Ogni volta che gioco a Space Hawk mi torna in mente “Dark Star”, opera prima del grandissimo John Carpenter, in cui la sceneggiatura da lui scritta insieme al compianto Dan O’Bannon vede quattro astronauti (quattro e mezzo in realtà, chi l’ha visto può capirmi...) dispersi nello spazio da anni, così lontani dalla Terra da avere la certezza – inespressa e tuttavia evidente – di non potervi più fare ritorno, chiusi in una navicella asseritamente allestita per individuare e distruggere pianeti instabili e potenzialmente pericolosi per il nostro mondo. Un film non privo di ironia, anzi pure parecchio divertente se non proprio comico, ma quasi altrettanto angosciante, in cui i momenti buffi o allegri lasciano sempre un alone grottesco o ansiogeno, e la deriva senza meta nello spazio si confonde con la deriva psicologica dei protagonisti, astronauti nient’affatto ortodossi: ragazzotti americani capelloni e barbuti, anche un po’ fricchettoni, smarriti in un vuoto siderale non a caso dipinto con le tinte tipiche di un trip acido.
Le stesse atmosfere che mi ispira Space Hawk a partire dalla sua trama, se così la si può chiamare: un uomo completamente solo nello spazio profondo, ma soprattutto ostile. Nel manuale lo si definisce un “cacciatore”, il cui obiettivo primario è il “Falco Spaziale”, ma non si conosce il motivo né l’origine di questa lotta. Nessuna principessa da salvare, nessun tesoro da scoprire, nessuna invasione aliena da respingere a colpi di missile, nulla di tutto quanto possa solleticare le velleità eroiche di un bambino, no: con spietata nonchalance Mattel chiede al giocatore di immedesimarsi in una situazione di solitudine disperata e incomprensibile, senza offrire lo straccio di una giustificazione. Il cosmonauta sta già nello spazio, senza sapere come né perché, impegnato in una lotta per la sopravvivenza in cui il massimo premio è rimandare quanto più possibile il momento dell’ineluttabile fine.
Bolle spaziali
Ed eccolo lì, l’ometto in tutina azzurra che vaga fra le stelle, apparentemente neppure troppo terrorizzato, né troppo sorpreso dal vedere fluttuare qua e là, contro ogni evidenza scientifica, delle vere e proprie bolle di colori sgargianti. Guai però a soffermarsi troppo ad ammirare le strane bellezze di questo assurdo universo pop: le bolle piccole sono di puro ornamento ma quelle grandi, manco a dirlo, sono letali e vanno pertanto evitate, oppure distrutte con l’arma in nostra dotazione, il sedicente “gas blaster”, una sorta di mantice spaziale che espelle zaffate di energia verde. Ma il nemico più insidioso è senz’altro il Falco Spaziale: ne compare uno alla volta, e lasciatemi dire che la sua presenza non è meno straniante delle bolle variopinte, dal momento che appare come un uccellaccio del malaugurio bianco, che si muove agitando le ali in maniera assolutamente incoerente con il concetto di moto nello spazio. Anch’esso micidiale, secerne a sua volta bolle in quantità e necessita di tre colpi di gas blaster per essere eliminato.
Man mano che la partita prosegue ed il punteggio aumenta, la gamma di nemici si arricchisce pur nella predominanza di queste tipologie basilari. E così compaiono le “amebe”, conformazioni grigiastre indistruttibili, le “comete”, vere e proprie stelle cadenti da evitare o distruggere, ed ancora le “bolle arcobaleno”, che cambiano colore e sono vulnerabili solo nella fase verde, mentre i Falchi Spaziali si presentano nelle varianti “Big” e “Small”, con quest’ultima più rara ma anche molto più remunerativa in termini di score.
L’azione si muove fluida su uno scrolling multidirezionale in cui abbiamo l’illusione di poterci dirigere ovunque anche se, tecnicamente, è il background a muoversi intorno a noi mentre il nostro avatar rimane sempre al centro dello schermo, nella posizione insieme più esposta e più lontana da ogni via d’uscita, ed anche questo ha un certo sapore allegorico. Da notare che trattasi di scrolling per così dire “smemorato”: non appena un oggetto o un nemico esce dai bordi del riquadro di gioco, è vana fatica tentare di inseguirlo, perché il computer se l’è già scordato e quindi non ricomparirà.
E il cimento è presto descritto: vagare qua e là evitando o disintegrando cerchiolini colorati, sparacchiare ai minacciosi volatili o all’occorrenza fuggirli per scampare alla morte, tutto secondo un ritmo tipicamente intellivisionario, “allegro ma non troppo”, a tratti quasi contemplativo. Del resto se c’è una cosa che a questo Space Hawk non manca è la piacevolezza grafica dell’insieme, riposante nell’assenza di frenesia ma vivace nelle tonalità, senz’altro il tratto più azzeccato di questo gioco.
Il sonoro sta nella media dei titoli di questa console, ed è una gran bella media, anche se si esprime solo negli effetti e in null’altro: come prevedibile, nessuna musica fa compagnia all’astronauta più solo di sempre.
