Bene o male, dunque, tutti aspettavano con trepidanza un seguito, anche chi non digeriva quella ostica e diversa giocabilità, covava in cuor proprio la speranza in un nuovo episodio che ne potesse limare i difetti di gameplay, magari ripresentando, al contempo, anche la medesima tecnica stupefacente. Reflections accontentò l’utenza con il seguito tanto bramato, ma fu nuovamente scissione di opinioni, anzi, questa volta il tutto fu ancora più marcato. Vediamo il perché.
La prima cosa che noteremo è la fattezza del nostro personaggio principale, non più ibrido tra bestia e uomo ma semplice umano, perdipiù primitivo. La forza di attacco, dunque, non deriverà più dal nostro corpo coi potenti calci e pugni che sferravamo nel primo capitolo, bensì da una palla chiodata da usare in stile frusta. Questo cambio di direzione elimina del tutto il combattimento a corpo a corpo stile beat’em-up del primo capitolo per far spazio a movenze più appropriate a un buon action adventure quale il gioco è. Di fatto, il profumo di avventura che nel predecessore fu solo accennato, è qui approfondito tramite una trama più corposa che prevede anche il dialogare con personaggi dello scenario, nonché una buona dose di enigmi da risolvere, con relativa ricerca di chiavi e oggetti utili per proseguire nel gioco. Reflections, quindi, ricostruisce da capo una struttura ludica per certi versi acerba, apportando quei minimi e giusti cambiamenti che avrebbero reso la giocabilità di questo sequel più profonda e immersiva. Certo, almeno nell’intento dei programmatori doveva essere inizialmente cosi, ma, indubbiamente, portando a termine il programma, qualcosa andò irrimediabilmente storto.
Cari lettori, con Shadow of the Beast 2 siamo, molto probabilmente, al cospetto del più ostico videogioco mai concepito da mente umana. Provando questo prodotto, non saremo altro che vittime sacrificali poste sull’altare della sua giocabilità cattiva, dura, esigente, legnosa, ma nello stesso tempo anche affascinante. Entrare nel mondo di Shadow of the Beast 2 significa catapultarsi in una dimensione buia, triste, isolata, con un senso di smarrimento che vi attanaglierà il collo, lasciandovi senza fiato e subito in balia della ferocia nemica. Reflections stabilisce un parametro di calo energetico a nostra disposizione che riesce a toccare assurdi tempi record: pochi colpi, pochi secondi di gioco, e tutto sarà tristemente finito. Non esistono vite in questo videogioco, tantomeno "continue", il ritmo serrato con cui è stato concepito prevede una sola boccetta di energia ricaricabile negli unici punti ben delineati dai programmatori. In Shadow of the Beast 2 la libertà di pensiero è prossima allo zero. Saremo dei semplici burattini pilotati in uno scenario virtuale creato per esser superato in una sola e univoca soluzione, guai a fare di testa propria, il gioco non perdonerebbe una tale scelta. Siamo allo zen della rigidità videoludica, una struttura talmente legnosa da scoraggiare anche i più caparbi videogiocatori, che lascia la netta sensazione che nemmeno i programmatori abbiano giocato la loro creatura fino in fondo. Insomma, la domanda che assillerà inevitabilmente la nostra mente sarà: che fine ha fatto il beta testing? O meglio, chi è il pazzo responsabile di quest’ultimo? Eppure, bisogna ammetterlo, in mezzo tutto questo marasma, qualcosa ci affascina.
Oggigiorno abbiamo a disposizione una quantità d’informazioni esorbitante,grazie ovviamente ad Internet. Sui canali di Youtube si trovano i famigerati "longplay" dove non si fatica a scovare anche quello dedicato al prodotto ivi recensito. Una volta visionato tale filmato (e relativa conclusione del gioco) si capisce che, in qualche modo, questa bestia di codice può essere domata, che qualcuno sia, nel tempo, riuscito in un’impresa ritenuta dai più IMPOSSIBILE! Ovviamente la questione, a questo punto, diverrebbe di solo sfizio. Lo sfizio di togliersi la spina dalle scarpe portando a termine un videogioco che poco prima ci aveva sistematicamente piegati in due, imponendo alla nostra mente solo il compito di ripercorrere il percorso offerto dal longplay in questione per poter finalmente far parte di quel coro che può esclamare a voce alta: L’HO FINITO! Siete pronti a scendere a patto con una tale impresa? Ammesso per ipotesi che la risposta sia affermativa, non pensiate comunque che una volta assimilato per intero la mappa di gioco, il peggio sia davvero superato, poiché Shadow of the Beast 2 non lascerà mai la certezza di niente a nessuno, e dico: DI NIENTE A NESSUNO! L’avventura inizia e si conclude in trenta minuti scarsi continui, trenta minuti che si snocciolano in ore, giorni, mesi di tentativi andati a male, di speranza nel proseguire, speranza di poter capire come tirare quella maledetta leva. Le situazioni proposte sono criptiche, gli enigmi talvolta illogici, la frustrazione perennemente presente. Eppure, in mezzo a tutto questo marasma, qualcosa ci affascina.
Sin dalla stupefacente presentazione animata (d’impatto ancor’oggi) Shadow of the Beast 2 sa ammaliare l’utente trascinandolo in un mondo lontano, in bilico tra il fantasy e l’horror, che non potrà lasciare nessuno indifferente. Arrivati alla schermata dei titoli, un campione di flauto di pan scandisce in poche note tutta la sua massiccia, e nello stesso tempo, fragile essenza. Anche a partita iniziata si è come avvolti da un manto di solitudine incredibile, accompagnati sempre da musiche create ad-hoc da un duo (Timothy Brian Wright, Lee Wright) in stato di grazia artistica, che ben sapranno amalgamarsi alle immagini che scivolano via sullo schermo. Il top sul fronte musicale si raggiunge (guarda caso) nella schermata che segnala la nostra dipartita. Immagine stupenda con un sottofondo musicale che, a colpi di chitarra elettrica campionata, colpisce allo stomaco con poche note che suggellano i richiami tristemente fascinosi di cui il gioco è pervaso. Purtroppo non ritroveremo, in questo secondo capitolo, i famosi tredici strati di parallasse che tanto ci avevano esaltato nel capostipite, bensì un unico strato perpetuo e multidirezionale. Anche in questo caso il gioco non è suddiviso in livelli, ma in un’unica enorme mappa esplorabile a piacere. E sarà proprio quest’ultima peculiarità a rivelarsi come prima nemica, poiché se non si percepisce bene cosa fare e dove andare, se proseguire a destra o piuttosto a sinistra, riusciremo a rincorrere solo i diversi modi di morire che il gioco propone. Morire: forse l’unica azione che accomuna veramente tutti i videogiocatori fagocitati dal devastante mondo di Shadow of the Beast 2.
Nota:
• Il gioco recensito, dopo l’originale apparizione su Amiga, fu convertito per altri svariati sistemi tra i quali: Atari ST, Sega Mega Drive, Mega CD, FM Towns. Queste ultime due versioni, oltre a essere particolarmente simili tra loro, si discostano stilisticamente dall’originale per un’esposizione grafica più sobria e meno cupa, essendo più “classica” nel disegno ma comunque ben fatta.
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