Monster Rancher è una serie di videogiochi alla Pokémon. E con questa affermazione rischiamo di far infuriare sia l’una che l’altra fazione.
La profonda galassia del “monster raising”
Forse tutto è cominciato col Tamagotchi, o perlomeno fu allora che il mondo, per iniziativa giapponese, si rese conto che l’idea di prendersi un cucciolo virtuale non era del tutto demenziale. Orde di bambini (di tutte le età) vennero travolte da quel che era un programma fondamentalmente elementare in cui veniva simulata la vita di un mostriciattolo virtuale totalmente dipendente dal proprietario del Tamagotchi stesso. Ogni determinato numero di ore c’era un allarme che ci intimava di nutrire il piccolo, poi di coccolarlo ed eventualmente svolgere mansioni accessorie che ci mettevano poco a diventare una ritualità irrinunciabile qualora volessimo far crescere o semplicemente sopravvivere la nostra creaturina. Ciò si enucleava col tempo in un rapporto sempre più solido col “figlioccio” virtuale che divenne persino materia di studio per sociologi: affetto nei riguardi di un software e di un hardware, roba da resuscitare meditazioni di bladerunneriana memoria. Additati troppo precocemente quali deficienti, i malati di Tamagotchi svelarono agli occhi degli uomini di settore un mercato nuovo nonché un genere videoludico che scalpitava per essere adottato da computer e console.
Fu ancora una volta il Giappone a dimostrarsi d’occhio lungo, tant’è che nel giro di pochissimi mesi numerose compagnie offrirono la loro idea di “monster raising”, ognuna col rispettivo focus su aspetti specifici.
Il caso più celebre è quello nintendiano e dei suoi ubiquitari Pokémon che fu accompagnato da una campagna promozionale faraonica che ben si sposava con dei contenuti informatici sintetizzati attorno ad una formula solida costituita da portabilità assoluta (la piattaforma di elezione è stata il Game Boy in tutte le sue declinazioni), considerevole varietà di mostri e relativi incentivi a collezionarli, combattimenti non violenti, strategia accessibile ad utenti di ogni età ed una sceneggiatura che per quanto esile si prestava ad essere dilatata nell’ordine delle centinaia di ore.
Pressappoco in contemporanea con i lavori del colosso kyotese, la Tecmo preparava Monster Rancher che proprio per la sua collocazione temporale parzialmente sovrapposta difficilmente poteva ispirarsi ai Pokémon con i quali, ad un’analisi appena più approfondita, condivide l’obiettivo di vincere delle sfide combattute da mostri, ma raggiungendolo percorrendo strade spiccatamente divergenti.
Un successo rispettabile
La non straordinaria popolarità del nome di Monster Rancher potrebbe trarre in inganno al riguardo della qualità della serie, accolta con onori dalla critica ad ogni uscita con la doverosa eccezione dell’ultimo sulla Playstation 2.
Il debutto avvenne sulla Playstation nel 1997, dapprima in Giappone e pochi mesi più tardi negli Stati Uniti in lingua rigorosamente inglese. Tale iter è stato seguito pedissequamente da ogni episodio, portatile o meno. Già, niente Europa, ragion per cui potrebbe essere problematico godersi questi videogiochi, ma per fortuna Monster Rancher Advance, oggetto della recensione, sfrutta la natura region-free dell’handheld ospitante.
Sulla prima Playstation furono pubblicati due Monster Rancher (1 e 2), dopodiché la serie proseguì con altre tre uscite sulla seconda generazione della console Sony (Monster Rancher 3, 4 ed EVO), ma anche per le macchine portatili ci sono stati episodi direttamente riconducibili alla saga principale, nello specifico Monster Rancher Advance 1 e 2 per Game Boy Advance e Monster Rancher DS per l’omonima console.
L’ottima ricezione commerciale di questi titoli suggerì alla Tecmo di tentare anche la strada degli spin-off in un momento in cui i Monster Rancher, legittimamente o meno, venivano sempre più accostati ai Pokémon: sulla Playstation prese forma Hop-a-Bout, un casual game con tutti i crismi dove il giocatore veniva messo alle prese con minigiochi a base di salti “per tutta la famiglia” molto semplici ma a quanto pare anche abbastanza godibili; più interessanti i due spin-off intitolati Battle Card (Game Boy e Playstation) che portavano un attacco diretto ai mostri rivali nintendiani imponendo lo stesso principio delle carte collezionabili ed una grafica che nell’edizione portatile sembra un perfetto rip di un Pokémon-game. Vi fu spazio sul Game Boy Color anche per Monster Rancher Explorer che solo molto faticosamente è riconducibile al brand, dato che dovremo destreggiarci in un platform-puzzle simile a Solomon’s Key (sempre del repertorio Tecmo) con i guitti della saga d’appartenenza. Un’accoglienza più tiepida (e forse qualche accusa di plagio al seguito) segnò lo stop alla produzione di spin-off.
