Il protagonista, non più Samuel Gordon per ovvie ragioni mortuarie, è ora l’ugualmente introverso (e abbastanza indisponente) Darren Michaels, universitario trasferitosi momentaneamente a Biddeford, nel Maine, località in cui dimora la mamma, e alle prese con un lavoretto estivo, garzone in un abietto negozio di foto della cittadina, gestito da un certo Fuller, uomo ancor più detestabile.
L'incontro con Angelina, bellissima forestiera di cui si invaghirà, la seguente morte del proprietario dello shop, il relativo incolpamento di quest'ultima e uno strano incidente occorso alla madre saranno da pretesto per le indagini di Darren al fine di far luce e scagionare la ragazza; inaspettatamente, tali ricerche avranno dei risvolti clamorosi, coinvolgendolo in prima persona al punto da fargli dubitare persino delle sue vere origini.
Non potendo quindi soprassedere su tali spiazzanti sviluppi, per esplicare l'ingarbugliata vicenda giungerà a Willow Creek, proprio il luogo in cui dodici anni prima Samuel aveva compiuto le stragi che gli hanno reso triste notorietà, parimenti sede del castello di Black Mirror, ormai in declino, in cui dimora Victoria, ultima discendente della stirpe maledetta dei Gordon.
Pura casualità oppure dietro tali coincidenze si nasconde una macchinazione ben più ampia?
Il primo impatto è amichevole. Numerosi i richiami storici presenti, utili sia per rinfrescare la memoria di chi ha giocato il precedente anni fa, altresì per sopperire alle lacune di chi non lo ha mai affrontato: in tal modo, rinuncerà esclusivamente ad un'ottima AG, senza mettere in discussione il continuum temporale.
Anche da un punto di vista tecnico, i richiami sono palesi: graficamente le somiglianze si sprecano, in virtù di una palette ugualmente – e giustamente – smorta, una certa cura riservata alle animazioni degli scenari e la ripresa di un interessante effetto atmosferico come la pioggia. Tuttavia, a distanza di tanti anni, l'impressione è che il confronto non sia improponibile come logica vorrebbe. Se i personaggi, vecchio tallone d’Achille, appaiono ora più dettagliati, le loro animazioni risultano ancora legnose, e la risoluzione non è eccezionale: uno sforzo maggiore in tal senso era auspicabile.
Le musiche, buone, contribuiscono a tenere in sospeso gli avvenimenti, peccato che quella di sottofondo al castello di Black Mirror riprenda platealmente un tema della soundtrack di Lost: non sarebbe a tutti i costi un male se la sua riproposizione ad libitum nel giro di poco tempo non la rendesse prima snervante indi addirittura fastidiosa.
Il parlato è esclusivamente in inglese, scelta discutibile visto che il precedente, pur godendo di fama nulla, era doppiato interamente in un ottimo italiano; fortuna che almeno la traduzione di dialoghi e scritte sia curata. Ciò detto, le voci originali, benché timbricamente azzeccate, peccano in recitazione: esplicative le urla di Darren, decisamente poco credibili.
L'interfaccia è al solito basilare: ispezionando gli ambienti il puntatore diventerà rosso dove è possibile l’interazione, ottenibile previo pulsante sinistro del mouse, mentre il destro servirà per esaminare. Stesso discorso per gli item presenti nell'inventario: basterà selezionarne uno e far scorrere gli altri per capire immediatamente, in base al cambiamento di colore del cursore, se e con cosa è possibile combinarlo.
Va da sé che tale semplificazione implichi due facce della stessa medaglia: all'immediatezza, tradotta in una buona fluidità del gameplay, farà da contraltare uno snellimento forse eccessivo, conducente ad un'inusitata facilità. In passato, l'interfaccia (ad esempio quella S.C.U.M.M.) annoverava un certo numero di azioni diverse e rimanere bloccati significava doverle tentare tutte, non tralasciando nemmeno gli abbinamenti impossibili, perché spesso la logica dietro un rompicapo era piuttosto astrusa e ciò implicava una serie enorme di combinazioni.
