Si tende spesso a dimenticare questo dinamico duo, gli Spriggan, saghe così inavvicinabili tra loro nell’intimo quanto nello scrolling e uguali solo nel cortissimo rimando musicale del game over.
Se il primo, incensato dalla critica e anche dalla storia, era una vampata di colori e tic bombaroli, Spriggan Mark 2 è rimasto nell’ombra sotto l’egida della mediocrità.
Gli mancano, in effetti, il ritmo serrato e le fiammate cromatiche del predecessore, ma sotto una pattina dimessa e meno caotica si nasconde uno sparatutto incompreso nella sua modernità. Potrebbe sembrare un accostamento sfrontato ma il secondo Spriggan è il papà di Zone of the Ender sotto molteplici aspetti.
Su una presentazione danzante che sembra anticipare certe arie alla “ Children” di Robert Miles, il gioco scopre subito le carte mostrando le sue più nobili parentele: Gundam e Macross.
In Spriggan 2 muoiono dei compagni e siete gli artefici delle dipartite di antagonisti dai sentimenti umani quanto i vostri. Quanto si possa capire dalla storia narrata in giapponese non è dato sapere, ma i momenti topici non hanno bisogno di una lingua indigena: la sola intensità delle urla dipana le matasse dei significati.
Come nel postmoderno Radiant Silvergun anche qui si possono utilizzare più armi senza che il sistema di potenziamento vada ad inficiare l’utilizzo futuro di una o dell’altra. Non ci sono certamente ancora le geometrie del titolo Treasure (per fortuna diranno alcuni), ma a contraltare di una minore rigidità si pone l’esaurimento quantitativo di ogni singola arma. Si tratta di pura attenzione ragionieristica in un contesto spaziale libero, senza rigidità mnemoniche.
Il mech che si dibatte attraverso lo scrolling orizzontale può infatti indirizzare il proprio sguardo sia a destra che a sinistra, rincorrendo chi di prima battuta non era stato in grado di eliminare e creando, a scrolling bloccato, inseguimenti alla Senko no Ronde.
Il pilota e i suoi compagni dialogano spesso e qua arriva il punto dolente di una produzione dall’appeal decisamente moderno e maturo: l’impossibilità di furoreggiare in battaglia e, al contempo, sentire l’evoluzione delle parti in campo. Di lì a poco sarebbe arrivato Starfox ad eliminare questo limite, introducendo a sua volta la problematica della capienza inadatta di memoria, che faceva squittire i personaggi in ridicoli versi, senza considerare che la sola idea di un decesso in game non esisteva neanche nelle menti dei dirigenti Nintendo.
Sul versante della frustrazione, i programmatori avevano superato l’atavico spauracchio della morte istantanea, introducendo la decrescita energetica al contatto del fuoco nemico, più giocosa e maggiormente attinente alle produzioni anime nipponiche. Non ci sono bonus per riacquistare il maltolto, ma è sufficiente mantenere la calma per alcuni secondi ed essere cauti come il signor Master Chief per vedere la barra energetica al riparo da vistosi lampeggiamenti. Atteggiamento forse poco hardcore, ma non ci interessa.
La grafica, pur non essendo coloratissima, ostenta in alcuni stage parecchi strati multiparalattici, con lo scopo di rendere bene il realismo del contesto. L’accompagnamento musicale si avvale di tastiere siderali, mai epiche come quelle del primo Spriggan, ma capaci di instaurare col giocatore un rapporto di puro accompagnamento.
Provate Spriggan anche solo per un motivo: sentire il leitmotiv dell’intro tornare prepotente quando il vostro alter ego abbandona il suo Spriggan per salire su uno nuovo di zecca. Libidine cinematografica riassaporata solo dopo molti anni in MGS 3: Snake Eater.