Ogni riesame critico del passato deve inevitabilmente fare i conti con l'"effetto del senno del poi". È infatti sin troppo facile etichettare una decisione come inopportuna, quando se ne conoscono già da tempo le conseguenze. Poiché appunto sappiamo che una determinata iniziativa non ha sortito i frutti sperati, tendiamo ad etichettarla come fallimentare in partenza, senza risparmiare biasimi nei confronti dei relativi responsabili che, come minimo, avrebbero dimostrato una colpevole imprevidenza. In realtà non mancano certo le debacle commerciali dovute a fattori esterni e sfortunati concorsi di eventi, progetti con buone chance di successo arenatisi in ragione di elementi difficilmente prevedibili, scommesse meno azzardate allora di quanto non sembrino oggi che non si sono realizzate per motivi che attengono alla tempistica, all'organizzazione e alla recettività del mercato coevo.
Anche se la storia dei videogiochi presenta alcuni casi in cui il flop di un determinato sistema potrebbe essere etichettato come prevedibile, con conseguenti critiche verso i miopi produttori, non è detto che queste valutazioni siano necessariamente incontrovertibili, per quanto talvolta riesca arduo comprendere la logica di determinate scelte.
Un esempio interessante di strategia commerciale quanto meno "imperscrutabile" è senz’altro quello del SuperGrafx (SGX), sorta di PC Engine “pompato” prodotto nel 1989 da NEC con la precisa intenzione di stroncare sul nascere la concorrenza di Mega Drive (da un anno sul mercato giapponese) e Super Famicom (in procinto di essere lanciato: l’esordio nipponico del 16 bit Nintendo è datato 1990). Considerato il clamoroso fiasco commerciale di questo “PCE deluxe”, è inevitabile che il senno del poi abbia posto la dirigenza sul banco degli imputati con l’accusa di aver immesso sul mercato un hardware destinato ad un’utenza di nicchia.
Quali sono i motivi che hanno confinato il SuperGrafx ad una platea ridottissima, nonché limitata al solo mercato locale? Semplice! Nel magico paese del sol levante il PC Engine fu gratificato da un notevole successo e fece così venir meno la ragion d’essere di un sistema piuttosto costoso (in particolar modo lo erano i giochi, memorizzati su HuCard dalla capacità massima di 20 Mbit) che, di conseguenza, fu ritirato dal mercato già nel 1991.
In sostanza, la temuta concorrenza delle rivali a 16 bit non si concretizzò nel breve periodo e la "console killer" che avrebbe dovuto eliminare Super Famicom e Mega Drive si rivelò un bluff, i cui soli vantaggi erano costituiti dalla retrocompatibilità con la softeca PCE / PC Engine CD-ROM2 (il SuperGrafx poteva essere collegato al suddetto add-on ottico), dal design “aggressivo” e da due eccellenti conversioni da coin-op che costituivano le punte di diamante di una line-up di soli 5 titoli firmati da NEC Avenue e Hudson Soft.
Sebbene le prime indiscrezioni sul prematuro successore del PC Engine lo qualificassero come un “PCE 2“ finalmente dotato della prestigiosa “true 16-bit technology”, si trattava in realtà di un sistema basato su una CPU a 8 bit (HuC6280A 3,58/7,16 Mhz) che migliorava il “predecessore” (sul mercato da soli due anni al momento in cui la società nipponica decise di produrne l”erede”) sul fonte delle prestazioni visive, rendendole più “competitive” grazie a due co-processori dedicati: 16-bit HuC6260 VCE e 16-bit HuC26270A VDC. Il SuperGrafx, difatti, può gestire fino a 128 sprite e due background layer indipendenti e, avvalendosi di ben 128 kB di video RAM, promuove a standard teorico la rispettabile 336X224. Se si confrontano le suddette specifiche con quelle del PC Engine, balza all’occhio come i produttori abbiano "giocato al raddoppio", presentando un hardware dalle performance visive superiori a quelle del Mega Drive. Viceversa, in vista dell’ipotizzato testa a testa con il Super Famicom, la "meteora" firmata NEC scontava l'assenza di effetti "3D" paragonabili alle matrix operation del Modo 7, la riproposizione dello stesso chip sonoro del PCE e la tavolozza cromatica limitata a sole 512 tonalità.
I titoli sviluppati per SuperGrafx sono: 1941: Counter Attack, Aldynes, Battle Ace, Daimakaimura (Ghouls‘n Ghosts) e Mado King Granzort. Oltre ai suddetti giochi, due shoot ‘em up per PC Engine, Darius Plus e Darius Alpha, presentano migliorie estetiche se giocati su SGX (essenzialmente l’eliminazione di slowdown e flickerii). Degni di nota i porting dei coin-op Capcom, con particolare riferimento all’impressionante Daimakaimura che eclissa la pur ottima conversione per Mega Drive e insidia l’arcade perfect per Sharp X68000. Per quanto riguarda gli sparatutto, brilla la fedele trasposizione di 1941: Counter Attack e si fa apprezzare l’horizontal shooter Aldynes, oggetto di questo articolo.
Un classico arcade-style shoot 'em up firmato da Hudson Soft
2020: la Terra è sotto attacco! Una devastante invasione aliena sta mettendo in ginocchio le potenze mondiali.
L'ultima speranza è riposta in un ardito progetto denominato Aldynes che ha visto i migliori scienziati del mondo mettere a punto Ortega, un potentissimo caccia interstellare con il ruolo di asso nella manica dell'estrema difesa terrestre.
