È difficile parlare di un gioco come The Longest Journey: il rischio di cadere nella retorica è sempre dietro l’angolo, quando si deve descrivere una delle esperienze più immersive e coinvolgenti che sia possibile vivere, non solo in ambito videoludico. Tuttavia le emozioni sono universali e tutto ciò che ne trasuda merita di essere sublimato, anche un videogioco, forma d’arte troppo spesso sottovalutata. La trama, complessa e ricca di risvolti, merita un cenno fugace, perché non sarebbe corretto svelare retroscena che qualsiasi giocatore degno di tal nome dovrebbe scoprire da solo, e si finirebbe col commettere un torto verso chi non l’ha ancora affrontato.
La protagonista è April Ryan, diciottenne di un prossimo futuro, con le problematiche di tutti, in eterno conflitto con la sua famiglia, trasferitasi a New Venice per studiare arte, con la sua piccola cerchia di amici, un lavoretto part-time e una vita come tante, ma con una caratteristica peculiare, degli strani sogni ricorrenti che pian piano, mescolandosi con la realtà, la porteranno a scoprire l’esistenza di due mondi contrapposti ma complementari: uno tecnologico (Stark) e l’altro magico (Arcadia), e che il destino, l’equilibrio di entrambi è in pericolo, e la loro sorte è proprio nelle sue mani.
Oggi, dopo mesi dalla sua conclusione, parlare di The Longest Journey è un pò come sbirciare nel mio cuore alla ricerca di un caro ricordo. Risulta superfluo soffermarmi sull’interfaccia o sulla grafica, perché mai come in questo caso sono semplici mezzi - assolutamente convincenti e funzionali - tramite cui godersi questa esperienza. Quando si parla di titoli di questa portata, ha davvero pregio notare che in giro ce ne siano altri dotati di una risoluzione maggiore, dialoghi più snelli e il parlato interamente in italiano? Glisso sull'ovvia risposta. Vero, una recensione dovrebbe oggettivamente descrivere pregi e difetti, ma in questo caso suonerebbe forzato. Sarebbe come fermare un momento emozionante della propria vita ed analizzarlo razionalmente, svilendolo.
The Longest Journey, a meno di non avere una viscerale avversione per le avventure grafiche, deve essere assolutamente giocato. Ho affrontato i 13 capitoli della storia, a cavallo tra fantasy e realtà, subito dopo quel gioiello di Syberia, e avendo letto pareri entusiastici che arrivavano a descrivere il titolo Funcom come la più bella avventura di sempre; personalmente, sono contrario ad affermazioni così assolutistiche, e mi accingevo a demolirlo, perché intimamente convinto che non potesse sorprendermi come accaduto pochi giorni prima con l’avventura di Kate Walker, perché l’ambientazione non sembrava così attraente, perché la protagonista dall’aria depressa della cover mi ispirava antipatia, perché, semplicemente, non poteva essere la più bella avventura di sempre…quanto mi sbagliavo! Quanto mi sono ricreduto dopo 3 giorni di gioco intenso, nel momento in cui ho visto, con annesso pianto liberatorio, la sequenza finale! Specie nel realizzare che tutto era finito e non avrei più viaggiato insieme ad April tra Stark e Arcadia.
La mia non è una critica verso la longevità: quello che ho affrontato è stato talmente coinvolgente ed appagante da non aver pensato per un solo istante ad una durata esigua. Difatti la qualità è assodata ma è anche la quantità a sorprendere: la mia esperienza nel campo delle avventure grafiche ha favorito uno svolgimento senza eccessivi intoppi, ma non è detto (anzi sarei pronto a scommettere il contrario) che altri non restino bloccati per giorni su un dato enigma (ce ne sono tanti, alcuni molto tosti).
Dicevo, non sono i 3 giorni il problema: fossero stati 30 sarebbe stato lo stesso. Semplicemente in cuor mio non volevo che finisse, pur avendo paradossalmente fatto di tutto per terminarlo; perché sapevo di poterci rigiocare, ma non sarebbe stato lo stesso perché, appunto, ci avrei semplicemente “rigiocato”, mentre la prima volta l’avevo vissuto, attimo per attimo. Perché non avrei più rivisto un’amica con cui avevo affrontato tranelli, scontri epici, incontrato personaggi strambi e che alla base di tutto mi aveva reso partecipe delle sue paure, dei suoi timori, delle sue insicurezze che erano, incredibilmente, le stesse che provavo io, da sempre.
Perché The Longest Journey è anche la mia storia, è la storia di come va il mondo, la storia di tutti; e una volta finito, lascia un carico emozionale non indifferente.
The Longest Journey equivale a tutta una vita con annessi personaggi più o meno importanti, e se non ne cito nessuno è perché nella sua economia anche quelli apparentemente insignificanti è giusto che ci siano, e trascurarne anche solo uno sarebbe delittuoso, perché ognuno di essi rende The Longest Journey il capolavoro che è, perché ogni tassello che si aggiunge al plot narrativo porta riflessioni, malinconia, disillusione e finanche speranza... si affrontano le proprie paure e ci si ritrova, dopo aver avuto in mano le sorti di ben due mondi, ad essere ancora dei “miseri” esseri umani.
The Longest Journey suggerisce che ognuno, anche se non si ritiene speciale, in realtà lo è, o forse dovrei dire “può esserlo”, se lo vuole fermamente. L’elemento umano di April è sempre presente, anche quando in ballo c’è il destino del mondo. Per una volta, non c’è il classico personaggio senza macchia e senza paura, ma uno normale, "uno di noi", con i problemi, le fisime e le contraddizioni di tutti. Il titolo Funcom suggerisce che chiunque, nel suo piccolo, può cambiare il mondo e renderlo migliore.
E alla fine del gioco (quanto mi scoccia chiamarlo così), scopriremo di avere un po’ di April Ryan nell’animo o semplicemente, ci accorgeremo che c’è sempre stata… e un pochino, si, ci aiuterà, nella consapevolezza che anche noi dobbiamo affrontare, giorno dopo giorno, il nostro “viaggio più lungo”.
The Longest Journey
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- Pubblicato: 22-11-2008, 12:12
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The Longest Journey
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Un bel gioco, mi ricorda un pochino Syberia ed Elder scrolls 3
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Originariamente inviato da RobbeyUn bel gioco, mi ricorda un pochino Syberia ed Elder scrolls 3
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