A qualcuno piacerebbe trovarsi in un gioco dove ci si deve avventurare in un immenso dungeon senza alcuna indicazione, controllando diversi personaggi con differenti capacità non immediatamente evidenti, allo scopo di superare alcune aree non mappate in alcun modo che richiedono l'uso di item e abilità specifiche, tutto questo senza alcun hint interno né dialoghi ma solo con l'aiuto delle vaghe indicazioni fornite dal manuale accluso? Se la risposta è sì, amici lettori, allora vi do il benvenuto nel mondo di Legacy of the Wizard.
LOTW è un titolo prodotto in origine per MSX dalla Falcom nel 1987 e la cui versione NES fu distribuita dalla Broderbund per l'Occidente nel 1989. Esso fa parte della serie di giochi fantasy “Dragon Slayer”, in realtà abbastanza poco correlati tra loro. In effetti, in Giappone il gioco è noto come “Dragon Slayer IV: Drasle Family”, proprio perché andremo a controllare tutti i vari membri della famiglia Drasle (da DRAgon SLEyer... che mattacchioni 'sti giapponesi).
Che famiglia è questa family
La trama di LOTW è quanto di più tipicamente fantasy ci sia: la draghessa Keela terrorizzava il regno fino a quando un mago riuscì a sconfiggerla e addormentarla con un incantesimo. Ora però alcuni segnali suggeriscono che l'effetto della magia stia svanendo e Keela si prepari a risvegliarsi. Entrano in gioco quindi i discendenti del mago (da cui il titolo: “L'eredità del mago”), la famiglia Drasle al completo, che tentano di risvegliare Keela prima che abbia finito di riacquistare pieni poteri, per poterla distruggere una volta per tutte. Scopo del gioco è quindi calarsi nel dungeon comodamente situato proprio sotto casa Drasle (letteralmente), ritrovare e uccidere quattro mostri e ottenere così quattro corone che serviranno poi a recuperare la leggendaria Dragon Slayer (e ridagli), la spada necessaria per eliminare Keela.
Detta così sembra facile, ma vorrei ricordarvi che il suddetto dungeon è un labirinto infernale zeppo di scale, passaggi segreti, porte nascoste, negozi segreti, porte da sbloccare, muri da rompere o illusori, teletrasporti da attivare, puzzle basati sullo spostamento di blocchi e tante altre belle cose di cui i nostri eroi (nonché noi giocatori) sono bellamente ignari. A proposito di eroi, il gioco inizia direttamente nella linda casetta di legno dei Drasle, da dove potremmo scegliere uno qualsiasi fra i membri della famiglia, incluso l'animale domestico! Beh, ho detto “uno qualsiasi”, ma non è proprio vero: il grande mago e la moglie sono ormai due vecchi rimbambiti il cui unico scopo nella vita è rilasciare e confermare le password per i salvataggi (le solite orrende stringhe incomprensibili di caratteri alfanumerici). Passiamo dunque al resto della famigliola: il padre (Xemn) ha un attacco potente ma salta poco ed è lento, la madre (Meyna) ha delle caratteristiche medie riguardo a velocità e salto ma ha una buona magia offensiva, la figlia Lyll salta altissimo, è veloce e ha pure un discreto attacco magico, il figlio Roas è una mezza sega (però è l'unico a poter brandire la Dragon Slayer), e per finire “Pochi”, il mostro addomesticato, ha delle caratteristiche medio-basse in tutto ma è dotato dell'interessantissima capacità di venire totalmente ignorato dai mostri che popolano il dungeon, i quali lo considerano come uno di loro (a quanto pare la “puzza di umano” che ha addosso non basta a farlo riconoscere come un estraneo).
Siamo quindi pronti a iniziare l'avventura: usciamo di casa col personaggio prescelto, scendiamo le scale e ci introduciamo nel dungeon per andare... dove? Qui sta il problema: non abbiamo la minima indicazione sul da farsi, non esistono mappe e gli unici NPC che incontreremo saranno i proprietari degli ostelli e dei negozi, i quali comunque non forniscono alcuna informazione che non sia il prezzo dei loro servizi/prodotti. Il che vuol dire che ci venderanno item dei quali non sospettiamo neppure l'utilizzo, a patto di leggere il manuale.
Riguardo agli item, l'inventario è condiviso tra tutti i membri della famiglia, ma non tutti possono usare tutto: certi oggetti sono privilegio di uno specifico personaggio (come indicato nella schermata dell'inventario, dove gli oggetti che uno non può usare sono indicati da un numero annerito). Per esempio, solo il padre può indossare i guanti che servono a spostare i blocchi, solo Lyll può usare il piccone per distruggerli, solo la madre può usare le ali per volare e così via.