La nuova navicella è stata impiegata in una prima pericolosa operazione che, pur avendone dimostrato le notevoli potenzialità, si è conclusa con l'abbattimento dell'eroico pilota conosciuto con il nome in codice Fox-A. La sua ragazza Hiroko, sconvolta dal dolore, ha deciso di tentare il tutto per tutto per vendicarne la morte e, essendo a sua volta pilota di caccia, si è offerta come volontaria per guidare Ortega e portare un temerario attacco al gigantesco pianetoide meccanico dei malvagi invasori. L'intrepida fanciulla, ritenuta idonea, ha iniziato un duro addestramento in vista della sua disperata missione.
Purtroppo le forze aliene vengono a conoscenza del progetto Aldynes e, per stroncare sul nascere ogni resistenza, decidono di attaccarne la sede e distruggere tutti i caccia interstellari. Gli invasori riescono a cogliere di sorpresa le forze terrestri e tutto sembra ormai perduto... ma non hanno fatto i conti con l'ardimentosa Hiroko che, grazie all'aiuto di altri due compagni, riesce a salvare tre Ortega con l'intento di realizzare la sua vendetta.
Aldynes (1991) si presenta come un horizontal shooter d'impianto classico e natura prettamente arcade. Articolato in 7 livelli popolati dai canonici middle e final boss, il titolo Hudson manifesta una smaccata fedeltà ai leitmotiv del genere e non lesina certo in "citazioni" da Gradius, R-Type e M.U.S.H.A. / Musha Aleste, con quest'ultimo che sembra avere "ispirato" gli sviluppatori sul fonte dell'attack pod system.
Analogamente ai capisaldi della categoria, Aldynes propone una struttura basata sui restart point e uno skill level abbastanza equilibrato che permette al giocatore il lusso dei continue infiniti. Il sistema di armamenti offre 4 tipologie di fuoco e altrettanti pod indistruttibili, utilizzabili in 3 diverse modalità. Se si escludono il curioso "beam-shield", sorta di scudo energetico con funzioni difensive e offensive che si forma davanti all'Ortega tenendo premuto il tasto “I” e determinati fire mode, come il "red energy force" e il bizzarro "bouncing laser", lo shoot 'em up Hudson non concede alcunché di originale e, visto la valida realizzazione tecnica e la solida giocabilità, non sembra nemmeno risentire di questa sua ostentata canonicità.
Considerata la firma degli autori delle conversioni di R-Type e Raiden su PC Engine, nonché, sempre relativamente alla line-up della console NEC, di Final Soldier e Soldier Blade, non stupisce che Aldynes sfoggi un comparto audiovisivo di tutto rispetto. L'estetica di questo sparatutto per SGX, difatti, gode di un tratto piuttosto elaborato degli sprite che spicca in particolar modo nella mole dei boss e compensa le colorazioni un po' scialbe di alcuni fondali. Nonostante il primo impatto con la grafica non possa che lasciare perplessi di fronte al modesto background del livello iniziale (ovviamente un sistema denominato "SuperGrafx" non può che suscitare certe aspettative), lo spettacolare ingresso del primo gigantesco boss ne rivaluta il poco brillante esordio, costituendo un buon antipasto per gli stage successivi.
Se Aldynes non valorizza appieno le possibilità dell'hardware, limitandosi a riproporre la risoluzione standard del PC Engine (la 256X224 -peraltro adottata da tutti i titoli SGX con la significativa eccezione di Daimakaimura, impreziosito dalla 336X224-) e cromatismi non dissimili da quelli di vari shooter per Mega Drive, si avvale in ogni modo delle più avanzate specifiche della nuova console, implementando un ottimo scrolling parallattico con spettacolari sezioni in multistrato e gestendo un notevole quantitativo di sprite a video, tra cui boss di generose dimensioni, senza presentare flickerii e concedendosi pochissimi rallentamenti.
Sul fronte delle animazioni si registra un buon uso della tecnica modulare e un'efficace resa degli effetti legati alle armi, mentre, più in generale, risulta evidente la cura posta nella realizzazione dei boss e la qualità di alcune esplosioni.
La colonna sonora di Aldynes vanta la tipica impronta "made in Hudson" già apprezzabile nelle OST di Final Soldier e Soldier Blade. Le musiche, infatti, sono particolarmente orecchiabili e molto adatte all'azione, variando da brani più "epico-battaglieri" a BGM definibili come "brillanti", passando per chiptune dal curioso taglio "jazzistico" e pezzi più mirati a tenere alta la tensione. Peccato che, sotto il profilo tecnico, la soundtrack manchi della "raffinatezza" sfoggiata da Soldier Blade e risenta di una certa debolezza nella base ritmica che tende a svilire la verve compositiva degli autori. Considerazioni simili si possono fare riguardo agli effetti sonori che non spiccano per qualità acustica e, salvo alcune eccezioni, difettano della necessaria incisività.
Aldynes è uno di quei titoli che sembrano calibrati sulle esigenze degli shooter fan più "ortodossi". Inizialmente il titolo può dare l'impressione di una sorta di Thunder Force III per SuperGrafx, ma, in realtà, si contraddistingue per un gameplay più affine ai classici arcade di cui ricalibra la sfida portandola alla ricercata "sindrome" da "un'altra partita e poi basta...".
La possibilità di continuare all'infinito può ingenerare qualche legittimo dubbio sull'effettiva longevità dello sparatutto firmato Hudson che, per quanto divertente, non può resistere a lungo ad un giocatore determinato a portarlo a termine. Per fortuna lo sviluppatore ne ha tenuto conto e non ha mancato di inserire un livello di difficoltà più alto che si renderà disponibile dopo aver attuato allo skill level di default i propositi di vendetta dell'intrepida Hiroko.
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