Come già anticipato, nessuno dei titoli citati è mai giunto ufficialmente in Europa e, ovviamente, in Italia, ma la cosa più sorprendente è che quando il network nipponico TBS decise di finanziare un anime dedicato esso venne repentinamente localizzato nel nostro idioma, e per entrambe le stagioni prodotte con regolare proiezione pomeridiana su Rai Due. Italiani...
L’attesa del piacere è essa stessa il piacere?
Il filosofo tedesco Lessing sosteneva di sì e chissà quanto deve averci riflettuto. Con Monster Rancher Advance c’è la possibilità di formulare una propria risposta alla questione dopo una prolungata esperienza di gioco, giusto il tempo per realizzare che il cardine di questa produzione è l’allenamento del nostro sgorbio da combattimento, piuttosto che la lotta stessa.
Partiamo dall’inizio per svelare uno dei maggiori tratti distintivi di Monster Rancher: la creazione dell’obbrobrio organico di cui occuparci. Sulle Playstation bisognava inserire un disco qualsiasi nel lettore (di un gioco per qualunque computer o console oppure musicale) dal quale il programma estraeva le coordinate digitali che avrebbero costituito le statistiche del mostro relativo (il music game Vib-Ribbon sfruttava un’idea molto simile) che stimolava il giocatore a dare fondo a tutta la sua collezione di CD per vedere se poteva venirne fuori una creatura utile. Un esempio di successo sulla stessa scia fu quello del Barcode Battler, nato nei primi anni Novanta, con il quale si poteva scannerizzare codici a barre di qualsiasi prodotto per ricavarne dati utili alla costruzione istantanea di un basilare RPG. Su Game Boy Advance non è molto semplice inserire un disco dal diametro di 12 cm (a meno che non siate particolarmente bravi) ed è altrettanto impossibile sostituire la cartuccia “al volo”, per cui alla Tecmo hanno pensato di cambiare radicalmente il meccanismo di creazione utilizzando un input testuale: il giocatore inserisce una parola e ne verrà fuori un mostro in base ai caratteri utilizzati, che potranno comprendere numeri, maiuscole, spazi e simboli vari. E’ un sistema forse meno originale ma in grado di abbattere all’istante tutti i limiti creativi imposti da una libreria di CD per forza di cose non infinita, a differenza delle sequenze di caratteri. Scoprire quale oscenità scaturisce dal nome del vostro canarino o da una digitazione casuale è divertente non meno del gustarsi la fetecchia relativa a The Wall dei Pink Floyd o al secondo disco di Bikini Karate Babes.
La pantegana da laboratorio risultante andrà poi allenata. Nulla di complicato, anzi, anche perché potremo allevare una creatura per volta e dovremo dedicarci anima e corpo. La prima cosa da fare, mese virtuale dopo mese virtuale, sarà decidere di quale alimento farla ingozzare, ognuno dei quali avrà un dato indice di gradimento per mostro e per periodo dell’anno (le banane d’inverno non sono il massimo, almeno secondo i giapponesi), tenendo bene in mente che una dieta corretta ci darà un sorcio più tonico ma un pasto gustoso lo renderà più fedele alla nostra persona. Poi dovremo rivolgerci agli allenatori e ve n’è uno per ogni campo: forza, precisione, intelligenza, vita, eccetera. Saremo spettatori passivi, poiché assisteremo all’allenamento (skippabile) che potrà andare a buon fine o meno ed ovviamente solo nel primo caso otterremo un incremento statistico delle qualità. Ci sarà inoltre la possibilità di effettuare allenamenti complessi che miglioreranno due parametri e ne peggioreranno uno ed al giocatore sarà data la possibilità di formulare programmi specifici e personalizzati. Come se non bastasse, pagando un botto di soldi, potremo mandare la bestia ad un centro specializzato che la curerà con attenzioni particolari per restituircela con cospicui miglioramenti nel campo prescelto e, con la giusta dose di fortuna, persino con una nuova mossa.
