D'accordo, potrebbe essere che la versione occidentale del gioco abbia modificato le carte in tavola nel corso del processo di localizzazione, però bisogna ammettere che questa è una delle trame più insolite mai ideate nel tentativo di giustificare ciò che avviene nei videogiochi, che di solito in quel periodo non brillavano per coerenza.
KQF è un platform game dalle bizzarre ambientazioni (se ne parla più in dettaglio dopo) in cui il nostro protagonista, oltre a saltare, correre, sparare proiettili e ammazzare tutti a suon di ciocche rosso fuoco, è in grado anche di aggrapparsi a determinati elementi dello scenario, che possono essere muri verticali, corde oppure predelle sospese nel vuoto/fuoriuscenti dai muri (quindi attore kabuki + soldato = ninja?). Il saltare sulle predelle è uno degli elementi principali nella meccanica del gioco: il nostro eroe infatti, oltre ad aggrapparsi ad esse per poi arrampicarvisi e usarle come normali piattaforme, può dondolarsi da esse per poi darsi un certo slancio, fare una capriola e lanciarsi verso la predella più vicina oppure evitare determinati ostacoli. Fin da subito questo tipo di mossa diventa piuttosto comune, ma già dal terzo livello diventa imperativo saper dosare bene la pressione sul tasto del salto in modo da calibrare correttamente lo slancio ed evitare di schiantarsi così contro i numerosi ostacoli. In effetti si può dire che quello dei salti sia l'ostacolo più grosso al completamento del gioco, più dei nemici e dei boss di fine livello che non sono mai troppo difficili da evitare o duri da battere (con l'eccezione del guardiano di fine quarto livello, parecchio ostico): non di rado ci si trova a dover memorizzare con precisione delle sequenze di salti da compiere e corrette direzioni in cui indirizzare la capriola per superare dei punti che altrimenti diventano un po' frustranti da superare.
Si parlava dei nemici: ce ne sono di diversi tipi, i più sono strane creature nella miglior tradizione fantascientifica/trash giapponese, altri invece si possono considerare rimandi alle figure di samurai e ninja, assieme al protagonista esempi di quel passato giapponese che ogni tanto fa capolino nel design generale dei livelli. Come detto essi non rappresentano un grosso problema, se si considera che il nostro è armato oltre che dei suoi capelli anche di alcuni proiettili a lunga/media gittata. Sotto la barra dell'energia c'è una barra chiamata "chip" (dovremo pur ricordarci che siamo dentro a un computer...), la quale rappresenta l'energia dell'arma/il numero di proiettili a disposizione. Esistono varie tipologie di armi, ma non sono tutte disponibili dall'inizio, bensì ce ne verrà rivelata una nuova ogni volta che finiremo un livello; ovviamente ciascuna sarà sempre più potente della precedente ma consumerà anche più chip, i quali però fortunatamente vengono rilasciati anche dai nemici (e rigenerati di un poco, assieme all'energia, nella fase che precede lo scontro con i boss). A mio parere questo sistema smorza un certo aspetto strategico che il gioco avrebbe potuto avere: invece di rendere i nemici quasi uniformememente deboli, dato che nei primi livelli sono disponibili solo le armi più scarse, non sarebbe stato meglio rendere tutte le armi disponibili sin dall'inizio e inserire qualche nemico regolare un po' più forte? Così facendo il giocatore sarebbe stato incentivato fin da subito a sperimentare con le armi e al tempo stesso a pianificarne l'uso per evitare di esaurire la scorta di chip. Sono solo mie idee, però sta di fatto che alla fine il modo migliore di procedere nel gioco è non usare quasi mai le armi affidandosi solo alla rossa chioma (anche perché alcune delle armi disponibili sono abbastanza inutili) e limitarsi a risparmiare tutti i chip in vista dello scontro con il boss, togliendo così profondità all'esperienza di gioco.
Un'altra cosa che infastidisce è dover ricorrere ai pugni nudi invece che ai capelli una volta inginocchiati, il nostro "Kabukiman" ha infatti il braccino corto e deve avvicinarsi troppo ai nemici per colpirli, finendo spesse volte per venire colpito lui prima che possa fare qualcosa.
A conti fatti completare il gioco non richiede comunque molto tempo: ci sono solo 5 livelli + scontro con il boss finale, e a poco serve aggiungere qualche segmento di livello aggiuntivo qua e là o rendere l'ultimo lungo quasi il doppio rispetto agli altri, sbilanciando così il tutto; si ha inoltre l'impressione che certe sezioni coi salti siano state rese volutamente frustranti (vedasi praticamente l'intero terzo livello) per prolungare così in modo non troppo onesto la permanenza in una determinata area. Per di più la brevità è accentuata dal fatto che esistono sì solo due possibilità di continuare dopo il game over, ma il gioco stesso obbliga a sfruttarle, non lasciando altra opportunità a chi non volesse continuare che quella di spegnere o resettare la console.
Cambiando argomento, la grafica è molto colorata e discretamente dettagliata: gli sprites di protagonista e nemici sono minuscoli ma ben definiti, però mentre "Kabukiman" gode di animazioni fluide per le sue acrobazie, i suoi avversari sono piuttosto statici. Le ambientazioni sono piuttosto particolari, infatti per rappresentare la minaccia del virus che infetta i computer i grafici hanno adottato uno stile che si potrebbe definire "tecno-organico", con strane e schifose masse pulsanti e dai colori accesi sparse qua e là, quelli che potrebbero essere feti alieni come elementi di alcuni sfondi e bizzarrie come scheletri e ciò che sembrano globuli rossi e bronchi sparsi per tutto l'ultimo livello. Senza arrivare ai livelli sublimi di R-Type, il tutto ha comunque un certo suo fascino (...dell'orrido?)! Per il resto i livelli sono disseminati di gadget tipici dei platform del periodo come nastri trasportatori, pavimenti scivolosi, spuntoni semoventi ecc.
Le musiche che fanno da sfondo all'avventura si dividono tra molto ritmate, che trasmettono bene un certo senso d'urgenza nel completare i livelli, e cupe, come quella dell'introduzione; purtroppo però sono composte da samples molto brevi, il che significa che tendono a diventare ripetitive troppo presto. Gli effetti sonori sono pochi e dimenticabili.
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