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ID: 257845Non si può negare che negli ultimi tempi l'industria giapponese dell'intrattenimento stia lentamente cedendo il passo: quasi tutti i più recenti successi videoludici sono opera di sviluppatori occidentali, generi osannati fino a poco tempo fa come i J-RPG ora vengono derisi come semplicistici e vuoti di contenuti, e anche in altri ambiti, come gli anime, le influenze USA ed europee diventano sempre più consistenti (ad esempio due hit recenti, Panty & Stocking with Garterbelt di Gainax e Tiger & Bunny di Sunrise, omaggiano rispettivamente le serie di Cartoon Network e i supereroi in calzamaglia. Da notare anche i titoli in inglese). Tutto questo sproloquio per dire che prima (fino a sei o sette anni fa circa) la situazione era esattamente l'opposto: i videogames nipponici erano considerati i migliori, gli anime erano in pieno boom alle nostre latitudini, e l'estetica manga un qualcosa a cui ispirarsi per essere ritenuti “fighi”. In questo clima culturale, l'americanissima Monolith decise di creare qualcosa che non s'era ancora mai visto: un FPS ispirato agli anime, non soltanto come estetica ma anche come atmosfere, riferimenti e “feeling” globale. Fu così che nel 1998 nacque Shogo – Mobile Armor Division, uno sparatutto palesemente ispirato alla produzione robotica giapponese (l'anno prima era uscito Shadow Warrior, ma era basato sui film d'arti marziali e la cultura asiatica in generale) con evidenti omaggi a grandi serie degli anni '80 e '90 tra cui Patlabor, Gundam, Macross e Neon Genesis Evangelion.


Lanciatemi i componenti!

Non appena il gioco carica si vede subito quanto Monolith abbia preso sul serio l'idea di creare un anime interattivo: i titoli di testa sono inseriti in quella che è una vera e propria opening, una “sigla” realizzata con il motore grafico del gioco (il Lithtech, qui al suo debutto e riutilizzato in titoli come No One Lives Forever e Condemned), con tanto di canzone in giapponese! Un'altra caratteristica ripresa dai titoli orientali è l'approccio orientato alla storia, qui molto più elaborata e complessa rispetto alla media dei FPS di allora ed esposta tramite messaggi radio dei PNG durante le missioni e scene d'intermezzo: non sto a farne un riassunto, comunque gli sviluppatori hanno recuperato tutti i cliché della produzione fantascientifica nipponica, tra mega-corporazioni, colonizzazione di pianeti, personaggi creduti morti che ritornano, doppi giochi, storie d'amore e via dicendo, per quello che può essere visto sia come un elaborato omaggio ai Super Robot sia un'affettuosa parodia dei loro luoghi comuni.

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Al giocatore il compito d'impersonare Sanjuro Makabe, pilota di mecha dall'obbligatorio passato tragico, ingaggiato dalla UCA contro il gruppo terroristico dei Fallen. Ovviamente non tutto è come appare di primo impatto, ma lo scopriremo nel corso di una trentina circa di missioni che comprendono sia parti appiedate sia a bordo di uno dei quattro mecha tra cui potremo andare a scegliere. Ciascuno di essi ha un'arma da mischia differente e fino a otto armi in comune tra laser, missili, cannoni a impulsi e fucili di precisione, fino alla famigerata Red Riot che è l'equivalente della BFG 9000, solo messa in mano a un colosso metallico di 30 metri. Stesso discorso per Sanjuro, che quando non è a bordo del MCA (Mobile Combat Armor, il nome dato ai mech in quest'ambientazione) può avvalersi di pistole, mitra, fucili, lanciamissili e qualche arma fantascientifica con cui eliminare gli accoliti dei Fallen, almeno fino alla tipica rivelazione sconvolgente sull'identità del terrorista capo... Anche in questo caso Monolith fa sua la lezione degli anime robotici, dove spesso si scopriva che gli antagonisti erano più legati agli eroi di turno di quanto non volessero credere, e in Shogo questo si ripercuote sul gameplay, con l'ultima tranche di missioni differenti a seconda che si decida se restare dalla parte della UCA oppure passare al lato del nemico.

Prima che si arrivi a questo punto di svolta, comunque, le missioni sono abbastanza variate fra loro, tra situazioni in cui dovremo infiltrarci in un complesso preso di mira dai terroristi, missioni di scorta di nostri alleati e qualche percorso facoltativo, il più curioso dei quali vede Sanjuro intento a... salvare un gatto per farsi aprire un passaggio dalla padrona! (ma potremmo comunque uccidere lei e il marito e nessuno farà una piega... eh, il mondo futuro è un brutto posto). I livelli basati sul MCA, invece, tendono ad assomigliarsi tutti: di solito siamo noi soli (o quasi) in qualche cittadina/base/complesso militare contro mech, robot e soldati nemici (più una tizia ignota che odia Sanjuro per chissà quale ragione) che sbucano da dietro ogni grattacielo e fuori da ogni tunnel, e dovremo raggiungere una determinata locazione per far scattare la cut-scene successiva. Non che questo sia per forza un male: alla fine è il succo del gioco, e non ci si può lamentare, perché fornisce proprio ciò che promette, azione robotica non-stop.

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Se non hai paura di questa potenza... Combatti!


