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ID: 251591In un periodo in cui al cinema era pura formalità incappare nel “teen horror” di turno, erano in molti a chiedersi come mai questo sottogenere non avesse attecchito anche nel mondo videoludico. Tuttavia, quando è giunto Obscure per colmare tale falla, paradossalmente altrettanti si sono ritrovati ad additarlo come pluriabusato, anche se di “teen survival” la piazza era sgombra. La competizione in ambito orrorifoco aveva portato le software house a sviluppare plot sempre più complessi, sulla cui bontà c’era ben poco da eccepire, tuttavia scevri di un tassello fondamentale: l’immedesimazione istintiva, non dettata dall’artificiosa avvolgenza della trama, ma dalla innata sensazione di familiarità contestuale. Spesso invece il risultato era accostabile ad un film, certo di quelli che lasciano il segno, ma trattasi pur sempre di opere fittizie in terza persona. Obscure contempla una storia i cui dettami potrebbero perplimere, data la basilarità di fondo, ma è proprio il disimpegnato incipit a risultante amichevolmente convincente. Per una volta, il giocatore non vestirà i panni di un disadattato o di un addestratissimo militare, tantomeno verrà catapultato in una dimensione parallela o addirittura nello spazio. La location è un istituto superiore e i personaggi studenti. E, pur con alterne fortune, ognuno lo è stato (nel caso del sottoscritto, di quelli “intelligenti ma che dovrebbero applicarsi di più”… argh!).

La potente song “Still Waiting” ha il merito di aprire le danze come meglio non si potrebbe, dando una sferzata di energia al giocatore e catapultandolo nel vivo della vicenda. Tutto ha inizio al liceo Leafmore, con una partita a basket tra una manciata di ragazzi ivi frequentanti. La regia è abile a sottolinearne le psicologie, stereotipate al massimo, tuttavia per questo immediatamente accostabili a qualche amico o finanche se stessi (da lamentare l’assenza di un editor per i volti che avrebbe aumentato esponenzialmente l’identificazione). Tale differenziazione si rivelerà anche pratica: chi ostenta forza fisica, risulterà indicato in caso di scontri, chi fa dell’intelligenza il proprio vessillo, sarà adatto nel risolvere enigmi. Conclusosi l’incontro a pallacanestro, ecco lo spiazzamento, col terreno che si maciulla friabile sotto i piedi. Il gruppetto si divide e Kenny, il baldanzoso leader, resta solo. La sua tracotanza vacilla, silenzio, vuoto intorno a sé. Quella galvanizzante musica è ormai un ricordo lontano, e le sue vibrazioni non più udibili. Il rimbalzo del pallone riecheggia nella palestra deserta, generando inquietanti rimbombi. In tale frangente, si prenderà il comando del ragazzo, nella solita intro giocabile (si vede che il primo Silent Hill ha fatto “scuola”… questa è terribile, ne convengo) che lo condurrà in sinistri scantinati: dopo aver appreso più di quanto avrebbe voluto, sparirà nel nulla, con la sua sorte avvolta nel mistero. Che gli sarà successo?

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Questa domanda, simbioticamente al giocatore, si pongono gli amici il giorno seguente la sua scomparsa; da lì il passo è breve, decidendo, con la tipica incoscienza dettata dalla giovane età, di nascondersi dentro il plesso per indagare. Il sogno di ogni adolescente: avere l’istituto per sé, poter sbirciare gli appunti dei professori per carpirne i segreti, ritrovandosi nel paese dei balocchi. Per loro è quello l’universo, la dimensione, il microcosmo, in cui nasceranno – e moriranno – amicizie, amori, speranze ed illusioni. Ma c’è un caso su cui investigare, in un edificio normalmente satollo di chiacchiere superficiali e discorsi vacui, ora svuotatosi per lasciare spazio ad un senso di angosciosa solitudine. Ci si chiede perché poche ore prima girare quell’angolo fosse un’azione meccanicamente quotidiana, e adesso abbia assunto parvenza grottesca, mentre corridoi pullulanti di vita, appaiano solitari viatici, mentori di chissà quali arcani. Tuttavia, non c’è solo la classica paura del buio a rimescolare le carte in tavola, spiazzando l’abitudine. E’ l’aria che si respira ad essere mutata. La precedente frivolezza ha lasciato spazio ad una sgradevole sensazione di opprimenza. Finanche la musica, come un subdolo serpente, ha cambiato pelle, presentando un sacrale coro, condito da suoni sinistri e rumori inquietanti. Non è solamente suggestione: al Leafmore, sta realmente accadendo qualcosa di terribile.

