo sopra la soglia della sufficienza.

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Gli scontri sono prevalentemente scriptati e la maniera di affrontarli viene suggerita così sfacciatamente al giocatore che pare un'offesa verso le sue capacità cognitive. Il modello comportamentale dei soldati è presto detto: o avanzano dritti verso di voi sparando l'impossibile o si nasconderanno dietro qualcosa (lasciando scoperta comunque parte del corpo, spesso addirittura la testa) per tornare a passeggiare in bella vista pochi secondi dopo. Considerata la situazione, alla Propaganda hanno pensato di puntare sulla quantità di avversari, i quali incassano pure diversi colpi prima di morire, che vengono portati ad ondate sull'area di gioco da elicotteri. Oltre alla diversa arma con cui è equipaggiato, ogni soldato è identico all'altro se non per dettagli del modello poligonale.
Meglio con i dinosauri, il cui atteggiamento imprudente non lede l'atmosfera, anzi, incutono un timore genuino in virtù della loro iperaggressività, in quanto tendono ad attaccare senza tentennamenti pericolosamente e furiosamente. Sinceramente godibili sono i frangenti in cui gli scenari di gioco si riempiono di soldati, dinosauri e magari qualcuno della nostra Compagnia Whiskey con un fuoco disordinato che ricorda uno spontaneo deathmatch.
Affiora di tanto in tanto una sottile vena horror, soprattutto quando siamo costretti ad infilarci in cunicoli sotterranei e bui dove prende forma la sagra dei cliché del cinema di categoria con crolli improvvisi di pareti, mostri che spuntano dal terreno, agguati truffaldini. Tutto troppo scontato per impressionare.
Il problema al cuore della giocabilità è che la scelta di disfarsi del tour temporale degli episodi precedenti, tanto quanto delle altre trovate fantasy, hanno reso questo Turok un videogioco monocorde. Aldilà dell'alternanza di scontri con soldati e dinosauri non c'è altro: mai una trovata estrosa, un colpo di scena, un cambio di ritmo. In un panorama che trabocca di esponenti, la Propaganda, con la colpevole complicità della Walt Disney, ha inseguito ostinatamente un progetto di omologazione del brand che si è rivelato desolatamente sterile. L'unico appeal di questo gioco è nel glorioso nome che porta, tuttavia quel che rimane sfigura dinanzi a concorrenti con problemi magari anche più gravi ma capaci di proporre delle idee vere. Questo reboot di Turok è invece la negazione della creatività.

Trattiamo per ultimo il reparto tecnico, fiore all'occhiello degli episodi Nintendo 64. I primi istanti di gioco sono abbastanza sconfortanti in quanto mostrano dei modelli poligonali per i soldati fastidiosamente spigolosi e tozzi, senza tralasciare l'inopportuno “effetto lucido” tipico di molti titoli di questa generazione. Va sicuramente meglio una volta immersi nella foresta, almeno come sensazione epidermica, dato che ad un'analisi appena più approfondita emergono la pochezza strutturale delle mappe e la ripetitività delle tessiture. Di veramente bello c'è il solo T-Rex!

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Turok è interamente localizzato nel nostro idioma e come da buona tradizione è stato svolto un lavoro a malapena sufficiente: la gradevole recitazione dei doppiatori, infatti, è umiliata da disattenzioni che propongono campionamenti a volume diverso oppure dialoghi in presenza forte musica o invasivi rumori ambientali. La trama, potremmo quasi dire “per fortuna”, è prevedibilissima e semplice da seguire, ma in alcuni frangenti davvero non si riescono a cogliere le parole.
Musicalmente siamo nell'ambito della sobrietà, con musiche calzanti all'azione e generalmente orecchiabili ma non numerose. Certamente si poteva anche qui osare di più e dedicare un minimo di attenzione agli ending credits, il cui brano dedicato suona contemporaneamente alla musica della missione appena conclusasi, un bug che risulta in una goffa dissonanza che chiude nel peggiore dei modi un'esperienza già di per sé deludente.

COMMENTO FINALE


“Ci sono brand che hanno bisogno di reboot ed altri che stanno benissimo come sono. Turok andava rivitalizzato e non rifondato, ma il tentativo della Propaganda Games è comunque fallimentare in senso assoluto oltre che irriguardoso della tradizione della serie, i cui tratti distintivi sono stati azzerati. Il divertimento non decolla praticamente mai e ciò che viene proposto al giocatore è un trip di sparatorie ordinarie che rischia di essere dimenticato nell'esatto istante della conclusione del gioco.”





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