"Sbagliando s'impara"
"Chi è causa del suo mal pianga se stesso".
I detti appena menzionati ronzavano molto probabilmente nella testa dei Reflections, quando si accinsero allo sviluppo del terzo capitolo della loro nota saga Shadow of the Beast, serie di videogame che, nel bene e nel male, ha sempre fatto parlare parecchio di se, dividendo l'utenza tra decisi sostenitori e fermi detrattori. Il maggior pregio del primo SotB, bisogna ammetterlo, è stato sicuramente quello di sdoganare le reali capacità di una macchina come l'Amiga, sistema sino allora ancora poco conosciuto e non abbastanza sfruttato. Di videogioco in senso stretto, purtroppo, c'era ben poco. Arrivò dunque il momento di creare un "vero" videogame che, almeno nelle intenzioni dei programmatori, oltre che tecnicamente avanzato doveva essere giocabile; venne, dunque, il tempo del secondo capitolo della serie Beast. Pur caratterizzandosi ancora una volta per un alto tasso di sperimentazione tecnica, Shadow of the Beast 2 non riuscì comunque a stupire quanto il predecessore, meno che mai sul fronte giocabilità, che in questo secondo tentativo risultò ancor più penalizzata da una difficoltà al limite del risibile. Continuando su questa strada, quindi, la saga di rischiava veramente di cadere in un prematuro dimenticatoio, trascinando con sé la sorte di un gruppo di talentuosi coders dalla riconosciuta eccellenza tecnica, ma anche dagli ormai evidenti limiti sul lato beta testing. Per fortuna (per loro) le cose non andarono proprio nel verso sbagliato e, ricollegandoci ai detti citati a inizio recensione, i Reflections iniziarono a lavorare al titolo che avrebbe ridonato loro credibilità, andando a porre l'accento della programmazione proprio sul fattore giocabilità. Nacque in questo modo, nel pieno del 1992, Shadow of the Beast 3, e tutto filò liscio come l'olio, anche troppo direi. Il terzo capitolo della saga Beast, di fatto, è un vero tributo alla giocabilità votata al divertimento, grazie ad un gameplay preciso, dinamico, perfetto, farcito di enigmi dalla difficoltà molto ben calibrata, visto che anche il più complicato di essi può essere risolto con un minimo di pazienza e dedizione. I Reflections, dunque, mostrano finalmente di saperci fare con la creazione di un videogioco, smentendo chi li riteneva soltanto capaci di mostrare quanti strati di parallasse poteva gestire una macchina come l'Amiga. Per quanto naturale evoluzione del capitolo precedente (un 2.5 direi), Shadow of the Beast 3 se ne discosta così tanto per quanto concerne la sfida da risultare addirittura di facile risoluzione. Il gioco, infatti, culla il videogiocatore e lo accompagna per mano nei continui e stuzzicanti enigmi, riuscendo così a stimolarne la riflessione senza trascurare di arricchire il tutto con combattimenti finalmente gestibili e arrivando a suggerire, là dove possibile, anche la strada giusta da percorrere. In Shadow of the Beast 3 non si è più catapultati in una landa buia e isolata, sperduti e storditi al punto da rendere difficile la sola scelta del cammino da intraprendere, non si è più vittime prescelte di quel fastidioso senso di impotenza contro un videogioco che, una volta iniziato, pensava solo a come piegare il videogiocatore di turno nei modi più disparati. No, tutto questo nel terzo capitolo della serie diviene solo un triste ricordo, lasciando che emergano solo le intuizioni e le buone idee avute sin dai tempi della prima bestia.
Anche se non si arriva a sfoggiare preziosismi tecnici pari al capostipite, né forse a ricreare la particolare atmosfera del secondo, Shadow of the Beast 3 è alla fin fine il migliore titolo della trilogia. Il nostro alter ego digitale, oramai lontano da qualsivoglia forma primitiva o animalesca, sfoggia un look da perfetto esploratore stile Indiana Jones, affrontando i nemici con delle stellette ninja che, a dirla tutta, sembrano un tantino stonate e fuori contesto, armi comunque intercambiabili con bombe e martelli, lievemente più in sintonia con l'ambiente circostante. Le animazioni sono generalmente migliorate, cosi come i nemici, ora meno tozzi che in precedenza. I mondi da esplorare, finalmente suddivisi in quattro scenari indipendenti invece che in un'unica ed enorme mappa, fanno sfoggio di fondali in prospettiva e parallasse a perdita d'occhio, il tutto accompagnato da uno scrolling multidirezionale fluido e privo d'incertezze. I 50 fps, infatti, sono sempre costantemente assicurati, cosi come il superamento della soglia dei trentadue colori simultanei in video cari al chip set OCS/ECS. La scenografia degli ambienti segue stilemi gotici, virando in un grottesco con richiami tra il fantasy e il medievale. Stupende determinate ambientazioni dove guideremo il nostro avatar attraverso ponti, piattaforme mobili e puzzle vari, il tutto al cospetto di sontuose statue che non solo abbelliscono il fondale, ma fungono anche da struttura primaria dello stesso. Avete presente ciò che accade nel più recente God of War a livello scenografico? Beh, con tutti i limiti del caso, i Reflections nel 1992 viaggiavano già su simili binari, mostrando idee e intuizioni riprese ed enfatizzate in seguito dai Santa Monica Studio nel titolo appena citato. Anche sul fronte audio il titolo recensito si difende abbastanza bene, poiché, pur non potendo contare una memorabile title track firmata da un certo Whittaker, od una altrettanto struggente e malinconica end sequence, si ha, a conti fatti, un equilibrio qualitativo superiore ai due predecessori, fattore, quest'ultimo, riscontrabile quasi in ogni aspetto del prodotto. Sette i moduli presenti, uno più bello dell'altro, brani privi di sbavature o cali qualitativi, interamente curati da un duo Tim e Lee Wright davvero in grande spolvero. Alla fin fine lasciate che vi dica una cosa miei cari retrogiocatori, Shadow of the Beast 3 è sicuramente uno dei migliori action adventure esistenti per Amiga, nonché un'imperdibile "esclusiva" per questo sistema. Meglio di cosi!
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