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Nell’ottica del “mal comune mezzo gaudio”, si troverà conforto proprio in quella ristretta cerchia di amici e, nei loro volti attoniti, consapevolezza che quella sensazione ingarbugliatasi nelle viscere non sia una – orribile – esclusiva, ma l’attuale normalità. Il concetto di squadra è ancor più marcato se si pensa alla possibilità (in taluni casi necessità) di affrontare la perlustrazione con un partner pilotato dalla CPU, che all’occorrenza potrà essere d’aiuto negli scontri o nel superare un ostacolo ambientale altrimenti insormontabile; ancor più lodevole il concedere ad un secondo giocatore di interpretarlo. Nell’ottica teen, una spinta notevole al divertimento, ma un purista preferirà glissare tale opzione: nel redigere un ipotetico decalogo su come affrontare un survival, la prima regola probabilmente sarebbe quella di farlo come novelli misantropi nel buio della propria stanza. Ma le introduzioni non terminano qui: gli sfondi completamente tridimensionali (con telecamera fissa) oltre ad un buon dettaglio vantano un tocco di interattività (distruttiva, traducendosi nel fracassare quasi tutta la vetreria), ed è possibile unire vari oggetti per ottenere combinazioni utili al prosieguo, pur rimanendo ben distanti dalle scelte plurime dell’ultimo Alone In The Dark.

Come accadeva sempre nel padre dei survival (il quarto capitolo stavolta), i mostri proveranno repulsione verso la luce che, oltre a squarciare l’onnipresente buio, farà altrettanto coi loro corpi putrescenti: essendo le creature di Obscure null’altro che vegetazione geneticamente modificata (e c’è chi sostiene che gli OGM non facciano male…), è quantomeno bizzarro che proprio la fonte primaria di vita per la flora, ne rappresenti il modo migliore per sbarazzarsene. Disquisizioni scientifiche a parte, questa trovata genera un piccolo ma significativo stravolgimento nel gameplay: per centellinare munizioni, l’arma verrà inconfutabilmente puntata verso la più vicina finestra, allo scopo di aprire una breccia da cui possa filtrare un liberatorio raggio di sole che, come grazia divina, si abbatterà sugli aberranti mostri, polverizzandoli. Deludente? Affrontare una pianta troppo cresciuta fracassando una persiana sembra poco eccitante? Si provi ad immaginare di essere soli in un’aula limitata perimetralmente, coi banchi che acuiscono ulteriormente lo spazio effettivo intralciando i movimenti, la pistola scarica e una misera mazza da baseball per contrastare varie micidiali mutazioni apparse d’improvviso, ritrovandosi a correre ansiogenamente verso una finestra, dando le spalle ai nemici, per colpirla proprio all’ultimo istante, affinchè la luce possa abbattersi su di loro con maggior vigore, mentre nel frattempo si è giunti a percepirne il putrido alito sul collo. Da brividi.

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Da un punto di vista squisitamente tecnico, il lavoro svolto è più che positivo, con le uniche evidenti sbavature rappresentate da alcuni full motion eccessivamente sgranati. Per il resto, la grafica svolge più che dignitosamente il proprio compito, con sfondi discretamente texturizzati impreziositi dall’implementazione di un motore fisico, validi effetti di luce e personaggi forse un po’ parchi di poligoni ma dotati di animazioni appropriate: la camminata da bullo di Kenny la dice lunga al riguardo. Spiace che i 5 protagonisti (includenti 2 ragazze), pur se visivamente ben differenziati e distinguibili, non riescano ad emergere da un certo anonimato, causa una caratterizzazione, specie dei volti, eccessivamente standardizzata. I mostri spaventano non per intrinseca bruttezza, quanto perché la comparsa è preceduta da una sorta di ramificazione con relativo rabbuiamento ambientale, per un pregevole effetto finale. Il sonoro tiene conto di entrambi gli aspetti teen e horror: se per accondiscendere il primo presenta il citato hit dei Sum 41 come opening, e il pezzo “Kombo” degli italianissimi Karnea nei titoli di coda, per contro l’esplorazione vera e propria sarà accompagnata da azzeccatissimi silenzi e inquietanti FX, che all’occorrenza cederanno il passo ad imponenti musiche dall’accento gotico; a completamento della bontà del comparto audio ci pensa un doppiaggio italiano assolutamente professionale. Insomma, tecnicamente, pur non settando nuovi standard, si viaggia decisamente sopra la media. Nota a margine per menu e interfaccia: entrambi risultano dapprincipio un tantino complicati e scomodi, ma nulla cui un un po’ di pratica non possa ovviare, e in ogni caso niente di pregiudizievole per la giocabilità.

