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ID: 252068Diciamolo subito fuori dai denti, quella scritta posta sulla copertina di DR è truffaldina, nonostante asserisca la sacrosanta verità, cioè “questo gioco non è sviluppato, approvato o su licenza da parte dei proprietari o dei creatori de l'alba dei morti viventi di George A. Romero”. Giustissimo. Tuttavia, gli appassionati si sono voluti ugualmente illudere che quell'appunto fosse solo uno specchietto per le allodole inverso, una sorta di divieto atto a stimolare il gusto di infrangerlo, un mettere le mani avanti per evitare beghe legali (comunque giunte postume) arrivando finanche a immaginare che i morti viventi della cover stessero ammiccando, con tanto di macabro occhiolino, per avvisare del significato nascosto di quella frase.
Nulla di tutto questo. DR è distante anni luce dalle atmosfere delle pellicole di Romero, pur essendo l’unico prodotto ludico a presentare su schermo decine di zombi contemporaneamente, similarmente alla massa defunta del regista americano, e godendo di un immenso centro commerciale per ambientazione, proprio come il secondo film della – per ora – esalogia “of the dead”. Le similitudini terminano qui.
Difatti DR dapprincipio è una mezza delusione. L’infrangersi dei propri sognanti incubi sta proprio nelle intenzioni primigenie del prodotto: non un survival in cui il morto vivente spaventa, con la paura amplificata a dismisura dalla sua presenza numericamente abnorme, ma un action in cui evitare o abbattere questi lamentosi birilli deambulanti, arrivando finanche a ridicolizzarli. La presenza massiccia dei mostri, benché svilisca il significato etimologico del termine, ha il ruolo di tirar fuori i muscoli della (allora neonata) GPU, scongiurando al contempo la noia delle lunghe scarpinate tra le varie zone nevralgiche, rendendo l’altrimenti noioso backtracking sempre eccitante, previo slalom assurdi tra famelici zombi affamati di budella umane e sanguinolente ecatombi dei poveretti, vera e propria carne da macello in cui il machete è saldamente nelle mani del giocatore.

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La storia ha per protagonista Frank West, fotografo freelance con un chiodo fisso, realizzare lo scoop della vita. Per questo, in un mondo in cui i cadaveri si risvegliano dall'oltretomba, corrompe un pilota d’elicottero per farsi calare sul tetto del centro commerciale della cittadina di Willamette, una zona vietata in cui intuisce essere accaduto qualcosa di grosso, riservandosi 3 giorni per realizzare un servizio clamoroso, con l’accordo, allo scoccare della 72esima ora (virtuale), di farsi trovare nuovamente lì. Ergo il gioco avrà inderogabilmente tale durata, trascorsa la quale terminerà, anche se Frank dovesse mancare all’appuntamento.
L’innesto del timing va di pari passo con l’unico (!) salvataggio disponibile, da sovrascrivere di volta in volta: due trovate, discutibili, per favorire la rigiocabilità, forse un aspetto troppo rimarcato (e obbligato) ma vero fattore portante del titolo. Si potrà dedicare tale lasso di tempo alla risoluzione dello storymode o al cazzeggio, che comunque, a dispetto del nome, è fondamentale. Frank dapprincipio è debole, dotato di poca resistenza e limitato negli attacchi, ma eliminando un numero adeguato di nemici o traendo in salvo i superstiti intrappolati nella struttura, aumenterà i suoi Prestige Points (similarmente a quanto accade in un RPG) e di conseguenza le caratteristiche. Indispensabile, durante le prime partite, dedicarsi quindi al potenziamento dell’esperienza, trascurando la storia principale (fatta di avvenimenti cronologicamente prefissati), perché per superare determinate sezioni occorrerà un personaggio piuttosto evoluto. Ovviamente, nel ripartire non si perderanno gli upgrade acquisiti, al contrario dell’avventura, che comincerà ex novo.
Se è contemplato un singolo salvataggio, quelli inerenti i sopravvissuti “umani” sono una marea, un numero così elevato da dover obbligatoriamente optare per alcune drastiche decisioni, essendo impossibile aiutare tutti: ricominciando, ci si potrà dedicare a chi, nella precedente sessione, è stato lasciato alla sua tragica sorte, fosse anche solo per affrontare una porzione di gioco inedita. Anche se, onestamente, verrebbe voglia di ammazzare questi sciagurati, vista la ridicola IA che li contraddistingue (durante la scorta per condurli in loco sicuro, faranno di tutto per gettarsi negli arti putrescenti degli zombi); inoltre, una volta tratti in salvo, alcuni penseranno bene di fomentare gli animi, con Frank costretto a tornare all’ovile per fare da paciere, scongiurando moti di ribellione.

