Sviluppato dagli svedesi “Digital Illusion” (passati ormai in forza alla tentacolare EA con il nome di DICE), Mirror’s Edge rientra esattamente in questa sfortunata quanto benemerita categoria.
Già nelle sue premesse iniziali, il titolo qui analizzato si presenta come un prodotto assolutamente fuori dagli schemi, imbrigliando in una visuale in prima persona tipicamente da shooter delle meccaniche solitamente affidate ad una ben più canonica prospettiva posta alle spalle del giocatore.
Con le dovute proporzioni, Mirror’s Edge potrebbe essere descritto come una sorta di Prince of Persia in soggettiva, includendo in tal senso anche le primissime installazioni ad opera della Brøderbund. Infatti, lo scopo principale dell’avventura consisterà nel superamento di numerose sezioni in stile platform, nelle quali la parte del leone verrà giocata dalle incredibili doti atletiche del nostro alter-ego digitale, capace di eseguire evoluzioni in grado di lasciare di stucco anche il più smaliziato dei “parkour”. Di quando in quando faranno la loro comparsa anche talune fasi maggiormente incentrate sul combattimento, nelle quali potremo decidere se fare uso delle micidiali armi da fuoco o se puntare ancora una volta sulla nostra sovrumana agilità. Opzione, quest’ultima, che pur rivelandosi decisamente più ostica, sarà in grado di ripagare il giocatore con un dose ben più elevata di soddisfazioni, nonché con qualche punticino in più per i nostri “awards”.
Oltre a dei comandi assolutamente intuitivi ed affidabili, il titolo DICE può fare leva anche su l’incredibile livello di spettacolarità che ne permea l’azione. Già dopo pochissimi minuti di gioco saremo infatti capaci di eseguire evoluzioni da capogiro, come ad esempio saltare da un grattacielo all’altro, camminare sui muri per brevi tratti, scivolare al di sotto degli ostacoli senza interrompere la nostra corsa e così via, il tutto raggiungendo dei livelli di fluidità e realismo tali da sconsigliare il gioco ai deboli di cuore o a chi soffre di vertigini. Data la vastità di alcune location e la loro quasi totale interattività, il titolo ci viene incontro marcando di un colore rosso acceso tutti quegli elementi dello scenario utili al superamento dei diversi passaggi, attenuando così drasticamente il naturale senso di spaesamento che potrebbe venirsi a creare.
La presenza di numerosi check-point generosamente dislocati lungo il percorso permette invece al titolo DICE di non risultare mai eccessivamente frustrante, nonostante il superamento di talune sezioni risulti alquanto impegnativo e necessiti perciò di ripetuti tentativi. Soprattutto durante le bellissime battute finali, la vera difficoltà del gioco non risiederà tanto nell’abilità manuale indispensabile per effettuare le diverse acrobazie (campo in cui si diverrà facilmente maestri alquanto prima) quanto nel capire in quale modo raggiungere determinati appigli o piattaforme. La componente “puzzle” che si viene così a creare viene ulteriormente accentuata dalla presenza di passaggi alternativi e di soluzioni multiple ai vari “enigmi”; fattore, questo, che aiuta non poco il giocatore a sentirsi parte attiva del costrutto narrativo, rendendo ogni singola partita a Mirror’s Edge un’esperienza che potremmo quasi definire intima.
Un’idea originale ed un’ottima giocabilità non basterebbero comunque al titolo EA per ottenere quell’indiscutibile valore artistico a cui si accennava all’inizio dell’articolo. A tale scopo concorrono infatti in maniera preponderante sia l’aspetto estetico che la storia.
Sfruttando il pluriosannato Unreal Engine III, il titolo DICE riesce a dare corpo ad un città ricchissima di fascino e personalità, in cui non mancheranno di certo alcuni scorci in grado di mozzare il fiato. L’incredibile profondità di campo a cui potremo assistere durante i passaggi all’aperto viene altresì pagata con un calo del dettaglio grafico durante le altrettanto numerose sezioni al chiuso. Tale limitazione viene comunque magistralmente aggirata dal particolarissimo stile grafico adottato dai programmatori; i quali hanno dato corpo ad un mastodontico agglomerato urbano contraddistinto da un’estetica che potremmo quasi definire “Zen”. La preponderanza del colore bianco e di tinte accese, la presenza di strutture regolari ricche di superfici lisce e riflettenti ed un’illuminazione talmente esasperata da risultare a tratti abbagliante, ci restituiscono una città volutamente asettica, che risulta però talmente funzionale alla narrazione da sembrare quanto mai credibile. A ben vedere, infatti, il vero protagonista del gioco non è la nostra agilissima eroina intenta a trasportare degli improbabili messaggi da un punto all’altro della mappa, quanto la megalopoli stessa e la sua società. Ambientato in un futuro quanto mai prossimo e verosimile, Mirror’s Edge ci trasporta in un mondo dove un’oligarchia fascistoide di stampo mediatico ha praticamente pacificato e messo a tacere qualsiasi voce dissidente. I pochi accenni “storici” forniti nel corso della narrazione vengono appunto completati dall’estetica stessa della città, che proprio come un bel dipinto riesce a trasmettere attraverso la sola immagine quello che potremmo definire come lo “zeitgeist” del gioco.
Un’ultima nota di merito va infine al meraviglioso comparto audio, il quale contribuisce ad innalzare ulteriormente il livello di immedesimazione grazie ad un set di effetti ambientali particolarmente ampio e ben riuscito, che arriva ad includere persino il respiro affannoso del nostro alter-ego o il forte vento che spira sui tetti dei palazzi. Ottime anche la musiche di accompagnamento, tra cui spicca senza ombra di dubbio la splendida e trasognante “Still Alive” dell’artista svedese Lisa Miskovsky.
Prima di concludere è quanto meno doveroso parlare dei seppur pochi difetti che immancabilmente affliggono anche il qui presente titolo. Il primo di questi riguarda sicuramente i combattimenti, i quali, pur non rappresentando un tassello fondamentale nell’economia del gioco, risultano caratterizzati da un’eccessiva leggerezza delle loro meccaniche. Il secondo ha invece a che fare con la longevità, che difficilmente riuscirà a tenere impegnato il giocatore per più di una dozzina di ore. Penalizzare eccessivamente il titolo DICE per quest’ultimo punto sarebbe però come criticare un bel film per essere troppo corto od un quadro d’autore per le sue modeste dimensioni; in fondo, il rammarico per il precoce concludersi dell’avventura non può che essere direttamente proporzionale alla sua intrinseca bellezza.
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