Se gli anni Ottanta sono stati il tempo del “videogiocatore cartografo”, LOTW è forse l'espressione suprema di questa tendenza: in assenza di hotline, internet e guide varie, tutto ciò che poteva fare un possessore di questo gioco era riempire fogli su fogli per mappare su carta ogni singola stanza del labirintico dungeon, poiché è umanamente impossibile ricordarsi tutto. Per darvi un'idea, il dungeon è composto da 4 “blocchi” in larghezza per 16 d'altezza, e ognuno di questi blocchi è composto da 12 “caselle” in altezza per 64 in larghezza, e i nostri eroi sono grandi come una di queste caselle. Per chi è allergico ai conti: (4*16) * (12*64) = 64*768 = 49152 caselle. In altri termini, è immenso.
Mi immagino già la scena: un ragazzino dei primi anni '90 si accosta al NES con un pacco di fogli e di matite, inserisce la cartuccia di LOTW, seleziona Pochi e inizia a percorrere schermate in lungo e in largo per segnarsi l'ubicazione di ogni singolo negozio, passaggio segreto, Mimic mascherato da blocco o forziere (!!) che incontra... almeno fino al punto in cui Pochi non riesce a saltare abbastanza in alto per poter raggiungere certe zone, e allora si deve fare tutto il viaggetto di ritorno sino a casa, farsi dare la password dalla vecchia sclerotica e selezionare Lyll o la madre per tornare al punto dove si era bloccato e così via...
Anzi, me ne immagino una migliore: un ragazzino dei primi anni '90 si fa prestare LOTW o lo noleggia (il che vuol dire che quasi certamente manca il manuale), gioca un po', poi si accorge che non riesce a capire che fare, distrugge la cartuccia a sassate e torna a giocare a Super Mario Bros 3.
Seriamente, già recuperare una sola corona è un’impresa, figuriamoci poi completare il gioco! Come se tutto ciò non bastasse, i nostri eroi devono fare attenzione a non consumare tutta la barra della magia con gli attacchi, il che vuol dire che non possono sparacchiare in modo indiscriminato, e ogni volta che cadono da un’altezza superiore a quella raggiunta con il loro salto, perdono un po’ di vita… Buon divertimento!
Dungeon and Dragon
Non è che Legacy of the Wizard sia un brutto gioco, anzi: è apprezzabile vedere un titolo così complesso ed elaborato già nella vita del NES (ricordo comunque che è nato sugli home computer MSX), e certe trovate sono ottime, come la possibilità di mandare Pochi in avanscoperta per esplorare in tranquillità (o quasi). Il fatto è che alcune scelte di design, viste con il senno di oggi, appaiono discutibili e rendono l’esperienza piuttosto frustrante.
In primo luogo l’ammontare di backtracking è davvero eccessivo: già il dungeon è enorme, non è possibile ogni volta doversi rifare tutta la strada fino al punto di partenza per tornare a casa e scegliere il pg più adeguato a superare un certo punto! È vero che ci sono i teletrasporti (rappresentati da dei ritratti), ma vengono attivati solo verso la fine dell’avventura, e l’item che permette di teleportarsi a casa è a uso singolo per cui dovremo prepararci ad acquistarne un bel po’ prima di procedere… a patto di trovare il negozio giusto, ovviamente!
In secondo luogo, l’idea che ogni personaggio possa usare solo determinati item ha un senso, ma è stata mal implementata e non fa che complicare le cose: capisco che i designer abbiano voluto sottolineare il fatto che senza la collaborazione di tutti non si va da nessuna parte e che a ogni membro della famiglia sia “dedicata” una porzione di dungeon (quale? Eh, vi piacerebbe saperlo!), ma il tutto rimane comunque troppo arrabattato e sbilanciato. Lyll e Meyna sono già molto più pompate rispetto ai loro familiari e nonostante questo sono quelle che ottengono gli item più utili e fondamentali per proseguire, mentre si arriva all’assurdo di Roas che è totalmente inutile fino alla sequenza finale della battaglia contro Keela, per chi riesce ad arrivarci, ovviamente. Per di più, alcuni item hanno una funzionalità che va contro ogni logica e si rivelano più controproducenti che utili: ad esempio l’armatura non protegge dagli attacchi, ma serve a danneggiare i nemici andandogli addosso, senza consumare energia magica per l’attacco… solo che prenderemo lo stesso i danni e in più consuma ugualmente la magia! Ma che senso ha?
In sostanza, il gioco così com’è avrebbe necessitato di ben maggiori rifiniture, un vero peccato perché il mondo ideato da Falcom tutto sommato affascina nella sua diabolica complessità (e semi-totale mancanza di storia), condito con una grafica decisamente buona per i tempi (una necessità, altrimenti sarebbe stato impossibile distinguere le varie aree!), simpatiche quanto basilari animazioni per tutti i personaggi buoni e cattivi, musiche del maestro Yuzo Koshiro che entrano in testa e vi ronzano per molto tempo dopo aver terminato la partita… Un vero peccato che non esistano remake aggiornati o simili per ovviare ai vari problemi.
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