Non fosse altro che per una pura questione temporale, le prime cose a far vibrare le vostre retine saranno alcune immagini mozzafiato, realizzate con magistrale ispirazione da un artista chiamato Franck Sauer. Basterà lui a farvi desiderare di proseguire nel gioco: ognuna delle sue opere comparirà, rigorosamente firmata, tra un livello e l’altro senza un pur minimo declino qualitativo, lasciandovi esterrefatti più e più volte. Con esaltante delicatezza verso la nostra estasi verremo introdotti al fulcro della nostra avventura, ad un volo lungo scenari di profonda magia. L’animazione del gufo è sconvolgente sia per la sua fluidità sia per la bellezza dello sprite stesso, di dimensioni ragguardevoli e dotato di una potenza di fuoco dapprima modesta, ma capace di potenziarsi dopo il raccoglimento di specifici bonus, senza tralasciare la possibilità di appropriarsi di power up selezionabili durante il gioco.
La nostra sfida ha una durata piuttosto breve tanto che saranno sufficienti una trentina di minuti per completarla. Per far fronte ad una brevità direttamente proporzionale alla complessità grafica di ogni locazione, i programmatori hanno adottato una curva della difficoltà particolarmente ingannevole, tanto tollerante nei primi tre livelli quanto punitiva nei successivi. Tutto, in Agony, verte attorno alla sua magnificenza artistica ed è inevitabile constatare come l’obiettivo primario degli Art & Magic fosse stato il mantenimento dell’appagamento percettivo a livelli straordinariamente superiori alla media. Questo non si esplica solo nella già citata difficoltà del gioco, ma persino alla base delle sue meccaniche: il gufo, pur ammirevole gioiello artistico, è particolarmente ingombrante relativamente alle dimensioni dell’area di gioco, traducendosi in elemento tendente a facili collisioni con le traiettorie dei nemici o dei loro colpi. Gli stessi nemici, dal canto loro, si presentano spesso in formato extralarge proprio per non sfigurare rispetto al protagonista, come nel caso degli immensi boss di fine livello.
Non si può dire che Agony sia un gioco particolarmente divertente, ciononostante non posso che segnalare la totale assenza di gravi mancanze: il gioco scorre senza problemi, proprio come ci si aspetterebbe da un tipico shoot’em up. Se proprio dovessi ricercare alcuni difetti, mi permetto di sottolineare la monotonia di meccaniche di gioco talmente collaudate da ricadere nello scontato. Ma non importa. La giocabilità qui è solo un pretesto, un espediente per trascinare il giocatore lungo i livelli. E in Agony mi ha fatto impazzire l’inarrestabile gusto dei game designer nel non concedersi pause qualitative, allietando i nostri sensi dal primo all’ultimo fotogramma del gioco. E non sto parlando esclusivamente di direzione artistica ma di qualità tecniche tali da far impallidire un caposaldo del genere come Project-X. Quest’ultimo, contemporaneo ed erroneamente considerato tra i più spettacolari shooters, difettava di una lunga serie di delizie proprie dell’opera Psygnosis, presenti, tra l’altro, in ogni anfratto di essa. Innanzitutto, Agony aggira in tutta tranquillità ogni limite grafico tipico dell’Amiga, ostentando una profonda conoscenza dei segreti di blitter e copper. Il fondale offre sempre magiche sfumature multi colorate, permettendosi addirittura di sfoggiare un delizioso parallasse. Quest’ultimo elemento merita una particolare nota: scordatevi i classici strati parallattici, quello utilizzato in questa occasioni è animato e lo è in maniera eccezionale. Se il tumulto delle onde del primo livello è incantevole, cosa dire delle cascate del secondo? Adoro la qualità imperante della quale Agony è impregnato: differentemente dalla media, non gioca subito le sue carte migliori e basti osservare la perfezione stilistica e tecnica degli alberi infuocati sullo sfondo dell’ultimo livello, animati con una perfezione da mandarvi in visibilio, per mettere a tacere qualsiasi pretesa di superiorità tecnico-artistica di qualsiasi gioco su qualsiasi macchina. Bastino quei criptici orizzonti a spiegarci quanto profonda possa essere l’emotività scaturente da un freddo mucchio di bytes. Bastino quelle incomunicabilmente comunicative musiche per annientare il desiderio di un gioco più simile a tale specie. Questa è arte, intesa e sviluppata come tale e in questo senso è giusto accoglierla per apprezzarla. E se non ne avessimo voglia, potremo consolarci con uno sparatutto piacevole che non pretende di essere un riferimento per la categoria. Ma senza perdersi in definizioni, Agony è un’esperienza irrinunciabile.
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