Monolith deve aver puntato proprio molto su questo titolo: non solo gli ha affidato le sorti del neonato engine Lithtech, e ha sottolineato quanto si distanziasse dai titoli del periodo grazie alla sua trama complessa (nei limiti del genere), ma ha anche inserito una serie di innovazioni di vario tipo. Da notare ad esempio il fatto che la musica sia dinamica, cioè di come la sua intensità e partitura varii a seconda della pericolosità della situazione che stiamo vivendo, e anche l'idea dei colpi critici. In sintesi, colpire l'avversario, robotico o umano che sia, in un punto vitale, oltre ovviamente a fargli perdere molta più energia, ci restituirà un po' di punti vita persi (non chiedetevi come funzioni, è così e basta). Per non essere troppo avvantaggiati, comunque, i nemici possono fare lo stesso con noi, mandandoci spesso all'altro mondo con un colpo solo. Ma veniamo al dunque: Shogo si difende bene come FPS simulatore di robottoni? Beh, come FPS sicuramente sì, mentre sull'aspetto simulativo non più di tanto. Intendiamoci, non che il titolo voglia essere un'esperienza volta al realismo, siamo sempre più dalle parti di Mazinga che non di Mechwarrior. Va detto però che, al di là delle ovvie differenze grafiche, controllare Sanjuro o un MCA è proprio la stessa cosa, in termini di controlli e tutto il resto, come se non stessimo pilotando un mech ma impersonando un uomo alto 30 metri, che salta su tetti e palazzi come niente fosse. Ciò sminuisce un po' l'esperienza, dato che la promessa di sentirsi piloti di mecha è quel che invoglia l'acquirente a comprare questo titolo (e non certo le donnine svestite in stile anime, che intelligentemente, al contrario di Shadow Warrior, sono usate solo nelle finte pubblicità che appaiono in giro per i livelli), ma in realtà il divertimento non ne viene inficiato più di tanto.

I veri problemi, se così si può dire, sono altri: il sistema dei colpi critici non funziona benissimo e sembra un'aggiunta dell'ultimo momento; la IA dei personaggi di supporto è un po' bacata e alle volte ci creerà più problemi di quanti non ne risolva; e altri aspetti che non hanno un grosso impatto sul gioco, come varie armi che non servono a molto (il lanciamissili quadruplo sembra una gran figata ma è poco preciso, lento e ha poche cariche). Un'altra cosa poco comprensibile è il fatto che quando saremo sul MCA i soldati umani saranno a volte molto più letali dei robot avversari, essendo tanti, piccoli, veloci e precisi con i loro fucili... se non altro quando finalmente li schiacceremo avremo la soddisfazione di vederli esplodere in vistose fontane di sangue (del resto Monolith l'anno prima ha concepito il mai troppo lodato Blood...)!
Shogo resta comunque, come detto prima, un esempio molto valido di FPS, con mappe ben strutturate anche se forse a volte un poco ripetitive, belle musiche di sottofondo che pompano, uno stile grafico che replica con precisione l'aspetto di certe serie anime anni '90 nella struttura degli edifici e dei mech alleati e avversari (che comprendono anche spider tanks e altri che sembrano usciti da Gundam), per non parlare degli effetti particellari di armi laser varie, trasparenze, effetto nebbia ben dosato, per un effetto complessivo che fa sembrare il titolo ben più giovane della sua data d'uscita nel 1998. L'unica pecca sono i modelli dei personaggi civili, che nel tentativo di replicare le proporzioni degli anime, occhi grandi e tutto, risultano un po' goffi rivisti oggi, ma è una cosa perdonabile considerata anche l'americanità del team di sviluppo.

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Purtroppo per Monolith, neanche due mesi dopo l'uscita di questo titolo il mondo dei FPS fu sconvolto dalla “Mezza Vita” di un certo scienziato occhialuto, un Uomo Libero (...devo proprio dirvi di chi si tratta?), e gli sparatutto non furono più gli stessi. Di colpo, tutta la complessa trama orchestrata a imitazione degli anime sembrava già vecchia, e Sanjuro e gli altri comprimari figurine senza nerbo a cui è difficile affezionarsi (ma può anche essere che facesse tutto parte dell'adesione di Monolith ai modelli giapponesi, del resto le serie robotiche del passato raramente brillavano per lo spessore psicologico dei personaggi). Il nuovo venuto cambiò le regole del gioco e distrusse completamente le speranze di Shogo di diventare un franchise, con la cancellazione di un'espansione già pianificata e di eventuali sequel che infatti non comparvero più.
Un vero peccato, perché Shogo, nonostante difetti comunque marginali, aveva la stoffa per diventare una nuova serie di culto, dimostrando la capacità di Monolith di replicare con abilità e intelligenza una fonte così particolare senza rinunciare al divertimento.

COMMENTO FINALE


"Pur con le sue pecche, Shogo – Mobile Armor Division resta un titolo ingiustamente dimenticato, che se non altro mostra l'attenzione al dettaglio di Monolith e la sua capacità di mimesi dei modelli a cui si ispira, come nel caso degli horror per Blood. Originale, interessante, frenetico, non è diventato un classico ma si difende comunque bene, e a tutt'oggi resta un titolo unico nel mare di FPS che hanno seguito la scia di Half-Life. Un bel ricordo di un periodo che oggi sembra già remoto."