La storia narra della squadra Jericho, un manipolo di sette soldati dai poteri sovrannaturali, il cui compito è fermare il male qualora minacci il mondo. L'ultima missione è in una non meglio precisata zona desertica dell'estremo oriente per indagare sulla misteriosa comparsa di una città, Al-Khali, che si rivelerà essere l'entrata per il regno del Firstborn (Primogenito), la prima creazione di Dio, relegata poi negli anfratti della Terra per impedirle di nuocere. Purtroppo la squadra è stata preceduta da tale Arnold Leach, un occultista che, nelle sue intenzioni, vorrebbe servirsi dell'essere rinnegato per i suoi scopi malvagi. Arrivati sul posto, dopo qualche combattimento, il capo di Jericho, Ross, morirà ma, passando a miglior vita in quella che è una dimensione parallela, il suo spirito continuerà ad esistere potendo entrare a proprio piacimento nel corpo di ciascun membro del team, prendendone il controllo per sfruttarne le differenti abilità e potendo usufruire della sua originaria capacità di resuscitare i deceduti. I nostri si troveranno a oltrepassare cinque brecce temporali coincidenti con altrettante epoche storiche e questo viaggio a ritroso (che li porterà a confrontarsi con nazisti, templari e persino sumeri) li condurrà infine al cospetto dello stesso Primogenito. A fronte di tali intriganti premesse e dell'apporto del poliedrico autore, ci si aspetterebbe un plot ricco e complesso ed è invece un peccato dover constatare che lo storyboard risulti clamorosamente poco curato, al punto che il dipanarsi della trama sarà affidato a delle brevi scritte (una manciata di righe) che accompagnano il caricamento di ogni livello e ad un paio di filmati, tutto qui. Degli stessi personaggi, ottimamente caratterizzati e diversificati a livello estetico, viene detto poco o nulla, potendone intuire qualcosa solo durante qualche breve dialogo che li vedrà protagonisti. Superfluo, quindi, l'apporto dello scrittore inglese, col suo nome in bella mostra sulla cover a mo' di specchietto per le allodole? Non proprio. Perchè se la sua abilità descrittiva non ha avuto il giusto risalto, quella visionaria, la più shockante, in Jericho può esplodere, senza freno alcuno, in tutta la sua terrificante magniloquenza. I mostri che popolano le varie epoche sono assolutamente disturbanti (pur non brillando per diversità), chiaramente concepiti da una mente malata (o meglio, abile nell'apparire tale) e gli appassionati non faticheranno a riconoscere nelle loro fattezze più di una somiglianza con i mitici Cenobiti di Hellraiser. Tuttavia chi crede di terrorizzarsi durante le sessioni di gioco, rimarrà deluso, perchè la paura latita. Jericho spinge sul pedale del raccapriccio e del perverso ma tutto è alla luce del sole (o meglio, delle torce in dotazione) e sono quasi del tutto assenti veri momenti di tensione, i classici salti sulla sedia, per intenderci. I nemici attaccano a testa bassa, di solito in discreto numero e, per quanto faccia un certo effetto vedere delle enormi creature nauseabonde avanzare nonostante stiano incassando caricatori su caricatori, il tutto si riduce ad una forte scarica di adrenalina, non di fifa. E' questo l'andazzo, per tutta la durata, del titolo Codemasters: attimi di pausa spezzati da improvvise imboscate avversarie, susseguenti scontri galvanizzanti e poi via, si risale sulla giostra per un nuovo giro nel tunnel degli orrori. Ciononostante, pur non spaventando nell'accezione più pura del termine, Jericho punta parecchio sull'impatto emotivo di ogni locazione, infarcendola letteralmente di dettagli truculenti ed eccessivi, fregandosene altamente di qualsiasi moralità o etica religiosa: trovare nel periodo Romano, come semplici accessori del fondale, uomini crocifissi che si dannano per le loro sofferenze, cui potremo metter fine con un colpo di arma da fuoco, la dice lunga al riguardo. Peccato che il buio onnipresente, per quanto necessario in un gioco come questo, contribuisca a rendere tali sfondi (altrimenti ben diversificati, specie grazie ad alcune ottime texture) un pò troppo simili nella loro ostentata oscurità. E pure lascia l'amaro in bocca l'impossibilità di apprezzare i dettagli delle creature nemiche perchè spesso verranno annientate dalla lunga distanza e, quando si paleseranno imponenti al cospetto del giocatore, inevitabilmente sommerse dagli effetti di fumo e luce delle armi. In sostanza, Jericho graficamente è un titolo valido sulla carta ma all'atto pratico, per certe scelte operate, si rivela soltanto più che discreto, trovando difficoltà a rimarcare i punti di forza che pure possiede. Sul fronte sonoro c'è una difformità che lascia basiti: grandiose le musiche che, col loro flavour epico, accrescono il pathos (non manca neppure un'inquietante nenia ad accompagnare le apparizioni del Primogenito) e ottimi gli effetti sonori (su tutti quello della mitragliatrice di Delgado quando, come un diesel, dopo alcuni attimi di utilizzo raggiunge il suo climax) e tutto questo contribuisce in maniera decisiva ad enfatizzare la fisicità negli scontri. Dove sta allora la difformità di cui sopra? Nel parlato in italiano, semplicemente pessimo, da bocciare senza appello. E' difficile trovare le parole per descrivere la deficitarietà di tale settore. Basti sapere che le voci dei personaggi sono a tratti imbarazzanti: dialoghi pronunciati con svogliatezza e senza la benchè minima interpretazione, spesso quasi farfugliati, "attori" che denunciano un accento regionale (o straniero), lo stesso interprete di Ross che tenta maldestramente di sporcare il proprio timbro per adattarlo al personaggio, con risultati sconfortanti... meglio stendere un velo pietoso sull'infima qualità del tutto e dimenticarsi che in un gioco come Eternal Darkness, il doppiaggio (tra l'altro in lingua originale) contribuiva e non poco ad accrescerne l'atmosfera e che molte avventure grafiche (vendute a prezzo budget) possono contare su di una recitazione di livello assoluto.
Però, pur tra luci ed ombre a livello realizzativo, Jericho centra un obiettivo fondamentale, quello di divertire. Le sparatorie si susseguono con ritmo incessante, intervallate da qualche secondo di pausa per rifiatare, risultando realmente spettacolari e furiose. La trovata di passare il testimone tra i vari personaggi, dopo qualche stage di rodaggio, funziona alla perfezione (in effetti, per tutta la durata del titolo, si comanderà il solo spirito di Ross, con la possibilità già evidenziata di entrare nel corpo degli altri membri del team per prenderne il comando) e la diversità degli stessi (ognuno è dotato di proprie armi e poteri speciali) conferisce un reale significato al concetto di squadra. Per ovviare ad un bilanciamento non ottimale dei protagonisti (ce ne sono un paio con cui è fin troppo facile proseguire), in determinati punti il gioco obbligherà a comandare quelli meno prestanti, con la conseguenza che, per necessità, si impareranno ad apprezzare i lati positivi anche di questi ultimi. E, sempre a proposito dei compagni di squadra, la loro I.A. non è male, nulla che faccia gridare al miracolo ma in più di un'occasione saranno pronti a collaborare in maniera costruttiva, arrivando addirittura, in alcuni casi a sbarazzarsi del nemico, senza l'intervento del giocatore; poi, ovvio che di sciocchezze ne commettano (tipo rimanere inermi di fronte alla linea di fuoco avversaria o farsi ammazzare immediatamente dopo essere stati resuscitati), ma sarebbe assurdo pretendere che siano sempre e solo loro a togliere le castagne dal fuoco, quindi va bene così. Gli avversari invece non solo non sono dotati di chissà quale intelletto ma si limitano ad aggredire senza tanti fronzoli, cosa che indubbiamente priva Jericho del sufficiente spessore negli scontri, particolare non di poco conto, vista l'agguerrita concorrenza e il fatto che, per alcuni, questo aspetto sia il vero ago della bilancia in un FPS, insieme all'ambientazione. Gli stessi boss, pur risultando malsanamente belli nella loro obbrobriosità e sufficientemente intriganti in quanto ognuno necessiterà di una tattica particolare per essere sconfitto, si limitano ad eseguire i propri pattern di attacco ciclicamente, rimandando ai mostri di fine livello tipici degli arcade anni 80, pittosto che ad un FPS del 2007. E a proposito di tale reminescenza, Jericho conferma la tendenza (inaugurata da un capolavoro come Shenmue e presente finanche in Resident Evil 4) di inserire brevi spezzoni “Quick Time Event”, in cui premere con tempismo il tasto del pad che appare a video, una pratica atavica ma qui utile per spezzare l'azione altrimenti abbastanza monocorde. Gli enigmi presenti non sono in realtà tali poiché, generalmente, il gioco stesso fa da spoiler e suggerisce cosa fare e con chi, ma anche nei pochi casi in cui si dovrà spremere le meningi basterà un minimo di ingegno per venirne a capo; il gameplay diretto ed essenziale di Jericho non ha risparmiato neppure le mappe, decisamente lineari, col percorso predefinito ed univoco. I momenti frustranti però non mancano, soprattutto perchè non è possibile salvare ovunque ma lo farà la console, in automatico, grazie ad appositi check point (piuttosto frequenti), nonostante alla fine, con un pò di impegno, si possa aver ragione anche delle situazioni più difficili e non ci vorrà poi tanto a terminare il gioco: una manciata di giorni a livello normal. Alla delusione per una trama affascinante ma sviluppata con troppa sufficienza, si aggiunge un finale che, semplicemente, non c'è: assurdo come, dopo tanta fatica, venga negata la possibilità di capire cosa effettivamente succeda. Sono il primo ad accettare le conclusioni aperte, ma a tutto c'è un limite, uno straccio di spiegazione sarebbe dovuta a chi ha dedicato tempo (e speso soldi) per un prodotto! Tirando le somme, Jericho è un titolo valido nel suo complesso: nell'affollato mondo degli FPS, non fa quasi nulla per apparire originale e anzi, sul versante dell'I.A., mostra degli evidenti passi indietro rispetto ai migliori esponenti del genere ma, grazie all'ottima idea del team (e delle diverse abilità di ciascun componente) implementata davvero alla perfezione, risulta fresco e godibile da affrontare, visto che gli scontri vivranno di nuova linfa dal momento che durante gli stessi si dovrà pensare anche (anzi, soprattutto) ai compagni.
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