Bene o male, dunque, tutti aspettavano con trepidanza un seguito, anche chi non digeriva quella ostica e diversa giocabilità, covava in cuor proprio la speranza in un nuovo episodio che ne potesse limare i difetti di gameplay, magari ripresentando, al contempo, anche la medesima tecnica stupefacente. Reflections accontentò l’utenza con il seguito tanto bramato, ma fu nuovamente scissione di opinioni, anzi, questa volta il tutto fu ancora più marcato. Vediamo il perché.
Oggigiorno abbiamo a disposizione una quantità d’informazioni esorbitante,grazie ovviamente ad Internet. Sui canali di Youtube si trovano i famigerati "longplay" dove non si fatica a scovare anche quello dedicato al prodotto ivi recensito. Una volta visionato tale filmato (e relativa conclusione del gioco) si capisce che, in qualche modo, questa bestia di codice può essere domata, che qualcuno sia, nel tempo, riuscito in un’impresa ritenuta dai più IMPOSSIBILE! Ovviamente la questione, a questo punto, diverrebbe di solo sfizio. Lo sfizio di togliersi la spina dalle scarpe portando a termine un videogioco che poco prima ci aveva sistematicamente piegati in due, imponendo alla nostra mente solo il compito di ripercorrere il percorso offerto dal longplay in questione per poter finalmente far parte di quel coro che può esclamare a voce alta: L’HO FINITO! Siete pronti a scendere a patto con una tale impresa? Ammesso per ipotesi che la risposta sia affermativa, non pensiate comunque che una volta assimilato per intero la mappa di gioco, il peggio sia davvero superato, poiché Shadow of the Beast 2 non lascerà mai la certezza di niente a nessuno, e dico: DI NIENTE A NESSUNO! L’avventura inizia e si conclude in trenta minuti scarsi continui, trenta minuti che si snocciolano in ore, giorni, mesi di tentativi andati a male, di speranza nel proseguire, speranza di poter capire come tirare quella maledetta leva. Le situazioni proposte sono criptiche, gli enigmi talvolta illogici, la frustrazione perennemente presente. Eppure, in mezzo a tutto questo marasma, qualcosa ci affascina.
Sin dalla stupefacente presentazione animata (d’impatto ancor’oggi) Shadow of the Beast 2 sa ammaliare l’utente trascinandolo in un mondo lontano, in bilico tra il fantasy e l’horror, che non potrà lasciare nessuno indifferente. Arrivati alla schermata dei titoli, un campione di flauto di pan scandisce in poche note tutta la sua massiccia, e nello stesso tempo, fragile essenza. Anche a partita iniziata si è come avvolti da un manto di solitudine incredibile, accompagnati sempre da musiche create ad-hoc da un duo (Timothy Brian Wright, Lee Wright) in stato di grazia artistica, che ben sapranno amalgamarsi alle immagini che scivolano via sullo schermo. Il top sul fronte musicale si raggiunge (guarda caso) nella schermata che segnala la nostra dipartita. Immagine stupenda con un sottofondo musicale che, a colpi di chitarra elettrica campionata, colpisce allo stomaco con poche note che suggellano i richiami tristemente fascinosi di cui il gioco è pervaso. Purtroppo non ritroveremo, in questo secondo capitolo, i famosi tredici strati di
Nota:
• Il gioco recensito, dopo l’originale apparizione su Amiga, fu convertito per altri svariati sistemi tra i quali: Atari ST, Sega Mega Drive, Mega CD, FM Towns. Queste ultime due versioni, oltre a essere particolarmente simili tra loro, si discostano stilisticamente dall’originale per un’esposizione grafica più sobria e meno cupa, essendo più “classica” nel disegno ma comunque ben fatta.
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