Come si è detto, in BM2 il tasto sinistro, corrispondente ad un generico interagire, sopperisce ad un’intera sequela di verbi. A ciò si aggiunga che spesso sarà impossibile abbandonare una locazione se nella stessa c’è ancora qualcosa in sospeso, con l'ovvia conseguenza di svelare, in caso di blocco, che proprio in tale zona si trova la chiave di volta per la prosecuzione, ergo basterà ispezionare con più attenzione lo scenario, con del pixel hunting, o usando tutti gli oggetti raccolti, per venirne a capo.
Peccato, perché i numerosi enigmi, basati per la maggior parte sull’inventario, sono ben studiati (escludendo una manciata di evitabilissimi giochi del 15), persino spiazzanti (vedasi il rompicapo delle serrature, per fortuna non emicranico come quello presente in Still Life) ma tale alleggerimento farà crollare il fattore sfida. Si proseguirà abbastanza speditamente e persino le poche sezioni in cui è possibile morire vengono annullate dal salvataggio automatico; solo l'ultimissimo puzzle abbisognerà di tempo, in realtà più per la complicazione di scorgere appieno la natura di alcuni simboli che per intrinseca difficoltà. Prevista l'attivazione di alcuni aiuti dal menu delle opzioni: ovviamente, il consiglio è di glissarli.
Da segnalare, nell'elenco degli aspetti opinabili, il cambio d'atmosfera della vicenda, vero fattore portante del precedente: dall'horror con influenze thriller si è passati esclusivamente a quest'ultimo; tale apparente innocua inversione di generi si traduce in un'ottima storia, contemplante indagini esplicative di situazioni lasciate in sospeso, spiazzanti colpi di scena (benché quello conclusivo appaia un po’ telefonato) ma raramente inquietante.
All'impostazione a giorni del primo, con le morti che andavano man mano accumulandosi fino a chiudere il cerchio sul colpevole, cercherà di sopperire una sorta di sogno/riassunto di fine capitolo: affascinante ma d’impatto minore.
Presente un piccolo bug, con l'inventario che talvolta rimane impresso a schermo a nascondere parzialmente alcuni punti nevralgici, un piccolo impedimento non particolarmente invadente.
Nota stonata per il finale, non tanto l'ending in sé, comunque inferiore a quello spiazzante del prequel, quanto per l'esigua durata: una manciata di secondi appena lasciano un po' di amaro in bocca, parzialmente lenito dall'intesa di un probabile seguito.
Nonostante tutto, BM2 è un buon gioco, con i suoi momenti, dei personaggi interessanti, dialoghi ben resi (anche se non sempre stimolanti), piacevole ed intrigante nello svolgimento.
Peccato che l'arrivo a Willow Creek, sulla carta il climax del titolo, non decolli mai realmente, andando a sminuire quanto costruito nella primissima sezione a Biddeford, studiata per fungere da riscaldamento; invece, tale premessa, generante molti interessanti interrogativi, risulta più appagante della loro esplicazione.
Ciò è dovuto allo smorzamento dell’atmosfera, che ha reso i luoghi meno opprimenti, spogliandoli di qualsiasi velleità d’inquietudine, tanto da apparire stanchi e decadenti, come l’eponimo castello, ormai in rovina.
Questa sensazione prescinde la bontà del comparto ludico di BM2, che merita ugualmente il tempo necessario per affrontarlo, ma gli amanti del precedente avvertiranno la sgradevole sensazione di legami col passato innestati a livello puramente estetico e non viscerale.
Se si è alla ricerca di un buon thriller, accostabile per certi aspetti al primissimo Broken Sword, l'ultima fatica dei Cranberry Production saprà ampiamente soddisfare le aspettative; ma chi ambisce ad un'AG in cui respirare la stessa aria pesante e arcana dell'esordio di Samuel Gordon, dovrebbe rivolgersi a Scratches o, nel caso di avventure in terza persona, ai primi due capitoli di Gabriel Knight, la saga di Jane Jensen cui BM deve ossequiosa riverenza.
E circa la fatidica domanda che da inizio recensione frulla nella testa degli appassionati, se questo seguito sia meglio del capostipite, nella maniera più categorica, la risposta è no.
Giuseppe "Epikall" Di Lauro