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ID: 252315Per entrare appieno nello spirito di questa recensione, bisogna immaginarne come sottofondo musicale la canzone New Born dei Muse. Una sorta di nenia infantile, una ninna nanna melodica ma allo stesso tempo triste ed inquietante, che sfocia in un urlo convulso e disperato. New Born... non potrebbe essere altrimenti, perché nel terzo capitolo della Collina Silenziosa tutto ruota intorno alla nascita della protagonista, Heather. Un'adolescente dall'aria malinconica e disillusa, dal carattere contraddittorio, probabilmente in eterno conflitto col mondo che la circonda. Quello stesso mondo che si distorce nella realtà parallela tipica del titolo Konami, ma che nella quotidianità non risulta meno sinistro. Già a partire dal filmato iniziale, Heather appare sola in un bar; ed è sola anche quando si reca in un centro commerciale. Due luoghi per antonomasia affollati, eppure in questo caso sorprendentemente vuoti. E' possibile udire voci indistinte di persone, ma non è dato vederle. Ed è logico che sia così: per tutta la durata del gioco, si guiderà la giovane protagonista in un disturbante e allucinato viaggio tra queste due dimensioni, semplicemente alla ricerca della propria.

Questo terzo capitolo ha un legame (di sangue) col capostipite, essendone più o meno velatamente il seguito. E ne mutua, oltre all’introduzione giocabile, anche le tematiche squisitamente e smaccatamente horror. Non che il secondo fosse all'acqua di rose, ma alla base di tutto presentava una vicenda personale dalle tinte piuttosto forti e drammatiche, qui l'impressione è che si spinga sull'impatto visivo più che emotivo. Per buona parte dell'avventura, si avanzerà con l'unico scopo di sopravvivere, non essendoci iscrizioni di sorta ad esplicare il perché delle gesta dell'attonita protagonista. E in tutto questo il giocatore non si ritroverà meno spaesato. Si diceva dei legami col primo episodio. Nel progenitore la vicenda era focalizzata su di un padre alla spasmodica ricerca della figlia scomparsa, qui c'è una figlia che, nonostante stia vivendo delle situazioni assurde ai limiti della follia, desidera solamente tornare a casa dal proprio padre. Si invertono i ruoli ma la sostanza è la stessa, in una prospettiva diversa, ma nemmeno tanto, in fondo. La ricerca della persona cara, che infonda sicurezza, protezione, la fuga da una realtà che non si sente propria, al punto quasi da arrivare a tratti ad accettare passivamente quella perversa, demoniaca. E il bisogno di amore, comprensione, che infine porta ad affrontare ciò che è diverso, spaventoso. Fondamentalmente il gioco vive su questo filo conduttore e su di un unico grosso colpo di scena svelato dopo la prima metà, per poi scorrere via senza ulteriori sussulti narrativi, né emotivi. L'impressione è che l’aver voluto creare un continuum con l'indimenticato (ed indimenticabile) progenitore abbia portato ad una frettolosa forzatura.

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La saga di SH non è mai stata famosa per la loquacità dei suoi PNG, ma ognuno, dietro i suoi silenzi, celava qualcosa, turbamenti interiori, fobie o un tragico vissuto. E da un semplice sguardo o un gesto apparentemente insignificante, era possibile cogliere molto più di quanto non lasciassero trapelare. Magari la loro presenza era slegata dalla trama principale, quasi fuori contesto, tuttavia la arricchiva di nuovi ed inquietanti excursus. Anche il primo capitolo poteva contare su una vicenda gravosa e triste come quella di Lisa (quel suo impercettibile tic mentre Harry è disteso nel letto, rimarrà impresso indelebilmente nella mente di un bel po’ di giocatori). Qui non accade nulla di tutto questo. La manciata di personaggi che si incontrerà, avrà un ruolo si ambiguo, e non perché intrinsecamente contraddittorio, quanto per l’impressione che siano lì perché a prevederlo è la classica struttura del gioco, e non una reale ispirazione o utilità, avendo ben poco da aggiungere al plot. L'unico scopo apparente è reggere i deboli binari narrativi e spezzare per qualche istante, con superficiali dialoghi, la solita forsennata esplorazione di decine di spaventose location.

Ed è un peccato se si pensa alla bontà della grafica, con un dettaglio che non ha nulla da invidiare a titoli next gen, ancor più notevole se si pensa all’anno di pubblicazione. Entrando in alcuni negozi del centro commerciale (Helen’s Bakery su tutti), il livello è tale da reggere il paragone con quello di Dead Rising. Per tacere dei filmati realizzati col motore del gioco, in cui ammirare la perfetta imperfezione della pelle lentigginosa di Heather, la stupefacente e incolta barba dell'investigatore Douglas, o la pazzoide espressione degli occhi di Leonard. Nulla da eccepire anche quando si passa "dall'altro lato", con mostri sufficientemente inquietanti e ambienti che prediligono tinte cupe, con l'unica nota di colore data dal rosso del sangue rappreso sulle pareti, rischiarato da splendidi effetti di luce o offuscato da ombre in tempo reale. Il tutto accompagnato da musiche presenti in numero minore, con un soundtrack che viaggia su lidi piuttosto sicuri e conservatori, spesso preferendo il silenzio, ma con degli FX incredibilmente ronzanti e fastidiosi. I suoni emessi dai mostri sono davvero odiosi, e capiterà di sprecare qualche proiettile su creature che potrebbero tranquillamente essere evitate di slancio, pur di far cessare quei lamenti ossessivi e lancinanti.