Ogni anno è suddiviso in mesi ed ogni mese in settimane mentre noi potremo effettuare un’attività ogni sette giorni: potremo allenarci in una sola maniera per volta e mentre lo faremo non potremo combattere. Vi saranno quindi 48 turni all’anno (alla faccia degli scienziati che parlano di 52 settimane) nei quali programmare il destino del nostro scherzo della natura. L’obiettivo è scalare le classifiche mondiali.
Facciamogli del male, ma troviamo una scusa.
Già, perché creare in laboratorio una creatura dalle fattezze puntualmente immonde per torturarla con allenamenti estenuanti e farla ripetutamente pestare in match spesso non alla sua portata? Per soldi, ovviamente, con grande tripudio degli animalisti.
Noi siamo definiti come difficilmente traducibili “monster breeder”, individui che si occupano di incrociare mostri per ricercarne il campione assoluto, un po’ come avvenuto per le razze dei cani e cavalli. Proprio la metafora equina si rivela assai calzante, dato che lo scopo ultimo del nostro mostro è quello di competere in tornei.
Noi veniamo convocati in uno dei tanti ranch presenti nelle lande (non esplorabili) del gioco, uno di quelli più in difficoltà che è in cerca di un esperto che lo faccia ripartire con stile. Noi, evidentemente, godiamo di buona reputazione ed abbracceremo la causa di Zest e Aroma, i proprietari che ci faranno anche da consiglieri. Da generazioni la famiglia di questi dolci individui si occupa di accudire mostriciattoli destinati alla lotta selvaggia, di costringerli all’allenamento e poi all’aggressione, per congelarli quando non ce ne sarà più bisogno o eventualmente buttarli in discarica se proprio saranno venuti male. Ma tutto con grande amore.
Se il nostro avatar sarà perfettamente trasparente e capace di interagire solo con le opzioni di allenamento e combattimento del mostro, Zest ed Aroma saranno protagonisti, assieme ad una manciata di personaggi secondari, di una trama piuttosto melensa ed inconsistente quanto scandalosamente spalmata nell’ordine delle decine di ore ma che tenta di costituire un ulteriore, per quanto flebile, spunto di interesse. A titolo di curiosità, non ho assistito alla sua conclusione (slegata da quella del gioco che non esiste, essendo open-ended e quindi virtualmente infinito), per cui ho cercato su internet informazioni sugli accadimenti: non ve n’è traccia, a dimostrazione che le frasi centellinate ogni 3-4 ore di gioco erano troppo anche per i giocatori più temerari. Poi mi preme condividere una riflessione: la storia si arricchisce di qualche svolgimento mooolto lentamente, mentre in un’ora riusciamo a fare abbastanza turni da far passare due o tre anni virtuali; possibile che accada qualcosa solo ogni decina d’anni? E com’è possibile che dopo secoli virtuali questi tizi non invecchino? A quanto pare il gioco non è basato su una storia vera.
Ad ogni modo, dal nostro ranch potremo muoverci in pochi altri posti portandoci dietro il nostro ramarro, come l’altare dove creare nuovi mostri, il centro AGIMA per allenamenti speciali, un negozio dove comprare qualche gadget e lo studio dove effettuare esperimenti di ibridazione. Ogni mostro, infatti, potrà migliorare per un determinato periodo di tempo e non all’infinito, perciò quando sarà evidente il raggiungimento dei suoi limiti dovremo scegliere se renderlo un allenatore oppure se congelarlo: nel primo caso potrebbe diventare un coach molto valido se superiore nella statistica di competenza a quello già al nostro servizio, mentre nel secondo sarà ibernato in attesa di un altro mostro col quale incrociarlo. In tale atto entrambi gli sgorbi verranno sacrificati per ottenere una via di mezzo che, nelle intenzioni, dovrebbe ostentare le qualità di entrambi.
Ogni cosa sarà decisa dal monster breeder, noi, e, siccome tutto ha un costo, queste povere bestie bisognerà pur farle combattere per racimolare qualcosina.
“L’avversario si avvicina e lo colpisce con una... leccata!”
Eh, sì. Il “licking” è uno dei colpi più frequenti.