Normalissime aule al posto di avveniristici laboratori, registri di professori invece di diari malati, semplici studenti anzichè muscolosi eroi, il tutto realizzato in maniera più che adeguata. Ma fondamentalmente a questa succulenta cornice si contrappone un quadro generale che puzza di deja-vu lontano un miglio: enigmi accessibili per non scoraggiare l’utente medio, colpi apoplettici causati da improvvise imboscate più che dal distrurbo generato dal plot, e alcune imbarazzanti similitudini con la concorrenza, come i salvataggi inutilmente limitati, strutturalmente identici a quelli di Resident Evil, coi CD che prendono il posto degli “ink ribbon”, o il personaggio dell’infermiera Miss Vickson, che rimanda (nella forma, non nella sostanza) alla silenthilliana Lisa. Viene quindi da chiedersi se Obscure abbia credibilità come survival: sorprendentemente, la risposta è un si convinto. L’impostazione di tale tipologia di giochi è la stessa, da anni ormai, sarebbe pretestuoso attaccarvisi proprio ora. Bisogna quindi valutare come Obscure abbia mescolato il tutto, per fondare la sua ossatura, e quanto sia funzionale - e funzioni a tutti gli effetti - l’ambientazione. Ebbene, in entrambi i casi bisogna promuoverlo, non a pieni voti, certo, ma altrettanto fermamente senza riserve: l’esplorazione è sufficientemente inquietante, gli agguati ben congeniati, i combattimenti adrenalinici, e le piccole novità introdotte arricchiscono la profondità del gameplay, mentre l’appeal con la location dipenderà da quanto si è rimasti o meno legati alla propria adolescenza e dalla voglia di rispolverare quelle sensazioni. In tal caso, soprassedere sulla conformità del titolo sarà facile, altrimenti il rischio di stancarsi velocemente è dietro l’angolo.

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Obscure, è pacifico, non ambisce a sconvolgere il settore. Pur nascendo in un periodo in cui di prodotti similari ce n’erano già abbastanza, ne ha ricavato intelligentemente il giusto, amalgamandolo su di un contesto scontato eppure stranamente inesplorato, e il risultato è assolutamente godibile, pur se eccessivamente debitore dei classici clichè, anche narrativamente parlando. A tal proposito, impossibile soprassedere sulla storia che ad un certo punto assume una parossistica piega fantascientifica stile B-movie anni ’50 (con tanto di mega mostro conclusivo), e su di un taglio cinematografico innestato un po’ troppo smaccatamente, con personaggi piatti i cui banali dialoghi rimarcano una volta di più quanto siano semplici pedine sacrificabili per il prosieguo della – sterile – trama. Del rammarico c’è anche per le interessanti novità introdotte, sviluppate ad un livello seminale: più che adagiarsi sugli allori per il loro innesto, sarebbe stato più opportuno per gli sviluppatori curarle nel dettaglio, così da far compiere al gioco un ulteriore balzo qualitativo ampiamente alla sua portata. Nonostante questo contribuisca a scemare parzialmente le elevate aspettative iniziali, per una volta si può glissare senza crucciarsene troppo, perché durante l’avventura si avverte una tangibile vicinanza coi protagonisti, fosse anche solo prettamente anagrafica, e il titolo in ultima analisi si affronta volentieri, con la dovuta - e relativa – leggerezza; va riconosciuto al discusso elemento giovanile, pur con alcune cadute di tono, il merito di aver donato un pizzico di sprint ad un prodotto altrimenti pleonastico, portando al contempo un po’ di freschezza ad un filone che cominciava a puzzare di vecchio, quasi che il passo successivo potesse essere un survival ambientato in un ospizio (chissà, magari un tie-in del peculiare “Bubba Ho Tep”, in cui un anziano Elvis Presley, chiuso in una casa di riposo, affronta una mummia… assurdo ma meritevole). Insomma, portare a termine il titolo Hydravision si rivela un’esperienza non trascendentale ma assolutamente soddisfacente. E non è cosa da poco.

Nient’altro da aggiungere? Possibile che, proprio in un teen come questo, la regola di screamiana memoria secondo cui un horror di successo generi obbligatoriamente un seguito, non venga applicata? Ovviamente no. In Obscure i protagonisti sono ancora dei liceali e per terminare davvero il corso di studi, dovranno iscriversi al college: peccato che il futuro abbia nuovamente in serbo per loro una frequentazione tutt’altro che tranquilla…

COMMENTO FINALE


"Obscure non fa gridare al miracolo, altresì non possiede difetti lapalissiani. L’ambientazione, intrigante in base a quanto si è adolescenti dentro, è la vera chiave di volta, coinvolgente nonostante o forse proprio per la sua normalità. Una seconda parte esageratamente convenzionale e spettacolarizzata, unitamente ad alcune trovate intriganti ma sviluppate ad uno stadio embrionale, non rovinano un giudizio globalmente positivo, pur generando qualche rimpianto. Tuttavia, se non siete tra quelli cui l’idea di dedicare del tempo ad un teen horror provochi orticaria a prescindere, mettete pure una Uzi nel vostro vecchio zainetto: è ora di tornare a scuola."


Giuseppe "Epikall" Di Lauro