Sui controlli, invece, tanto di cappello di fronte all’impegno con cui Bill Fisher, il papà di Space Hawk, è riuscito allo stesso tempo a limare le asperità del controller Intellivision e ad esaltarne le potenzialità, con un ventaglio di opzioni per tutti i gusti. Innanzitutto, l’immancabile scelta fra il fuoco manuale (tasti laterali in alto) e quello automatico: la mia preferenza è assolutamente per la seconda ipotesi, e le dita sentitamente ringraziano. Inoltre, dal momento che il nostro personaggio viene sospinto dal jetpack che si ritrova sulla schiena (tasti laterali in basso), si dà l’opportunità di decidere tra la modalità “direct”, in cui lo sprite si ferma immediatamente quando non sia azionato il comando, e la modalità “drift”, di gran lunga più naturale, in cui similmente a giochi come Asteroids e Gravitar ci si può fare trasportare dalla spinta inerziale. Infine, la direzione del protagonista può essere trasmessa secondo il sistema “smooth”, in cui la pressione sul disco coincide con un fluido movimento rotatorio verso il punto relativo, oppure secondo il sistema “quick”, nel quale l’astronauta si ritrova all’istante nel senso corrispondente a quello applicato dal dito sul controller.
Le vite di partenza sono cinque, ma ne vengono elargite parecchie in premio secondo l’usanza Mattel, mentre le velocità disponibili sono ben quattro, ma date le frequenze tutt’altro che forsennate, è consigliabile non scendere sotto la “fastest”. Ci sono poi tre variazioni di gioco alternative al comune single player, e pure qua il programmatore ha dato prova di eccentricità: oltre al classico controllo alternato ed a quello condiviso, è implementata anche la modalità “sabotaggio” (sic!), nella quale mentre un giocatore conduce la propria partita, un avversario umano armato di altro controller può cambiargli a tradimento i diversi sistemi di fuoco/puntamento/propulsione allo scopo di mettergli i bastoni tra le ruote: semplicemente insano.
Il meccanismo dei punti richiama quello di Astrosmash, in cui ciò che conta al termine della partita è il cosiddetto “peak score”, dal momento che anche qua è possibile incrementare il punteggio corrente tramite distruzione dei nemici, ma pure diminuirlo in due modi differenti: perdendo vite o utilizzando l’Iperspazio. Come dite? Non vi ho ancora parlato del famigerato Iperspazio? Bhé, quello merita un capitolo a parte, ed è per molti versi il capitolo più “oscuro” in assoluto...
Tutta colpa del Buco Nero
L’Iperspazio non è niente più e niente meno dell’analoga feature di Asteroids, di cui Space Hawk, se non l’aveste ancora capito, è una libera rivisitazione: alla pressione del tasto numerico 9, il nostro avatar viene teleportato all’istante in altro luogo, con manovra evasiva utile nei momenti di pericolo. Sin qui nulla di male, non fosse che ogni tanto, senza aver premuto alcun tasto, l’enigmatico cosmonauta attiva l’Iperspazio autonomamente, a capocchia. E' fonte di consolazione pensare che lo stesso stupore provato dal giocatore fu condiviso, con un surplus di agitazione, da Bill Fisher, il quale si imbatté in questo bug – perché di vero e proprio bug si tratta – nelle prime sessioni di test.
Bill ed il suo capo, tale Mike Minkoff, ebbero modo di verificare che la macchina talvolta recepiva erroneamente una data combinazione di pressione sul disco e sui tasti laterali come fosse quella su un tasto numerico, e che non c’era modo di aggiustare la cosa. Perplessità, riflessione, poi: il colpo di genio.
Nel manuale venne inserita questa amabile postilla, che vi riporto traducendola letteralmente dall’inglese: “di tanto in tanto, il tuo cacciatore spaziale si muoverà vicino a un ‘buco nero’, e il computer lo porrà immediatamente nell’Iperspazio. Questo ti costerà la stessa quantità di punti che se avessi premuto il tasto tu stesso. D’altra parte, salverà il tuo cacciatore”.
E così, da quel perfido Buco Nero, nacque anche una regola astuta e laida al tempo stesso che riecheggiava spesso, tra risolini di soddisfazione, negli stabilimenti Mattel: “se lo documenti, non è un bug – è una feature”. Per me, rimane una porcata.
Ma è anche un test. Perché per giocare con profitto e soddisfazione a Space Hawk, per assaporare il suo gameplay fatto di attese, azione quieta e movimenti dolci, è necessario rilassarsi, anzi quasi “abbandonarsi”, sospesi come l’ometto disperso che comandiamo, usare pazienza e una calma quasi zen. E allora neppure un bug potrà turbarci granché, mentre ci facciamo cullare dalle correnti nello spazio profondo.
Space Hawk - Intellivision
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- Pubblicato: 04-03-2013, 22:55
- 2 commenti
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Space Hawk
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Titolo davvero interessante e davvero curioso di cui non avevo mai sentito parlare. Secondo me la sua struttura potrebbe anche essere a grandi linee riciclata in un prodotto moderno, magari basato sul motion control e caratterizzato da un gameplay sui generis & vagamente "relaxing" tipo Child of Eden. Complimenti per l'articolo!
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