Ogni tot settimane si svolgerà un torneo al quale potremo iscriverci e partecipare. Potrà avere dei turni ad eliminazione diretta oppure un girone all’italiana, ma la modalità di combattimento non muta. All’inizio dello scontro visualizzeremo il nostro esserino sulla sinistra, l’avversario sulla destra e tutta una serie di scritte e numeri in basso. Vi è innanzitutto una barra segmentata in tre parti alle quali corrisponde una specifica mossa. Su questa l’icona del nostro mostro si sposterà a destra o sinistra in relazione alla distanza dal nemico: quando si troverà sul segmento esterno effettuerà un attacco dalla distanza, al centro a media gittata e dal segmento interno si prodigherà in un assalto ravvicinato. Ogni mossa ha un “costo” determinato in “guts” che si accumuleranno con il passare dei 60 secondi disponibili per l’incontro e che andranno centellinati molto saggiamente. Di solito, più “guts” ci vorranno e più sarà potente il colpo, mentre le mosse meno dispendiose ci consentiranno di portare attacchi a più ripetizioni. Balza all’occhio anche la percentuale di probabilità di riuscita dell’offensiva, anch’essa sempre maggiore per i colpi più leggeri.
Ogni mostro ha le sue mosse e saremo noi a scegliere le tre da poter utilizzare in combattimento. E’ possibile acquisirne altre tramite allenamenti speciali o comprando oggetti specifici.
Il gameplay della lotta è ben riuscito: alla Tecmo hanno archiviato l’obiettivo di mantenere la centralità sull’allenamento, infatti il momento dello scontro propone un quantitativo tutto sommato ridotto di parametri da tenere sott’occhio e premia soprattutto il lavoro che ha preceduto il match, dal set di appena tre mosse sfruttabili selezionate alla condizione psicofisica del mostro. Ciononostante, l’esito del combattimento non è mai scontato e chiamerà in causa la nostra astuzia nella spesa dei “guts” (colpi potenti e imprecisi o leggeri e sicuri?), nella cinetica degli attacchi (partire forte o conservare tutto per la fine?) e nel posizionamento nell’arena (attaccare dal fondo o da un palmo di naso?), sempre con grande frenesia perché un minuto passa in fretta. Funziona benissimo.
Pur essendo sbilanciate in ore di dedizione nel quadro generale, le fasi di allenamento e combattimento sono straordinariamente sinergiche in quanto uno sforzo di preparazione ragionato agevolerà una determinata strategia di lotta che andrà poi accordata con le vocazioni specifiche dei mostri (inutile cercare toccata e fuga con un golem di roccia). Combattimenti vinti, inoltre, si tradurranno in premi monetari da spendere per allenamenti speciali ed esperienza acquisita che significano miglioramenti di due parametri per volta. Il pregio maggiore di Monster Rancher Advance è sicuramente l’unione perfettamente armonica di tutti gli aspetti del gioco.
Qualcuno svegli il GBA
Essendo Monster Rancher Advance un titolo fondamentalmente gestionale c’erano da aspettarsi dei toni un po’ dimessi per quanto concerne il reparto audiovisivo. E’ proprio così che vanno le cose, e l’hardware nintendiano può davvero mettersi in panciolle vista l’assoluta sobrietà tecnica del prodotto che non propone un effetto speciale manco a pagarlo, persino lo scrolling è quasi inesistente. Da analizzare c’è solo il disegno: stilisticamente la Tecmo rispetta in toto i canoni giapponesi nel tratto delle vignette in occasione dei dialoghi e dei fondali, mentre lo fa solo parzialmente nel design dei mostri, i quali cercano di richiamare la tridimensionalità della Playstation presentandosi con un look pre-renderizzato plasticoso ed inespressivo. I fotogrammi di animazione, non bellissimi, sono almeno quantitativamente apprezzabili soprattutto considerando che la serie Monster Rancher passa in questa occasione dal capiente CD alle minute cartucce di una console portatile, problema non da poco per un programma che vuole fare leva sulla quantità di mostri offerti. La fase di combattimento difetta di spettacolarità (problema diffuso nel genere) a causa della schermata fissa dedicata soprattutto a parametri numerici da osservare, ma forse qualcosa di meglio si poteva fare per l’esecuzione dei colpi che non prevedono un contatto visibile.
Le melodie proposte da Takayasu Sodeoka non sarebbero malvagie, anzi, risultano persino gradevoli ad un ascolto indipendente, ma devono assolvere all’infame compito di allietare l’apparato uditivo del giocatore per il centinaio minimo di ore necessarie per sviscerare tutto il possibile della cartuccia. Risultato? Volume al minimo al secondo giorno di gioco, tanto le musiche le avrete già memorizzate tutte.
