L’(anti)eroe di turno è Caleb, un pistolero di fine Ottocento, uomo violento e sadico nonché seguace di una setta nota come “The Cabal”; assieme alla fidanzata Ophelia e ad altri due compari, Caleb riuscì rapidamente a scalare i gradi della setta, fino ad avere il privilegio di entrare in contatto diretto con l’entità che veneravano, Tchernobog. Per qualche motivo, però, Tchernobog giudica non degni i quattro e li uccide, consegnandoli ai suoi mostruosi sottoposti: anni dopo, Caleb sorge dalla tomba pieno di rancore verso il dio oscuro e i suoi adepti, desideroso di sterminare tutti. Il gioco è composto di quattro episodi, il primo dei quali rilasciato ai tempi come shareware, con il tema comune della ricerca ed eliminazione di una delle tre divinità a cui sono stati sacrificati i compari di Caleb (Cheogh il gargoyle, Shial la regina dei ragni e Cerberus... beh, mi pare ovvio) fino a giungere allo scontro definitivo con Tchernobog. Pochi mesi dopo l’uscita del gioco sul mercato vennero prodotti un paio di add-on ufficiali, “Cryptic Passage” e “Plasma Pak”, ovvero due interi episodi aggiuntivi comprendenti nuovi nemici, armi e mappe per il deathmatch on-line, adeguatamente definito “Bloodbath”.
L’avventura post-mortem di Caleb inizia nel cimitero in cui era stato sepolto e nel relativo complesso mortuario, per dipanarsi attraverso una moltitudine di ambienti fra cui per esempio un treno zeppo di cultisti, un luna park mostruoso, una cattedrale sconsacrata, una nave, alberghi, fabbriche, condotte fognarie, ospedali, e tanti altri luoghi corrotti dall’influenza della Cabal. Le ambientazioni non si susseguono senza logica, ma compongono un percorso sempre coerente e in linea con i princìpi del gioco, secondo cui ogni orrore non fa che nasconderne un altro più tremendo: un ottimo modo per rispecchiare l’ossessione di Caleb, spinto solo da determinazione e sete di vendetta ad esplorare anche i recessi più marci dell’orribile mondo in cui vive.
Ogni livello è realizzato con grande cura per quanto riguarda la ricostruzione delle ambientazioni, tenendo sempre presente l’anno in cui è stato prodotto il gioco e il fatto che si tratta di un finto 3D: tutto questo sia per la diversificazione degli ambienti, sia per l’interattività possibile con i vari oggetti sparsi per le stanze (in particolare riguardo alla distruzione degli stessi), sia per l’implementazione delle leggi fisiche nel gioco, soprattutto relativamente alle aree che prevedono la deformazione dei terreni (lastroni di ghiaccio che si spezzano, terremoti…), sia per la complessità delle mappe, talvolta disposte su più livelli, che spesso comprendono un grande numero di intercapedini, aree comunicanti, stanze segrete e a volte super-segreti non conteggiati al completamento di un’area. Come se tutto ciò non bastasse, ciascuno dei quattro episodi contiene un intero livello aggiuntivo segreto da scovare!
Ovviamente non appena usciti dalla bara verremo accolti da un simpatico “comitato di benvenuto” che comprenderà dapprima solo zombi, qualche cultista e alcuni animali posseduti, ma ben presto affronteremo membri ben più pericolosi dell’armata di Tchernobog, come i gargoyle volanti, i mastini infernali sputa fuoco e gli spettri semi-immateriali, e i cultisti si faranno sempre più aggressivi e meglio armati man mano che ci avvicineremo al santuario del dio. Caleb però non ha perso la sete di sangue che lo animava quand’era un pistolero: il nostro parte con un forcone arrugginito, che torna sempre utile per sforacchiare qualche non morto, e mette insieme un arsenale che comprende fra gli altri una pistola lanciarazzi, un fucile a pompa, una mitragliatrice, detonatori, e armi più inusuali, come un lanciafiamme improvvisato composto da una bomboletta spray e un accendino o il Tesla Cannon, un’arma che spara letali proiettili di energia elettrica, per non parlare degli sconfinamenti nell’occulto come una bambolina voodoo da infilzare per causare danni al nemico più prossimo e un bastone magico che assorbe l’energia degli avversari per donarla a noi.
Blood, tra le altre cose, ha anche il merito di introdurre un concetto allora praticamente sconosciuto tra gli sparatutto: ogni arma possiede una modalità di fuoco alternativa, più distruttiva ma più dispendiosa in termini di munizioni, e che in certi casi ne modifica completamente l’utilizzo. Per fare un esempio, la bomboletta spray può essere utilizzata a mo’ di lanciafiamme a corto raggio come detto prima, ma la modalità di sparo alternativa prevede di accenderla e lanciarla come una bomba molotov.
