Collezionare le collezioni
Le grandi raccolte del passato rischiano di diventare esse stesse retrogame, a causa dei servizi on line delle nuove console dell’attuale generazione, che permettono di scaricare i grandi classici sulle nuove macchine a prezzi molto bassi, una sorta di evoluzione commerciale degli emulatori del PC.
Ci soffermiamo un attimo a considerare la pratica delle raccolte, molto più intrigante del semplice download di un singolo retro-hit. Il valore collezionistico e storico di questi prodotti è sempre molto alto, a volte purtroppo il valore ludico è meno forte, poiché molti titoli reggono male al passare del tempo e giocati dopo svariati anni perdono molto fascino rispetto all’epoca in cui erano dei veri e propri cavalli da battaglia delle software house. Servizi come Virtual Console e Live Arcade rischiano di far sparire le raccolte commerciali, di cui Namco è sempre stata grande sostenitrice.
Primo impatto
Realizzato dallo sviluppatore Mass Media e presentato da un menù di scelta identico alla raccolta Pac Man Collection, Namco Museum per GBA appare subito un titolo scarno e semplice, puntando tutto su giocabilità e affetto dei vecchi giocatori. Da un veloce esame dei titoli si nota subito che il periodo chiave scelto da Namco per la rievocazione del passato va dal 1979 al 1982, ovvero il periodo appena precedente al grande crack del settore.
Pole Position, pronti alla qualificazione? (1982)
Torniamo indietro al 1982, Pole Position, il classicissimo titolo di corse Namco, ci si para davanti con la sua classica schermata di apertura, e quando passa in cielo l’aereo con lo striscione “prepare to qualify” ci sembra di tornare per un attimo bambini. Pole Position è spudoratamente simulativo, abbandona di molto l’impostazione arcade per farci giocare su un percorso da affrontare con estrema attenzione, pena il non potersi qualificare entro il tempo limite e avere subito il game over. La visuale molto ravvicinata aiuta ad immedesimarsi. La pecca più grande del titolo è la varietà, un solo tracciato affrontabile, il celebre Fuji Speedway, effetti sonori ridotti al minimo ma molto efficaci. Virtuosismi grafici, come l’esplosione dell’autovettura, si uniscono a una generale povertà dei fondali e il gioco risulta oggi poco appetibile e concettualmente superato. La sua giocabilità è ancora buona, all’epoca della sua uscita era grandioso, ma il suo valore storico è molto importante.
Dig Dug, scavar m'è dolce in questa terra... (1982)
Dello stesso anno di Pole Position è il celebre Dig Dug, realizzato come molti coin op dell’epoca sullo Zilog Z80, ha retto molto meglio il passare del tempo e fa dell’azione pura il suo punto di forza. Ci ritroviamo nei panni di un omino in tuta bianca che deve eliminare tutti i nemici che vivono sottoterra per poter avanzare di livello, il concept è stato riutilizzato da Boulder Dash l' anno successivo e potrebbe aver ispirato, anni dopo, anche Mister Driller. Anche se il gioco che più gli somiglia resta il leggendario Mr Do., tante similitudini fanno capire che quando il gameplay è buono sopravvive all’ impietosità del tempo. Il concetto dello scavare forsennatamente è ripetuto osessivamente in ogni livello del gioco, il nostro eroe può muoversi nelle quattro direzioni, come se fosse visto dall’alto, mentre in realtà dovrebbe cadere in basso se trovasse un vuoto sotto di se, una incongruenza che passò stranamente inosservata all’epoca, mentre le rocce potevano essere fatte cadere secondo la normale gravità. Dotati di una semplice pompetta dovremo avvicinare il nemico e gonfiarlo fino a farlo esplodere, si supera lo stage sia eliminando tutti i nemici, sia sopravvivendo all’ultimo nemico che vigliaccamente scappa quando si ritrova solo. Uno dei nemici è un drago, che potrà arrostirci con le sue fiammate. La grafica è rimasta gradevolissima, la musica ha la particolarità di suonare solo quando saremo in movimento attraverso i cunicoli, restando muta se siamo fermi. La claustrofobia elevata ed il bisogno di sopravvivere rendono ogni secondo di gioco appassionante. Senza dubbio il pezzo forte della raccolta, Dig Dug è stato riproposto in tempi recenti sul DS, con un remake di buona fattura.
Galaxian, eppur l'alien si muove. (1979)
Arriviamo a questo punto ai due sparatutto classici più antichi e noti della Namco, Galaxian ed il suo seguito. Galaxian risale al lontano 1979, e pur essendo di fatto una ripresa dello Space Invaders di Taito fu il primo degli sparatutto a schermata fissa a far un uso intelligente dei colori, sparando alla nave gialla appena apparsa, ad esempio, si bloccava l’onda di fuoco per un breve periodo di tempo. Oggi il gameplay appare limitato, la nostra astronave si può muovere solo a sinistra e destra, ma all’epoca ebbe molto successo per il comportamento non usuale delle navi nemiche che, a differenza di quelle del titolo Taito, ci prendono di mira con maggiore accuratezza. Nell'anno di uscita il gioco era considerato spettacolare, ed ancora oggi riesce ad appassionare pur nella sua ripetitività.
