Nel prequel vennero gettate le basi del picchiaduro moderno a incontri. Queste fondamenta, come ha giustamente sottolineato il buon Epikall nella sua analisi del primo Street Fighter, equivalevano in sostanza ad una maggiore cura nei confronti dei personaggi sia in termini ludici, dotando ciascuno di un attacco personale ma soprattutto di una mossa speciale, sia in termini prettamente formali, donandogli una nazionalità ed un determinato stage. Con Street Fighter II tutti questi elementi vennero nettamente migliorati con risultati devastanti in termini di appeal nei confronti del pubblico. Il mercato delle sale giochi fu infatti quasi completamente mangiato dal titolo Capcom che divenne in pochissimo tempo forse il titolo arcade più diffuso al mondo. Questo successo causò un’autentica pazzia da parte dei fan: file di giocatori davanti al cabinato, un sacco di gente che era pronta a darti i consigli più disparati su come battere questo o quell’avversario, gente che semplicemente se ne stava lì accalcata attorno a te anche solo per osservare mentre eri impegnato in una partita.
A cosa fu dovuto quindi un tale successo? La prima cosa che balza all’occhio, mettendoci nei panni dei giocatori dell’epoca (e ciò non sarà difficile), è una giocabilità assai profonda rispetto ai precedenti fighting game. Yoshiki Okamoto e il suo team, rispetto al primo Street Fighter, introdussero un ulteriore ampliamento degli attacchi basati su sei tasti di cui tre corrispondevano a pugni di potenza crescente e i restanti tre ai calci. Ogni personaggio fu dotato così di più mosse speciali eseguibili per mezzo di diverse combinazioni tra joystick e pulsanti. Alcune delle tecniche effettuabili sono davvero entrate nella storia e nell’iconografia legata al genere del picchiaduro a incontri: il cosiddetto Hadouken, la sfera di energia di Ryu e Ken, già visto nel primo capitolo; lo Shoryuken, l’uppercut volante anch’esso già visto sempre per mano di questi due lottatori oppure il Sonic Boom di Guile. Ad arricchire il reparto scontri ci pensava un sistema di collisioni calibrato al millimetro in grado di consentire a ciascun giocatore di prevedere esattamente il raggio d’azione delle armi a propria portata sia che si tratti di manovre offensive che difensive. A completamento del tutto venne elaborata una perfetta caratterizzazione dei personaggi. Ognuno di essi, oltre ad essere aumentati numericamente per un totale di otto, si fece subito notare per un look personale così semplice ma altrettanto azzeccato che era impossibile non rimanerne affascinati. Aggiungendo infine una trama che, per quanto basilare, accompagnasse ciascun guerriero, il gioco era fatto: immedesimazione completa sotto tutti i punti di vista.
Dopo questa ampia parentesi storiografica passiamo alla recensione vera e propria. Un anno dopo Street Fighter II è inutile dire che dilagò l’esplosione delle conversioni casalinghe. Quella per Super Nintendo è probabilmente la più nota, oltre che per la fedeltà, anche per l’aver fatto impennare con la sua sola presenza le vendite del 16 bit della casa di Kyoto. Diversamente dal mio solito partirei con l’affrontare il discorso grafico: siamo praticamente su livelli strepitosi considerando quanto distava in capacità una cartuccia per Super Nintendo (16 Megabit) rispetto alla massiccia versione da bar. I personaggi appaiono logicamente ridotti in dimensione ma il livello di dettaglio rimane veramente alto e apparentemente identico all’originale. Stesso discorso per la palette di colori e le animazioni le quali, se non sono fedeli al 100%, poco ci manca. Pregevolissima poi la fluidità con cui si muove il tutto. Non si avverte alcun rallentamento nonostante una pavimentazione degli stage che si muove in parallasse. Mantenuto intatto il sistema di collisioni la cui prontezza e rapidità, mischiate alla puntualità della risposta dei comandi, riesce a garantire un ritmo di gioco appagante e sostenuto.
Visivamente SF II è un grandissimo esempio di game design. Ritengo che ogni singolo tassello dell’architettura grafica di questo gioco si sia impresso nell’animo di tutti. Non so voi ma a distanza di anni, nonostante si sia fatto di meglio in seguito, è ancora inalterata quella straordinaria armonia e vivacità con cui si presentano esteticamente sia i singoli personaggi che i rispettivi campi di battaglia. Guardando il titolo Capcom si ha sempre la percezione che in qualche modo tutti i tasti siano stati premuti esattamente nella maniera giusta, si percepisce un senso di perfezione che si può rintracciare sì e no in una manciata di altri lavori nella storia dell’intrattenimento elettronico. Il rosso del kimono di Ken, la vasca gocciolante di Honda, la polleria alle spalle di Chun-Li o gli elefanti di Dhalsim. Sembra che tutto ciò fosse da sempre nelle nostre fantasie di videogiocatori e che Capcom lo abbia tramutato in realtà senza deludere i gusti di nessuno. L’appagamento dell’occhio si aggiunge poi a quello delle orecchie con un campionario di effetti sonori e musiche passato negli annali e anch’esso impresso, per originalità e freschezza, nell’animo di chiunque. La colonna sonora è tanto stimolante quanto ipnotica. Ciascuna canzone rappresenta perfettamente lo spirito del combattente o il frangente di gioco per la quale è stata concepita ed anche in questa sede, parallelamente alla grafica, il senso di appagamento è totale. Sono passati ormai vent’anni eppure molte di queste melodie, se non tutte, sono ancora vivide nelle nostre teste pronte ad essere canticchiate in doccia a dimostrazione della bontà del lavoro del duo di compositori costituito da Yoko Shimomura e Isao Abe. Gli effetti sonori d’altro canto hanno segnato semplicemente un’epoca aiutati dall’accompagnamento di un parco mosse diventato leggendario.
Affrontiamo ora la parte più difficile: analizzare la giocabilità di un titolo della portata di Street Fighter II implica sicuramente l’impatto con una grossa problematica. Dobbiamo valutare solamente il grado di fedeltà di questa conversione risalente al 1992 oppure stabilire quanto vale questo gioco nel nuovo millennio lasciandoci così alle spalle l’affetto nato allora? La cosa più saggia e conveniente sembrerebbe decidere di intraprendere entrambe le vie così da avere più chiavi di lettura. Calandoci nella prima ottica si può facilmente riparlare, come due paragrafi fa, di quasi arcade perfect: il coin-op c’è davvero tutto e poco importa se certe tinte non sono esattamente identiche in ogni sfumatura all’originale, se gli sprites sono più piccoli o se manca qualche campionamento audio all’appello, sono dettagli questi che sono così per ragioni tecniche sacrosante e quindi di per sé trascurabili in confronto alla magnificenza ludica dell’opera nella sua interezza. La variazione estetica, scaturita dalle differenti capacità di Super Nintendo e scheda CPS-1, viene tra l’altro ampiamente colmata dal fatto che su console è possibile fare partite multiplayer all’infinito e soprattutto gratis. Si realizza così il sogno di tutti quei ragazzini che, dopo un certo numero di gettoni, dovevano rinunciare al godimento ludico per crisi finanziaria o di quei fanciulli i quali, non possedendo il gioco, potevano ora autoinvitarsi spudoratamente a casa del fortunato amichetto dotato di 16 bit Nintendo, doppio joypad e titolo Capcom (come feci io con Ricky).
Escludendo l’aspetto legato alla disparità qualitativa tra versione casalinga e originale non rimane che porsi il quesito decisivo ovvero capire se SF II può ancora dire la sua in quanto picchiaduro o se il passare del tempo lo ha inesorabilmente indebolito. La risposta è difficile prima di tutto per un motivo: questo è un titolo che è stato sviscerato, per non dire abusato, in ogni suo anfratto da milioni di persone tanto da assimilarne nel proprio patrimonio di videogiocatori tutti i personaggi, le rispettive vicende, mosse, stage e addirittura i singoli campionamenti sonori. Giocato oggi il lavoro Capcom mostra perciò il peso degli anni. Il livello di sfida si è inevitabilmente abbassato e, a meno che non ci troviamo in compagnia di un amico, è sicuramente diminuito quel minimo di componente strategica dato dall’affrontare un combattente rispetto ad un altro considerando che, appunto, sappiamo tutto di loro. Sia chiaro, questo succede in tutti i picchiaduro quando ne si diventa assidui fruitori, ma di acqua sotto i ponti ne è passata e nel frattempo lo stesso genere beat’em up si è evoluto raggiungendo vette ludiche più raffinate e aumentando in affollamento. Se settiamo il livello di difficoltà al massimo, questo gioco riesce ancora a fornire comunque delle piccole soddisfazioni dato che certi avversari riescono ancora a risultare assai coriacei: stiamo parlando di alcuni boss, Vega e Bison e di quei combattenti che alle volte vi chiuderanno ai margini dello stage lasciandovi spesso ad incassare impotenti e con poco tempo per ragionare sulle contromosse. Al contrario molti altri lottatori saranno purtroppo relativamente facili da battere.
Un altro elemento che non favorisce Street Fighter II è l’aver prodotto una miriade di figli legittimi e illegittimi che ne hanno gradualmente sminuito il valore. Per esempio, giocando ad un Super Street Fighter II hai qualcosa in più in termini di appeal già solo grazie all’accresciuto parco combattenti o per via delle modalità aggiuntive portandoti quindi a metterne da parte “il padre”. E questa è solo una quisquilia in confronto a quanto mostrato in seguito all’interno del genere da parte della concorrenza e della stessa Capcom. Questo gioco dunque, rivissuto oggi, appare più come un diamante fulgente se però visto sotto la luce del “mordi e fuggi”, mentre in quanto ad esperienza ludica più sostenuta, dato che tutto quello che c’era da scoprire lo si è portato in superficie migliaia di volte nel corso di anni e anni, può benissimo andare incontro anche all’effetto “nausea”. In poche parole SF II è adatto nel nuovo millennio al casual gamer, al classicista o al fan nostalgico ma non a chi cerca molta più profondità di gioco. Per il resto il suo fascino è rimasto immutato così come è inalterata l’aura di rispetto che lo avvolge quasi come se fossimo al cospetto di una grande personalità che ha lasciato un segno indelebile nella storia. Gli va dato merito che il gameplay è pur sempre oggettivamente immediato e divertente. Le vesti grafiche e sonore d’altro canto rimangono degne di considerazione e, a mio giudizio, in certi casi sono ancora ineguagliate per originalità e freschezza. L’eredità di questo gioco è perciò enorme, ha influenzato la nostra gioventù e senza di esso non saremmo i videogiocatori, per non dire le persone, che siamo ora né il mondo dell’intrattenimento elettronico sarebbe lo stesso. Sperando di non aver detto fin qui un mucchio di banalità al cospetto dell’importanza del titolo Capcom vi lascio con una citazione, una sorta di metafora che per me rende bene l’idea di ciò che c’ha trasmesso Street Fighter II sia come giocatori che come bambini, ragazzi che poi si son trasformati in uomini.
“Il giorno che ti lascerò, tu, oltre a saper combattere, saprai prenderti cura di te stesso anche fuori dal ring, sono stato chiaro?” (Mickey a Rocky - Rocky V)
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