Ho pensato a lungo quanti e quali giochi abbiano avuto un simile privilegio, quello di esser venerati SENZA aver divertito: è dura trovarne. L’unico caso che mi viene in mente è quello dei laser game, ma si tratta di videogiochi molto particolari che hanno avuto un limitato seguito. Oggi qualsivoglia amighista, anche il più sprovveduto, ricorda nitidamente Beast. E’ un nome profondamente associato a quello della macchina che lo ha ospitato per primo, ai suoi programmatori, i Reflections, e al suo publisher, la Psygnosis. Influenzò la produzione dei giochi su Amiga in una maniera impressionante e rappresentò la sublimazione della concezione artistica europea prima dell’invasione dei giochi nipponici, col suo stile adulto, dettagliato, oserei dire gotico, ricco di dettaglio e particolarmente attento alle sfumature. Si, credo che il teorema di inizio articolo venga frantumato dall’evidente immortalità stilistica di Shadow of the Beast. Senza di essa annegherebbe nel caos di tanti giochi simili, non essendo altro che un semplice platform bidimensionale, senza una ordinata suddivisione in livelli, con un sistema di combattimento molto semplificato.
Il gioco consiste nell’eseguire con meticoloso ordine una serie di azioni come il cercare un determinato oggetto prima di attraversare la strada occupata da un particolare mostro, cercare di non perdersi nei labirinti, imparare i movimenti di alcuni nemici per evitarli e acquisire un certo tempismo nello sferrare pugni e calci in quanto abbiamo pochissimi punti vita. Alla fine ci si riduce a lavorare di memoria e basta. La difficoltà è estrema. Si parte con pochissima energia e perderla è davvero facile: i nemici ci attaccano spesso con rapidità e, se non si conosce anticipatamente la loro presenza è difficile non venirne colpiti. A parte queste indicazioni sulla meccanica di gioco è difficile andare più nel dettaglio prescindendo dallo specificare la versione di cui trattiamo: Beast è stato convertito su tantissimi formati sempre con qualche modifica, vuoi per necessità hardware, vuoi per precise scelte di design. Quella che ha fatto storia fu la versione originale, come sempre, per Amiga: la nostra avventura comincia in una landa dispersa chissà dove, dopo essere stati trasformati in bestia dal cattivo di turno. Scalzi, seminudi e disarmati ci troviamo su di una infinita distesa di erba, con delle montagne dalla forma impossibile in lontananza che rimarranno impresse per sempre nella nostra memoria, sotto un cielo nuvoloso pieno di poetica sfumatura pastello. L’uso dei colori è peculiare in Shadow of the Beast: vengono usate numerose tonalità molto vicine tra loro, creando tenui sfumature ma disposte in maniera arzigogolata, con la risultante di un dettaglio tanto delicato quanto elaborato, perfettamente amalgamato all’onirica ambientazione che ci circonda. Il vero shock, tuttavia, è dovuto alla maestrale fusione tra la perfezione stilistica e l’abilità programmatoria: Beast sfonda le nostre retine con una miriadi di strati parallattici che scorrono senza battere ciglio sotto i nostri occhi, con le fronde degli alberi che sembrano uscire fuori dal nostro televisore e una tridimensionalità tanto palpabile da farci sembrare reale l’orizzonte di quelle montagne. Non c’è nulla al quale Beast possa essere assimilato: nessun riferimento temporale ma un fantasy come non lo avevamo mai visto, fatto di alberi cavi popolati da bestie e fucili laser da scatenare in castelli medioevali. All’inizio dovremo solo decidere se andare a destra o a sinistra per capire presto che non si va da nessuna parte senza una infinita dose di pazienza utile a sopportare la devastante frustrazione causata dalla dispersività delle mappe di gioco e dalla lentezza di alcuni movimenti del protagonista. Ma la troveremo questa pazienza e non perché saremo accalappiati da una trama avvincente ma solo per vedere cosa c’è dopo, di quali colori è composta la prossima locazione, quali meravigliosi nemici incontreremo e quale musica ci farà compagnia. Si, signori, le musiche. David Whittaker, uno dei più prolifici musicisti dell’epoca Amiga e tutt’ora in attività, dà qui il meglio di sé con una soundtrack ricca di suoni new age e un tripudio di flauti di pan, con ogni campionamento effettuato a elevate qualità.
Un orgasmo. Le musiche di Beast sono nel mio mp3, su centinaia di siti internet, ma soprattutto ben impresse nella mente di qualsiasi giocatore abbia avuto il piacere di ascoltarle. Questo gioco accende in noi una irrefrenabile voglia di scoperta, di vedere quello che viene dopo, noncuranti della totale mancanza di divertimento, largamente rimpiazzata dalla curiosità per quello che c’è dopo. E verremo puntualmente accontentati: la prateria, l’albero, il castello ed ogni piccolo anfratto di questo gioco sono arte allo stato cristallino, di qualità che non viene mai a noia e che tutt’oggi ammiriamo allibiti. Beast è leggenda stilistica, non era un gioco artisticamente impressionate ma E’ un gioco artisticamente impressionante e fa specie notare quanto stupore è in grado di generare tutt’oggi. Ma, per l’ennesima volta, la giocabilità? La bestia la prende, la riduce in brandelli, la divora e la rigurgita sulle console giapponesi. In Europa, per passare alla storia, ne possiamo fare anche a meno.
Conversioni:
Beast è stato convertito su veramente tanti sistemi, come sempre con alti e bassi, ma in ogni caso l’eccellenza della versione Amiga è rimasta sempre sopra tutti. Ma vediamo un po’ più in dettaglio le altre versioni:
Altre immagini: