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ID: 245873Dopo gli ottimi riscontri della versione PSP, sembrava scontato aspettarsi un continuum nello sviluppo della saga orrorifica più disturbante di sempre, e invece no: Konami spiazza tutti, affidando questo nuovo episodio ad un team differente che, onde evitare inutili complicazioni, sforna un titolo attenendosi più o meno rigidamente ai dettami dell’ipotetico volume “come sviluppare un valido Silent Hill”. Il che tradotto in soldoni equivarrebbe ad un gioco soddisfacente per gli amanti del genere, parimenti difficilmente in grado di far cambiare idea a chi questa tipologia di videogame non l’ha mai digerita. Tuttavia il condizionale di cui sopra non è messo a sproposito, perché il risultato finale vive di costanti alti e bassi, al punto da destare più di qualche perplessità persino negli estimatori storici.
La vicenda prende le mosse dal ritorno a casa (l’”homecoming” del titolo) di Alex Shepherd, un soldato congedatosi dopo aver trascorso del tempo in un ospedale militare, in cui tra l'altro avrà luogo la classica intro giocabile. Una volta giunto nel borgo natio, Shepherd’s Glen, cittadina eponima perché fondata da un suo avo, ad accoglierlo non troverà un paese festante come logica vorrebbe, ma strade deserte, una popolazione apparentemente svanita nel nulla, e una famiglia sgretolata: all’appello mancano l’austero padre (anch’egli ex militare) e il fratello più piccolo, Joshua, mentre la madre vesserà in uno stato catatonico, sconvolta dagli accadimenti. Va da sé che la ricerca del parente più giovane (che farà le veci di Cheryl del primo episodio, in una perenne rincorsa che troverà epilogo nello struggente finale) sarà l’elemento focale di questo percorso, visivamente esteriorizzato ma chiaramente intimo, espediente tramite cui Alex ripercorrerà accadimenti topici della sua vita, affrontando al contempo le proprie paure per accettare non solo la realtà, ma innanzitutto sé stesso.
Memore della vera e propria mitologia generatasi durante il corso degli anni sull’universo che ruota attorno la saga, questo Homecoming da subito lancia alcuni stuzzicanti input all’appassionato, solleticandone i ricordi con riferimenti più o meno espliciti al passato: il cognome del nuovo protagonista è Shepherd, come quello della defunta moglie di Harry del secondo capitolo, ad inizio gioco Alex riceve un passaggio da un camionista, Travis, a sua volta eroe del mai troppo lodato Origins, per tacere delle varie apparizioni del mitico Pyramid Head; “coincidenze” in grado di riportare il giocatore subitaneamente nel mondo perverso e triste della collina silenziosa. Chi si stesse chiedendo come mai la vicenda si svolga a Shepherd’s Glen, non abbia timore: tutti i personaggi coinvolti hanno avuto o avranno in un modo o nell’altro a che fare con Silent Hill, e ritrovarsi a girovagare nuovamente per le sue strade oscure sarà unicamente questione di tempo.

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Apparentemente tutto sembra essere al posto giusto, eppure qualcosa non è andato per il meglio e bastano pochi secondi di gioco per rendersene conto. È un po’ avvilente soffermarsi sulla grafica in un prodotto come Silent Hill, che fa delle profonde riflessioni il proprio vessillo ma, non nascondiamoci dietro un dito, quando è stato annunciato questo episodio, la mente di tutti è corsa a figurare cosa Konami avrebbe potuto realizzare grazie alle potenti console next gen. Ciononostante, la casa nipponica è riuscita nuovamente a spiazzare, stavolta in negativo. È difficile descrivere l’imbarazzo che si prova di fronte al motore grafico, capace di arrancare allorché la locazione presenti una manciata di elementi in più del solito, o qualora compaiano un paio di personaggi a schermo. Non si tratta di rallentamenti pregiudizievoli alla fruibilità (invero presenti ma in rarissimi casi), ma tutto ciò risulta mortificante, specie se si pensa al carico computazionale notevolmente alleggerito dalla nebbia onnipresente, dal buio mai così oppressivo (che restituirà ambienti scuri pur settando al massimo la luminosità), e dalla pochezza poligonale di personaggi e ambienti. In particolare la realizzazione dei PNG è inferiore in dettaglio e animazioni persino a quella di Dead Rising, con l’aggravante che quest’ultimo poteva contare su texture meglio definite, e qualche decina, se non centinaia in alcuni casi, di mostri mossi contemporaneamente senza sforzo alcuno dalla GPU: qui ne bastano pochi per far crollare il comparto video. Tutto questo glissando sull'antecedenza temporale del titolo Capcom. Anzi, a voler rigirare il coltello nella piaga, ci sarebbe da notare come persino il terzo SH, con tutti i settaggi “high” su di un PC mediocre, faccia una figura migliore in più situazioni. Meglio stendere il classico velo pietoso.

Ad indorare parzialmente l’amara pillola, ci pensa la garanzia Yamaoka che, pur autocitandosi più volte e fossilizzando ormai da anni il comparto audio con suoni riconducibili addirittura al primo episodio, rimane il vero punto fermo di questa saga, qui sfornando alcune musiche agghiaccianti e un brano iniziale in grado di regalare autentici brividi emozionali. Quasi impossibile pensare ad un SH senza il suo ormai distinguibile tocco, eppure, essendo il buon Akira dimissionario, bisognerà obbligatoriamente farlo. Ma più in generale è la realizzazione artistica a risultare pregevole, per quanto sorretta quasi esclusivamente da un’eccezionale implementazione di luci ed ombre: notevoli a tal proposito le proiezioni delle turbine in movimento o la luce filtrante dalle grate, tutto puntualmente riprodotto in tempo reale, con sbalorditiva coerenza, su ambienti e personaggi. Discontinuo l’utilizzo dell’Havok, come al solito sorprendente in alcuni casi ma clamorosamente assente in altri, e nella media le animazioni. Menzione la meritano i mostri che, pur latenti in poligoni, saranno realmente stomachevoli, oltremodo inquietanti nel loro presentare dettagli antropomorfi rivisti in un’ottica spaventosamente malata, per tacere delle imponenti dimensioni, con particolare riferimento agli immensi boss: l'effetto gatto col topo, durante tali scontri, sarà tangibile, soprattutto riuscendo nell’impresa di spaventare sia per le loro immonde fattezze, che per la capacità di incidere nel gameplay, privando con inusitata facilità Alex di munizioni e bevande energetiche.

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Questo Homecoming paventava tra le novità più interessanti il poter pilotare un militare, in grado di annoverare nel proprio repertorio una serie di mosse offensive e difensive superiore rispetto ai precedenti protagonisti, invero persone piuttosto comuni. Tuttavia, nel constatare la resistenza e la sagacia dei nemici, viene da chiedersi se questi ultimi non si siano sottoposti allo stesso addestramento di Alex. Chi pensa di affrontare questo SH nella maniera classica, limitandosi a fuggire dalla creature o colpendo alla cieca, non avrà una sola speranza di sopravvivere. I mostri non si lasciano raggirare così facilmente, e se i più veloci non esiteranno ad inseguire Alex in attesa di circondarlo ad una sua minima esitazione, è inatteso constatare come capiterà di intravederne uno di quelli lenti in lontananza, cambiare radicalmente direzione per evitarlo, e ritrovarselo ugualmente alle calcagna, magari quando si è bloccati in un vicolo cieco. È fondamentale quindi apprendere il prima possibile come affrontare al meglio i combattimenti, che in determinate situazioni vedranno coinvolte anche più creature (e più avanti persino esseri umani), e soprattutto quale delle poche armi in dotazione, bilanciate tra corto e lungo raggio, sia più adatta ad eliminare col minimo sforzo quella tipologia di avversario. Non è la solita raccomandazione che non trova riscontro all’atto pratico, ma il vero fulcro del gioco, la sola possibilità di avanzare. Insomma, il sogno di un SH lento e riflessivo si infrange nuovamente, ma almeno la componente action ora è parte integrante della buona giocabilità e non un elemento estraneo.

La scelta di spostare la bilancia sull’azione si evince anche dall’inclusione di insulsi QTE (ma niente riflessi particolari o combinazioni complesse, essendo richiesto solo di premere con rapidità – nemmeno eccessiva ad onor del vero – un unico pulsante) e la quasi totale assenza di enigmi. Seppure un paio siano attinenti allo spirito del titolo, non si riveleranno stimolanti come gli emicranici indovinelli dei precedenti: agli astrusi quiz passati, si è preferito fornire direttamente la soluzione, reperibile previo una banale ricerca nello scenario. La stessa mappa è abbastanza univoca, evitando al giocatore di girovagare alla ricerca di un punto nevralgico che porti all'avanzamento della storia. In generale, tutto è piuttosto spoilerato, cosa che però porterà vari benefici, spingendo il giocatore a terminare SHH più volte. I motivi sono molteplici: dopo la prima si potrà da subito avere la meglio sui mostri, avendone carpito i segreti e appreso le strategie, e quindi buona parte della frustrazione lascerà spazio al divertimento, il percorso indirizzato genera un backtracking accettabile, maggiore immediatezza e conseguentemente meno noia, ed è possibile sbloccare i vari, spiazzanti finali, in modo decisamente basilare rispetto ai precedenti, optando semplicemente per alcune scelte verso la conclusione, evitando quindi le strambe azioni dei precedenti, spesso talmente stravaganti da venirne a capo solo grazie a delle guide.

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Insomma, alla fine pur coi suoi pro e i suoi contro, questo Homecoming si affronta proprio volentieri e puntualmente lascia quel pizzico di impotenza di fronte agli eventi, mista a riflessioni dense di spunti, che catalizzano l’attenzione post ending. Tra una strizzatina d’occhio alla pellicola omonima (le realizzazione delle infermiere e il passaggio alla dimensione parallela, ripresi pari pari), una a quella del film Jacob's Ladder (“Allucinazione perversa” in Italia, da sempre fonte di ispirazione per la saga – clamorosa la scena della stazione nel terzo episodio - che qui ne mutua parzialmente il protagonista) ed un'altra ai vecchi episodi (in particolare i primi due capolavori) il titolo, dopo un iniziale momento di sbandamento dovuto alla grafica e all’apparente trascinarsi della trama, decolla e si termina con piacere. Il segreto sta nel non scoraggiarsi di fronte ad un pessimo incipit, lasciandosi trasportare dalla storia che saprà man mano intrigare, e dalla fobia che questa saga, ormai si può definitivamente dirlo, è tornata a palesare dopo una manciata di capitoli sottotono. Vero è che chi inizia ad averne abbastanza di tale struttura classicamente survival, non troverà qui davvero nulla in grado di ravvederlo, così come è un peccato non aver dedicato maggiore attenzione ad ogni singolo aspetto, specie quello visivo, quasi che l’uscita fosse pressante dietro l’angolo. Tuttavia per quanto la faciloneria tecnica secchi e non poco, va ad intaccare solo parzialmente la validità di un gioco che ha i propri punti di forza in altri settori, per inciso ancora sconosciuti alla maggior parte dei videogame horror in commercio.

COMMENTO FINALE


"SHH diverte, decisamente più del solito, ma gode di una realizzazione tecnica ampiamente sotto la media di saga e hardware. Gli appassionati sapranno andare oltre tale deficit e apprezzarne ugualmente la buona trama e l'ottima giocabilità, tuttavia i detrattori troveranno parecchi punti cui aggrapparsi per le proprie critiche. Ovvio, è fondamentale per un titolo horror riuscire a regalare emozioni durante (e anche dopo) il suo svolgimento, ma lascia parecchio amaro in bocca constatare che un po' di accortezza in più nello sviluppo avrebbe portato ad un prodotto eccellente, mentre la realtà dei fatti è quella di trovarsi dinanzi ad un titolo cui adattare, sminuendole, le proprie aspettative.”