Galaga, aliens now use tractor bean! (1981)
Risale al 1981 Galaga, il seguito di Galaxian, che aggiunge alcune novità allo schema di gioco. Ritroviamo infatti alcuni alieni boss in cima alla schermata, da dover colpire due volte per cambiargli colore e poterli eliminare; un evocativo raggio traente, che pare tratto dalla serie Star Trek, con cui gli stessi boss ci possono imprigionare e attirarci a se. Sparisce anche la formazione fissa delle ondate nemiche, poiché le astronavi aliene si muovono ora liberamente prima di mettersi in fase d’attacco, per poi staccarsi una per una per cercare di colpirci per prime, noi possiamo cercare di colpirle in questa fase ma risulta pericoloso. La giocabilità del titolo risulta datata ma ancora molto intrigante. Tuttora il titolo conta moltissimi appassionati. Per chi ama il genere ormai tramontato degli sparatutto a schermata fissa Galaga è uno dei più interessanti titoli sul mercato. Adrenalinico e divertente pur nella limitatezza intrinseca del Gameplay. Se non ci fosse stato Galaga nel 1981, oggi forse non avremmo quel capolavoro lisergico di Geometry Wars.
Ms. Pac-Man, tra moglie e marito non mettere il fantasma. (1982)
Conclude la collezione, immancabile trattandosi di un prodotto Namco, uno degli episodi di Pac-Man, quel Ms. Pac-Man che, rilasciato nel 1982, vede protagonista della scorpacciata di palline gialle la consorte del detentore legittimo della serie. Le differenze col titolo originale sono poche ma interessanti, troviamo tra i nemici un fantasma femmina, Sue, che va a sostituire Clyde; la frutta bonus guadagna la possibilità di spostarsi e adesso saltella in giro per il labirinto, diventando più difficile da prendere; raddoppiano le vie di fuga laterali, cambiano periodicamente le schermate dei maze e poco altro. La differenza più importante è di certo l’intelligenza artificiale dei fantasmi migliorata, che non si muovono più su dei binari prestabiliti. Certo, il gioco è appassionante e artisticamente perfetto, come il suo predecessore, ma purtroppo le novità sono troppo poche per giustificare un seguito. Ms. Pac-Man è bello, ma troppo uguale al primo episodio, se fosse uscito da solo sarebbe ricordato per sempre come un grande capolavoro, ma così è solo manierismo e reiterazione dell'idea geniale di Toru Iwatani. La sua presenza nella raccolta per GBA è apprezzabile, ma avrebbe avuto più senso incluso nella raccolta Pac-Man Collection per GBA in cui invece, colpevolmente, manca.
Presentazione, reperibiltà ed altre versioni
La cartuccia per GBA del 2001 non è molto rara e si trova facilmente. Esiste anche una riedizione quasi gemella della compilation intitolata 50th Anniversary uscita sul mercato nel 2005, che però presenta una diversa selezione dei cinque titoli, Pac-Man sostituisce Pole Position, restano confermati Ms. Pac-Man, Galaga e Dig Dug ed arriva infine il classicissimo Bosconian. Le due piccole raccolte per Advance non sono però sole... fino ad oggi sono state infatti rilasciate sul mercato una quindicina di edizioni di questa interessante collezione. La serie Namco Museum nasce su PlayStation con ben sei volumi (1-5 più Encore), che presentano ognuno una manciata di titoli tratti dal passato remoto della software house giapponese. La riedizione del titolo per i “128 bit” aggiunge le interessantissime versioni Arrangement, arrivando a circa 15 titoli. Namco Museum: Virtual Arcade del 2008 per 360, infine, offre la migliore selezione dei titoli, includendo molti classici, Pac-Man Championship Edition ed altre hits tratte dal catalogo Live Arcade, per un totale di ben 34 giochi e confermandosi, per ora, il miglior Museum di tutti. Le edizioni da salotto contengono oltretutto un bel menu di selezione che si ispira ad ai vecchi cabinati originali ed offre una stanza virtuale in 3D, abbellimenti che mancano del tutto nella cartuccia per GBA in esame. La raccolta ha un buon valore storico, una giocabilità alta, soprattutto per chi ama i classici più antichi, ma attira poco dal punto di vista del confezionamento del prodotto. La poca cura non è certo dal punto di vista qualitativo, le conversioni si rivelano infatti di buon livello. Mancano del tutto però le curiosità storiche, gli extra, le scansioni dell'epoca gli artwork e altro materiale di approfondimento che altre compilation retroludiche ci offrono spesso.
Inoltre cinque titoli, di cui due troppo simili, sono un po’ poco rispetto a grandi raccolte di altre case come Sega Mega Drive Collection o Capcom Classics Collection, amatissime dal grande pubblico retroappassionato. Namco Museum per GBA è consigliato dunque solo a chi ha un genuino interesse storico per le origini del videogaming e vuole avere nella propria collezione di titoli per GBA cinque veri classici senza tempo. La scelta della piattaforma portatile eleva ulteriormente il valore ludico, avere Dig Dug in metropolitana vale da solo l’intera raccolta. Se però si possiede anche una PSP il miglior Museum da tasca resta Namco Museum Battle Collection che offre 17 titoli classici ben scelti, oltre 4 Arrangement ed alcuni interessanti extra.