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L’avventura non prevede enigmi ma solo esplorazione, tra l’altro facilitata da una freccia che indica il percorso, inframezzata (o meno a seconda del proprio modus operandi) da sub quest in cui salvare i vivi o affrontare dei mid-boss, anche loro umani ma con qualche “leggero” disturbo psichico.
Ciò che aiuta a spezzare un gameplay ossessivamente incentrato sui combattimenti è l’implementazione di decine di shop, tutti rigorosamente a tema, in cui trastullarsi coi molteplici gingilli presenti. Ce n’è per tutti i gusti, e se fondamentali appaiono armi e vettovaglie, preziose scorte che si usurano/esauriscono in fretta, un piacevolissimo divertissement sono i gadget secondari con cui sbizzarrirsi. Tra pittoreschi cambi d’abito, improbabili oggetti contundenti e item demenziali, lo spasso è assicurato.
Però alla fine della fiera l’impressione è che si tratti di chincaglieria: nella maggior parte dei casi, provati una volta, rimarranno a prendere la polvere sullo scaffale del relativo negozio.
Stesso discorso per la fotocamera, inseparabile compagna di Frank, con cui immortalare i momenti più memorabili, cui il gioco assegnerà la categoria di appartenenza (è prevista persino quella “sexy”). Scattare foto è un po’ macchinoso e non particolarmente entusiasmante, ma l’utilità in tale pratica c’è eccome, perché le diapositive migliori andranno ad incrementare i citati PP.

Tecnicamente il titolo riflette la sua natura ironica, con una grafica pulita e colorata (eccezion fatta di notte, quando l’illuminazione interna si spegne) e rilassanti canzoncine “da centro commerciale”, ossessivamente snervanti, paradossale sottofondo all'eccidio in atto.
Fortunatamente DR non è solo questo: i rassicuranti jingle lasciano spazio a musiche decisamente più dure, sfociando nel nu metal, durante gli scontri coi boss, e il comparto video spinge all'inverosimile sulla quantità di zombi contemporaneamente a schermo. Fisiologico che i nemici non godano di dettagli eccessivi, tuttavia nel marasma generale non ci si può lamentare; in ogni caso i personaggi principali vantano generalmente una buona realizzazione (nonostante qualche caduta di tono), con delle texture in grande spolvero, definite soprattutto nell’oggettistica dei vari esercizi in cui, previo zoom della fotocamera, ammirare i particolari delle copertine patinate delle riviste, delle confezioni dei giocattoli e finanche delle scatole dei cereali: notevole.
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Giocabilità ripetitiva ma edificante, tecnica non superlativa ma valida, longevità sopra la media. Il problema sta nelle aspettative personali, deluse se si è alla ricerca di un'avventura, componente qui indirizzata, univoca e superficiale, per contro soddisfatte in pieno da un action appagante, dotato di tutti i crismi del caso. DR potrebbe perplimere o esaltare, annoiare o galvanizzare, tutto sta nell’approccio di chi lo affronta.
Tuttavia, in tale discrepanza di riscontri, c’è un fattore collimante: il videogame Capcom non spaventa. Per niente. O almeno, la fifa che incute è paragonabile a quella provocata da un qualsivoglia videogioco in cui si teme genericamente per la sorte del protagonista prima, e di dover ricominciare daccapo (o dall'ultimo savepoint) poi. D'altronde, data la forte impronta di humor nero, con zombi cui poter infilare in testa maschere buffe, o da colpire con spade laser giocattolo, sarebbe assurdo l'opposto.
Lasciando quindi perdere scomodi paragoni, persi in partenza, di chi vedeva in DR una trasposizione pedissequa delle opprimenti visioni romeriane, o un'alternativa agli altri survival sulla piazza, ciò che resta è un action da giocare più volte, infarcito di segreti, trovate interessanti e cose da fare, benché eterogeneamente riducibili ad una manciata, più intrigante e profondo di quanto una prima superficiale occhiata potrebbe far pensare.

COMMENTO FINALE


“Più che a “Zombi” di Romero, data l'ambientazione lapalissianamente mutata, Dead Rising ricorda la carneficina finale del film “Splatters - gli schizzacervelli” di Peter Jackson: una forte dose di macabra ironia condita da tanto gore, per un prodotto che ha il merito di compiere uno step successivo, in ambito ludico, nel settore “morti viventi”. Pur dividendo le schiere di appassionati per le istrioniche scelte stilistiche operate, è innegabile l'oggettiva bontà di un titolo curato, divertente e per certi aspetti coraggioso che, andando controcorrente, ha saputo ritagliarsi uno spazio di tutto rilievo.”