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ID: 252319

Ad un’ottima calibrazione della difficoltà in modalità azione, si contrappone quella mediocre degli indovinelli, passando dall'eccessiva facilità del livello normal alla quasi inesplicabilità dell’hard. In quest’ultimo caso, già dopo pochi minuti ci sarà l’enigma della libreria a tagliare fuori la maggior parte dei giocatori. Tale rompicapo, sulla carta sorprendente per profondità intellettiva, richiede una discreta conoscenza delle opere di Shakespeare unita ad una certa dose di intuito matematico, basandosi su di una logica che fonde entrambi gli aspetti. Non bastasse tutto questo, viene presentato male, inducendo il giocatore a sistemare in uno scaffale vuoto dei libri sparsi in terra (e permettendogli concretamente di farlo) mentre tale azione è assolutamente fuorviante, essendo un banale retaggio dell'esplicazione a livello normale, togliendo tempo ed energie mentali ad un enigma che, in quanto a difficoltà, non abbisognava di questo ulteriore handicap. Peccato, perché alla base c'è una certa genialità, peccato che in pochi saranno in grado di coglierla, e non solo per mancanza di propria arguzia.

Altro aspetto che potrebbe perplimere è l'assenza, come ambientazione principale, di Silent Hill, che si paleserà solamente nell'ultima parte, e di cui si potranno visitare solo un paio di zone, per di più con una coltre di nebbia talmente intricata ad inficiare il tragitto, da scoraggiare qualsiasi tentativo di ulteriore esplorazione, se non quella prevista.. Tuttavia, difficilmente si manifesterà apertamente la mancanza della misteriosa cittadina, perché la caratteristica portante del titolo, l'alternanza tra le due realtà, sarà sempre presente per tutta la durata ed è questo che conta: poco tange la collocazione geografica di tali sbalzi dimensionali, l'importante è che accadano. Ciò che potrebbe far storcere il naso in tale scelta è la presenza eccessiva di ambienti in interni, che pur donando una certa sensazione claustrofobica, restituiscono la sgradevole idea di preindirizzamento, tuttavia il fatto che non tutti vengano indicati sulla mappa ma alcuni siano da scoprire di proprio pugno, riporta il sentore di fittizia libertà sui giusti binari. E poi, a dirla tutta, se la città deve essere finta e statica come nel secondo capitolo, concepita come un banale percorso da attraversare per raggiungere i punti nevralgici, con la nebbia che più che renderla misteriosa ne nasconde la vacuità, si può anche farne a meno senza crucciarsene eccessivamente.

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SH è sempre SH, su questo non si discute. Il problema è che questo terzo episodio ha visto la luce dopo due capisaldi del settore, e pur essendo assolutamente degno di indossare il nome che porta, non aggiunge nulla di nuovo alla saga, se non a livello di involucro, davvero in grande spolvero, mostrando anzi il fianco a delle critiche che intaccano quello che è da sempre il punto forte del gioco, il suo parossistico schema narrativo. Per tutta la durata si sentirà la mancanza di diari pazzoidi e schizofrenici, che con logica paranoica e frustrata spiegano velatamente la storia, quindi si agirà per spirito di conservazione e non convinzione, senza una meta apparente, nemmeno sibillina. Salvo poi rimettersi in carreggiata nella parte finale, con una serie concomitante di letture che però vanno ad approfondire la parte della storia più indigesta, paradossalmente avendo l’effetto deleterio di appesantire l'ultima sezione. Peccato non aver sfruttato meglio ciò che i grafici hanno messo a disposizione, che ha reso visivamente SH3 un titolo a tratti prossimo al fotorealismo, un vero e proprio film dell'orrore che non manca di colpire duro dritto allo stomaco, mancando però il bersaglio principale, la testa. Infatti dietro tale sfolgorante disgusto ottico, c'è ben poco. E un mostro fine a se stesso, che non ha nulla da raccontare, perde buona parte della sua spaventosità, rimanendo ancorato a dettami pluriabusati che ormai non sconvolgono più nessuno.

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Questo capitolo quindi non è né più né meno del solito ottimo titolo horror, dotato si di una caratterizzazione tecnica di primo livello, ma a cui purtroppo manca l'anima umanamente perversa dei precedenti, che portava il giocatore a trascinarsi, anche dopo la conclusione, riflessioni dense di impotente malessere. Si tratta di un filo sottilissimo, quasi impalpabile, di quel quid che permetteva alla saga di prendere le distanze dalla massa imperante di survival in commercio; e ora che non c’è, se ne avverte la mancanza come un macigno. A salvare parzialmente baracca e burattini ci pensano alcune trovate ben contestualizzate come le sezioni, estemporanee ma intriganti, del treno e della casa stregata al luna park, e la conclusione (normal ending), con particolare riferimento all'ultima frase pronunciata in tale frangente, che probabilmente strapperà un po' di commozione agli estimatori del primo episodio. Strano come a volte basti poco a risollevare le sorti di un'opera. Ed è così che, come un pessimo finale potrebbe far rimanere con l'amaro in bocca e rovinare il giudizio fino ad allora maturato, qui accada il contrario. Ma, pensando a quelle che erano le aspettative, il sapore rimarrà comunque limitatamente agrodolce.

COMMENTO FINALE


"Ciò che inquieta maggiormente in SH3, più che la vicenda in sè, è il dubbio su quanto i meriti che pure possiede siano propri o semplice frutto della sua viscerale attaccatura al brand. Quasi che, tornando al leitmotiv del gioco, il cordone ombelicale di Heather non le fosse stato reciso di netto al momento della nascita, e paradossalmente sia proprio questo a tenerla ancora in vita"







Giuseppe "Epikall" Di Lauro