L’avventura di Caleb non è solo massacro indiscriminato, ma comprende anche alcuni semplici puzzle. Il più delle volte si tratta, al solito, di recuperare le chiavi per aprire le giuste porte e dis/attivare congegni e interruttori vari, ma anche qui i designer sono riusciti a ravvivare la banalità del concetto integrando in modo originale i rompicapo con l’ambientazione dei livelli: per dirne una, l’unico modo per terminare il livello del treno è farsi strada fino al locale caldaie e lì disattivare i congegni di sicurezza per far surriscaldare ed esplodere il motore, in modo da fermare la corsa del mezzo! E comunque sono sufficienti le dimensioni di certe aree, a volte veramente intricate, a tenere impegnati i giocatori a cui non basta solo far saltare un po’ di teste. Più problematici sono invece i puzzle e gli eventi che coinvolgono il dover saltare da un punto all’altro, dato che non è possibile determinare con precisione la posizione di Caleb: certi passaggi di questo tipo possono diventare frustranti, ma per fortuna il gioco ne comprende pochi.
Appurate tutte le qualità del gameplay del gioco, passiamo al lato tecnico/artistico: come detto in precedenza, i livelli, seppure in finto 3D, restano molto dettagliati e convincenti ancor oggi, con la sola pecca di una certa ripetitività nelle texture e nella palette di colori, cose che comunque non fanno che aumentare il senso di oppressione e angoscia che si respira in tutti gli ambienti. Ci sono poi molti “tocchi di classe” che non ci si aspetta di trovare in un gioco del 1997: gli schizzi di sangue lasciati dai nemici uccisi non spariscono, ma rimangono su muri e pavimenti, così come i fori dei proiettili; i bossoli rilasciati dalle nostre armi e i cadaveri smembrati di alcuni nemici copriranno sempre i pavimenti… per non parlare di trovate come le teste degli zombi uccisi che possono essere allegramente calciate in giro come palloni, spargendo zampilli di sangue qua e là! Si sprecano inoltre gli esempi dell’ umorismo nerissimo e malato del team di sviluppatori, come i resti umani mutilati conservati nelle celle frigorifere o la sala dell’eutanasia nell’ospedale che si rivela una camera delle torture. L’unica cosa che non ha resistito alla prova del tempo sono le scene d’intermezzo in grafica 3D poste alla fine di ogni episodio, che riviste con gli occhi di oggi sembrano più grottesche e ridicole che spaventose.
Le melodie di sottofondo sono debitamente angosciose anche se ripetitive (o forse proprio per questo) e alcune di esse si segnalano per le voci e i sussurri inquietanti mescolati alla musica che ci faranno venire qualche brivido mentre percorriamo i corridoi in attesa che qualche mostro appaia. Discorso diverso per gli effetti sonori e i rumori ambientali, tutti molto azzeccati e convincenti, dai gorgoglii, ululati e grugniti di zombi e mostri vari, al bizzarro e incomprensibile linguaggio blasfemo dei cultisti, dai rantoli agghiaccianti di Caleb quando sta soffocando alle sue grida disperate quando sta prendendo fuoco. Il nostro poi non vuole certo essere inferiore al Duca e anche lui si produce in tutta una serie di osservazioni sarcastiche e battute da duro, per non parlare di quando tenta di cantare celebri canzoni con la sua voce rauca nei momenti di inattività… Per finire, tutto il gioco è tappezzato da numerosissimi riferimenti visivi, sonori e tematici agli horror cinematografici e letterari, da Lovecraft alla serie Evil Dead (“La casa”), da Frankenstein a Freddy Krueger, da Freaks a Shining (una delle mappe è vagamente basata sull’Overlook Hotel, con tanto di Jack Torrance congelato nel labirinto!), a testimonianza di un vero amore per il genere da parte di quei matti di Monolith. Blood alla fine è proprio questo, un atto d’amore per il genere horror trasposto in forma giocabile e per i FPS in generale, nonché un titolo parecchio longevo (praticamente eterno, se consideriamo che ancora oggi vengono realizzate nuove mappe per i deathmatch online), giocabile e originale per i tempi.
A Blood seguì l’anno successivo Blood II: The Chosen, ambientato nel presente, con la Cabal che si nasconde sotto le mentite spoglie di una multinazionale; il successo di questo seguito, considerato all’unanimità meno riuscito e appassionante, fu però nettamente inferiore rispetto a quello dell’originale.
Federico "Boiakky" Tiraboschi