Poco gradevoli gli effetti sonori, poiché ogni bestiola avrà il suo verso molto peculiare che viene a noia assai prima delle musiche. Un po’ l’effetto che vi farebbe un cane che abbaia ogni due secondi.
Ma chi me lo fa fare?
E’ un po’ il dilemma che attanaglia ogni videogiocatore. Vale la pena spendere ore della propria vita di fronte ad un software? Chi considera il videogame arte, probabilmente vi dirà di sì, perché esso comunque stimolerà creatività, fantasia, intelligenza e sensibilità, mentre se lo riteniamo un mero passatempo la risposta non potrà che essere negativa.
La categoria dei “monster raising”, tuttavia, rappresenta una casistica particolare: il tempo necessario per completare l’avventura proposta è considerevolmente superiore al videogioco “medio”, senza contare che spesso non è presente neppure una conclusione definitiva. Per sostenere l’interesse andrebbero offerti argomenti speciali, come l’impulso collezionistico dei Pokémon, ma in Monster Rancher Advance non c’è nulla: la sceneggiatura è flebile ed eccessivamente rarefatta, quasi tutti i mostri sono da subito accessibili (basta digitare la parola adatta, anche se all’inizio avremo dei limiti nel numero dei caratteri spendibili) e i tornei sono tutti identici. L’unica motivazione più robusta sarebbe individuabile nel grinding estremo per l’ottenimento del mostro perfetto, ma si capisce subito come fare e diventa solo una questione di pazienza.
Essendo il combattimento relativamente marginale, vale la pena spendere cento o più ore della propria esistenza premendo il tasto B del Game Boy Advance?
Ognuno avrà la propria risposta. Per convincerci di sì, Monster Rancher Advance offre una struttura solida, armonica come poche, delle trovate originali a partire dalla creazione del mostro e combattimenti intuitivi ma non banali. Non ci sono difficoltà, però: andare avanti dipende solo dal tempo che vorrete spendere poiché ogni torneo diventerà accessibile dopo aver effettuato la giusta dose di allenamenti. Semplicemente premendo qualche centinaio di volte il solo tasto B nei menu.
Monster Rancher Advance - GBA
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- Pubblicato: 16-03-2012, 19:44
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Monster Rancher Advance
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Ti pareva che da quell'insulso cartoon avessero tratto un gioco...
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Originariamente inviato da For_Great_JusticeTi pareva che da quell'insulso cartoon avessero tratto un gioco...
Ad ogni modo, visto che sei il primo che dice di conoscerlo, com'era? Davvero terribile?
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Originariamente inviato da For_Great_JusticeTi pareva che da quell'insulso cartoon avessero tratto un gioco...
Quindi...
Originariamente inviato da museheadAd ogni modo, visto che sei il primo che dice di conoscerlo, com'era? Davvero terribile?
Forse solo con i Medabots o Medarot si è un filo usciti dal coro, nel senso che non c'erano i mostriciattoli, e i robottini erano simpatici. Ma è anche vero che si inizia ad entrare nello stesso territorio di Megaman Battle Network.
Dei Medabots ho anche provato il gioco per GBA, ma è lentissimo e pallosissimo, con tutta la buona volontà non riesco proprio a giocarlo.
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Spezzo una baguette in favore dell'anime di Monster Rancher, terzo incomodo tra Pokémon e Digimon ingiustamente sottovalutato. Certo, il protagonista era il tipico ragazzino cazzone, ma i comprimari erano ben studiati e con delle motivazioni ben precise, l'animazione buona, le storie interessanti e il design delle creature si sposava bene con l'ambientazione generale. E soprattutto era molto più serio di quanto non si potesse supporre (tranne che nella pessima terza serie), le storie erano a volte cupe e l'argomento morte non era tabù.
Per quanto riguarda i giochi non li ho mai provati, più che altro perché mi spaventano i manageriali e la loro complessità e i mille parametri da rispettare... però mi ha sempre incuriosito l'idea della generazione automatica dei mostri! So che nei capitoli su DS i metodi stavolta sono ben tre: fare disegni col pennino, inserire delle cartucce per GBA nello slot apposito o usare il microfono (se ci rutto dentro, cosa ne verrà fuori?). Quasi quasi provo a vedere se vale la pena spendere settimane su una singola creatura.
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