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ID: 242253L'inizio di Call of Juarez anticipa senza tentennamenti un'esperienza dal sapore fresco. La fase iniziale, quella solitamente adibita a tutorial, non ci insegna a sparare, a cambiare le armi o lanciare granate, ma a correre, a come tenersi in piedi scendendo da un pendio, a come entrare di soppiatto nelle abitazioni, il tutto lungo scenari dal sole cocente, brillante, fitti di una natura che ci fa respirare a pieni polmoni l'aria di novità.

Ci troviamo nel West, signori, in quelle terre ingovernabili dove la legge, almeno secondo l'immaginario collettivo, non ha mai trovato una vera casa. Ogni cosa era governata dal buon senso ed il buon senso, purtroppo, era stato presto soffocato da ingordigia, razzismo ed ignoranza. Nello spazio di un'avventura nemmeno troppo prolissa, Call of Juarez ha il merito di offrire un pittoresco viaggio all'interno di un genere, letterario e cinematografico piuttosto che storico, traboccante di spunti per l'universo videoludico, rappresentandolo da punti di vista diversi, quello di un povero sbandatello e quello di un reverendo, che collidono in un dramma familiare in cui i veri sentimenti dei protagonisti tentano disperatamente di scrollarsi di dosso la marcia sabbia di crudeltà schiantata sulle loro anime dall'inesauribile vento dei deserti.

Billy è un ragazzo orfano del padre, odiato da quello adottivo soprattutto a causa delle sue origini messicane che lo mettono in cattiva luce agli occhi di quasi tutti gli altri guitti della sceneggiatura. I primi momenti dell'avventura non hanno ulteriori pretese se non quelle di narrarci l'esistenza, fatta di insulti ed espedienti, di un individuo del gradino più basso della società. La svolta della trama avviene durante una delle solite fughe alle quali il ragazzo deve affidarsi per scongiurare l'ira del popolo, casualmente proprio mentre intende tornare dalla madre per salutarla dopo oltre due anni. Al suo arrivo, la trova morta, uccisa da sconosciuti, ma la sua presenza nel luogo del delitto lo rendono l'unico indiziato.

Da un'altra parte, in una chiesa, il reverendo Ray celebra la sua solita squallida predica. Lui non è stato un buon uomo, tutt'altro: ha vissuto per anni da spietato fuorilegge, seminando cadaveri alle sue spalle per i motivi più futili, fino all'ora del pentimento, momento in cui intraprese la difficile via della redenzione e della predicazione. Ad ascoltarlo, una mandria di corrotti e presuntuosi a tal punto da contestare a più riprese le sue parole. All'uscita dalla chiesa, una rivolta della città genera caos e violenza e, per mettere ordine, il reverendo è costretto a riprendere in mano il suo fucile. Poco più tardi vede Billy affianco al cadavere della madre, sua sorella. I due si conoscono bene e Billy capisce che suo zio Ray gli darà la caccia fino a quando non lo vedrà giacere in una pozza di sangue.

La sceneggiatura di Call of Juarez si dipana con una continua staffetta fra i due protagonisti, talvolta narrandoci eventi contemporanei dall'uno e dall'altro punto di vista. All'inizio può risultare spiazzante e ridondante, ma sarà un ottimo escamotage per non farci perdere alcun dettaglio e per calarci meravigliosamente nelle loro personalità, illuminandoci sulle incontestabili ragioni di ognuno. Il gameplay, del resto, subisce sostanziali modificazioni tra lo stile dei due: Billy è dinamico, si corre, si salta e ci si aggrappa ovunque, liane comprese, utilizzando moderatamente le armi, imparando piuttosto a destreggiarci alla meglio con la frusta; Ray è invece uno sputafuoco, una macchina da guerra inarrestabile, potentissimo e scaltrissimo contro ogni avversario, doti che sono un retaggio della sua esistenza da criminale. E' facile affezionarsi all'innocenza di Billy, una vittima della società alla quale viene negato ogni diritto, l'amore e, per ultima, anche la famiglia. Se Billy è ben caratterizzato, il reverendo Ray è un capolavoro di design: sembra uscito direttamente dal migliore degli spaghetti western, trasuda carisma ed epicità da ogni parola, da ogni gesto, da ogni colpo. La figura dell'uomo di Dio che si aggira con un fucile a canne mozze in mano è evocativa oltre ogni immaginazione e verremo catturati dalla sua anima in pena, dalla sua necessità di sparare per la rettitudine. Lungo la strada della sua redenzione sono troppi i gesti altrui di odio e violenta ignoranza per usare l'arma del perdono: l'unica punizione che quelle bestie possono comprendere è quella del fucile, del sangue, e Ray spara. Non è più l'arma del criminale, è l'arma dell'espiazione, della liberazione per una società putrida, buona solo per concimare il terreno delle future generazioni. Quella di Ray è una figura indimenticabile, la sua storia la più iraconda ed epica che si sia vista da lungo tempo a questa parte. Impersonarlo è un vero piacere: a metà strada fra il santo ed il diabolico, personalità che racchiude le terribili estremizzazioni dell'animo umano, lo controlleremo aggirandoci con la Bibbia nella mano sinistra ed il fucile nella destra, letteralmente. Avanzeremo nella sabbiosa cornice dei saloon col sottofondo di esplosioni e membra che si tranciano mentre le sue labbra reciteranno versi delle Sacre Scritture. Indimenticabile.

Il setting western non è mai stato prolificamente sfruttato nel genere dei first person shooter. Se vogliamo andare a pescare un nome apprezzato ci tocca allontanarci fino alla prima metà dei Novanta, tempi in cui la Lucasarts lanciò sul mercato il bellissimo Outlaw, del resto ampiamente dimenticato dal pubblico e dal suo publisher. Call of Juarez, per nostra fortuna, sfrutta a meraviglia l'ambientazione e bilancia sezioni di shooting intenso ad escursioni rurali che si intrecciano impeccabilmente nell'arazzo tessuto dalla Techland. Chiaramente, controllando il reverendo affronteremo le sezioni con più nemici, compresi alcuni duelli di stampo classico, uno contro uno: in queste peculiari fasi ci troveremo di fronte ad una sorta di boss e lo affronteremo posando la pistola nella fondina, dopodichè si conterà fino a cinque ed estraendola con un movimento del mouse dovremo anticipare il nostro avversario nello sparo. Ray ha anche la possibilità di usufruire di un insolito bullet time in cui, con una scarica di furia, vedrà rallentati i movimenti dei nemici, scagliando contro di loro la sua immensa potenza di fuoco, mentre due distinti mirini si muovono per lo schermo.

Se il reverendo brilla nell'esecuzione di meccaniche tutto sommato classiche, Billy è il protagonista delle sezioni più insolite, come le fughe a cavallo o i compiti che un santone apache ci assegnerà, tra cui la caccia ad alcuni conigli o il recupero della piuma di un aquila in cima ad un altura. L'estensione delle mappe in questi anfratti si esprime nel suo massimo splendore, lasciando cadere in secondo piano alcuni difetti grafici comprensibili per un titolo nato in mezzo a due generazioni di macchine. Una delle frecce migliori, tuttavia, Call of Juarez la scocca a ridosso della fine, quando ci troveremo soli, senza amici né nemici, in mezzo allo scenario alla ricerca di un tesoro nascosto, una delle sezioni più originali di sempre fra gli FPS. Interessante anche l'utilizzo di acqua e fuoco all'interno del gioco, elementi che potranno fornirci tattiche aggiuntive e a volte necessarie per avere la meglio su determinati avversari, nonché apprezzabili extra che ben lavorano per variare il già ricco bouquet del gameplay.

Call of Juarez non ha goduto di una tecnologia sufficientemente matura da consentirgli di stupire sotto il profilo estetico. Tutto ciò si enuclea in textures a tratti povere, elementi un po' avari di poligoni, personaggi compresi, ma di sicuro anche in un carico dal peso contenuto che gioverà ai sistemi meno performanti. L'audio è sufficientemente curato ma, soprattutto, opportuno, con un accompagnamento sonoro essenziale, mai invasivo, gradevolmente sopraffatto dalle tipiche sonorità rustiche. Apprezzabile anche il doppiaggio, disponibile solo in lingua inglese, in particolar modo per la voce del reverendo Ray, cavernosa ed espressiva, che ben si sposa con la personalità del protagonista.

COMMENTO FINALE


"Questo gioco è tutta sostanza. L'unica via per apprezzarlo è quella di scordarsi dei bagliori della nuova generazione, in quanto Call of Juarez è umile, propone una delle esperienze più fresche degli ultimi anni ma lo fa con i mezzi di chi non può contare sul sostegno di grandi publisher, visto che i polacchi Techland hanno solo tardamente ricevuto l'appoggio di Ubisoft. Vi basterà un sacrificio di poche decine di minuti, il tempo di trascinarvi oltre gli sviluppi iniziali della trama. Da lì ci penserà l'anima maledetta di Ray a condurvi lungo uno dei cammini di espiazione più epici di sempre."

Gianluca "musehead" Santilio





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